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18 Settembre 2022
9:00

Cosa pensano i gatti?

La mente felina è ancora un mistero. È possibile sapere cosa pensano i gatti di noi umani, degli oggetti che li circondano e dei luoghi in cui vivono?

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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Gli studi sulla cognizione del gatto hanno gettato nuova luce sul funzionamento della mente felina. Qui vi presentiamo alcuni tra i risultati più noti, nella consapevolezza che la conoscenza di questi animali sia solo agli albori.

Vi sarà sicuramente capitato di pensare, magari mentre guardavate il vostro micio immerso in qualche attività o nell'osservazione di un insetto, che vi sarebbe tanto piaciuto sapere cosa gli passasse per la testa.

In effetti la mente felina è ancora per molti versi un mistero. Lo è stata nel passato e lo è tuttora, malgrado lo studio della cognizione animale sia oggi un ambito di ricerca molto vivace e che non manca di produrre risultati anche sorprendenti.

Perché la ricerca sui gatti langue

I gatti, tuttavia, continuano ad essere oggetto di scarsa investigazione ma non per mancanza di interesse: ricordo che l’etologo ungherese Adam Miklosi – un'autorità nel campo della cognizione canina – in un’intervista televisiva di qualche anno, dichiarò molto serenamente che gli studi sul gatto languivano perché si tratta di un animale difficile da studiare. Osservarlo in ambiente naturale, come provetti Konrad Lorenz, è costoso, lungo e complicato, a causa delle sue dimensioni contenute; osservarlo in laboratorio è altrettanto macchinoso perché il suo comportamento può essere influenzato dalle condizioni ambientali al punto da minare la validità dei risultati degli esperimenti. Ergo, si preferisce di gran lunga studiare il ben più collaborativo (e socialmente vicino a noi) cane.

Malgrado ciò, qualcosina sul funzionamento cognitivo di questo animale la possiamo dire.

Cosa pensano dell'uomo

La cognizione sociale del gatto è uno dei temi che, attualmente, viene investigato di più in ambito comportamentale, anche grazie all’enorme traino rappresentato dagli studi sul cane.

Quello che abbiamo imparato da studi considerati ormai storici, è che i gatti vedono nell'uomo un partner sociale di cui potere avere fiducia solo a patto che siano entrati in contatto con esemplari umani tra le 2 e le 7 settimane di vita. Se questo periodo, detto sensibile, il micino non ha modo di incontrare l'uomo, lo riterrà sempre un potenziale predatore, un pericolo da cui tenersi a distanza. Ecco spiegato come mai i gatti rinselvatichiti, che fanno vita libera e ai margini delle comunità umane, non si fanno avvicinare né toccare, nemmeno se li si alimenta tutti i giorni.

Cosa pensano degli oggetti

I gatti hanno bisogno di familiarizzare non solo con gli esseri umani ma anche con gli oggetti, pena ritenerli mostruose minacce da cui tenersi alla larga. Le stesse ricerche sullo sviluppo del comportamento del gatto ci hanno rivelato che oggetti e ambienti incontrati nelle prime settimane di vita diventano parte del suo repertorio di conoscenze e contribuiscono a formare il ventaglio di cose da affrontare con fiducia e serenità.

Cosa pensano dell'ambiente in cui vivono

Proprio per quanto detto fino ad ora, già a 2 mesi un gattino che ha acquisito familiarità con un certo ambiente, si sarà costruito un bagaglio di conoscenze e di "ricette" su come affrontarlo in modo funzionale. Se viene trasferito in un contesto completamente diverso, già a 5-6 mesi potrebbe mostrare difficoltà di adattamento, sviluppare ansie, fobie, difficoltà di interazione con altri partner sociali, soprattutto se le differenze tra i contesti sono rilevanti. Ne consegue che l'ideale sarebbe sempre se, ad ogni eventuale trasferimento, il micio andasse a vivere in un contesto ambientale più simile possibile a quello che ha lasciato e che ben conosceva.

Cognizione sociale

Nel 2015 uno studio tutto italiano è riuscito a dimostrare che i gatti considerano l’essere umano un referente sociale al punto da usare le sue reazioni emotive per valutare situazioni familiari e adeguarsi di conseguenza. Non solo: i gatti sono anche in grado di seguire le indicazioni date dalla gestualità umana, una cosa che si riteneva solo i cani sapessero fare.

Ricerche più recenti, inoltre, hanno dimostrato come i gatti siano condizionati dal carattere del loro pet mate e quanto siano in grado di riconoscere la voce degli umani familiari rispetto a quelle di un estraneo.

Attaccamento

Negli ultimi anni si è diffuso un crescente interesse verso lo studio dell’attaccamento nella relazione uomo-gatto. Il quadro non è ancora chiarissimo ma sembra non esserci alcun dubbio che i gatti riescano a stringere dei veri e propri legami affettivi con gli esseri umani, anche se potrebbe non essere l’attaccamento il meccanismo alla base. Insomma, come questo accada e quali siano le dimensioni di questo legame è ancora tutto da capire.

Percezione

L’ambito percettivo è quello storicamente più studiato. La ricerca ha dimostrato quanto le esperienze sensoriali precoci siano determinanti nello sviluppo del cervello, della percezione e della socialità. Negli anni 70 furono anche condotti esperimenti (oggi eticamente inaccettabili) in cui dei gattini resi ciechi da uno o entrambi gli occhi o gattini a cui era stata negata la deambulazione nelle prime settimane di vita, presentavano poi dei deficit cognitivi permanenti.

Permanenza dell’oggetto

La permanenza dell’oggetto – ovvero la capacità di comprendere che un oggetto continua ad esistere anche quando è al di fuori del proprio campo visivo – è considerata una delle più importanti abilità cognitive e, naturalmente, è stata testata sui gatti. Sembra che i nostri beniamini siano in grado di concepire la permanenza di un oggetto scomparso dietro un ostacolo (nulla di sorprendente, è quello che qualunque preda fa!) ma che non siano in grado di inferire eventuali passaggi nascosti. Ovvero, se qualcuno nasconde un oggetto in una scatola, la scatola scompare dietro uno schermo e poi questa viene mostrata al gatto vuota, il micio non è in grado di inferire che, probabilmente, l’oggetto potrebbe essere dietro lo schermo, dove qualcuno l'ha spostata/presa/nascosta.

Tuttavia, altri esperimenti – etologicamente più attinenti – hanno dimostrato che i gatti posseggono anche questa abilità.

Memoria

I gatti sembrano possedere un’ottima memoria a lungo termine (cioè conservano ricordi “datati”) mentre la memoria a breve termine (quella usata per memorizzare informazioni “di lavoro”, a breve scadenza, utili per svolgere un compito), si aggira attorno al minuto, per poi ridurre le sue performance nel giro dei successivi 30 secondi.

Quantità e tempo

Infine, i gatti sono in grado di discriminare piccole quantità e persino il tempo, distinguendo eventi della durata di 5 o 8 secondi: l’ipotesi è che i gatti siano dotati di un orologio interno in grado di scandire la durata degli accadimenti.

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Sonia Campa
Consulente per la relazione uomo-gatto
Sono diplomata al Master in Etologia degli Animali d'Affezione dell'Università di Pisa, educatrice ed istruttrice cinofila formata in SIUA. Lavoro come consulente della relazione uomo-gatto e uomo-cane con un approccio relazionale e sono autrice del libro "L'insostenibile tenerezza del gatto".
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