Si chiama motherese o baby talk ed è una particolare lingua che tutte le madri (ma anche i padri) sviluppano nel momento in cui sono a contatto con il neonato. È fatta di suoni ripetuti, ad alta frequenza, onomatopeici, con vocali lunghe, musicali, accompagnati da una tipica gestualità del volto e delle mani.
Nell’essere umano il baby talk è una modalità interattiva innata (anche se assente nelle madri depresse) che ha la funzione di stimolare il bambino, di renderlo più responsivo, in modo che questi possa offrire maggiori feedback al suo caregiver e, circolarmente, aiutarla/o a migliorare le sue capacità di prendersi cura del piccolo.
Nulla di sorprendente, quindi, che il baby talk venga prodotto anche quando, coinvolgendoci sul piano emotivo, siamo a contatto con gli animali di cui intendiamo prenderci cura. Ma sul gatto che effetto fa?
Cosa pensa il gatto gli parli così
Non ci sono studi che siano andati ad indagare qual è l’effetto del baby talk nello specifico sul gatto.
Quello che sappiamo è che i gatti sono in grado di discriminare quando il petmate si rivolge a loro (presumibilmente anche usando il baby talk) e quando si rivolge ad un'altra persona adulta. Inoltre, gli studiosi ipotizzano che il miagolio si sia sviluppato come modalità interattiva nel gatto, proprio in risposta alla maggiore sensibilità che gli esseri umani dimostrano a certi tipi di suoni.
Quindi i gatti potrebbero aver individuato la tendenza dell’uomo a sintonizzarsi coi cuccioli attraverso il baby talk, soprattutto quando entrano in modalità accuditiva, e potrebbero aver sfruttato questa tendenza per entrarci in relazione.
Sappiamo anche che, in genere, il baby talk è accompagnato da gesti dolci, suadenti e carezzevoli. È possibile, quindi, che alcuni gatti apprezzino questa modalità comunicativa, se accompagnata da un contatto rispettoso del loro corpo e dei loro confini.
È sbagliato rivolgersi così al gatto?
In linea generale non possiamo dire che sia “sbagliato” rivolgersi al gatto in questo modo, soprattutto se è una modalità che ci viene dal cuore e ci fa sentire realmente coinvolti. Però non sarebbe male imparare a riconoscerla e saperla modificare, se è il caso.
Alcuni gatti, infatti, trovano i suoni acuti fastidiosi e irritanti e quindi potrebbero gradire molto di più una conversazione basata su parole pronunciate con toni bassi.
La comunicazione col gatto, inoltre, non è mai solo acustica, è spesso anche tattile e lo stesso baby talk comprende gesti delle mani. Quindi possiamo apparire suadenti e dolci quando ci pare vocalmente ma se la nostra interazione è accompagnata da tocchi che il gatto percepisce come invadenti, eccessivi o irrispettosi, l’esperienza risulterà comunque fastidiosa o, quanto meno, confondente.
Come comunicare con il gatto per non confonderlo
Possiamo usare il baby talk, allora, se ci piace, se ci viene spontaneo e se ci sembra che rifletta bene l’affetto che sentiamo di provare per il nostro gatto. Ma, dal momento che la comunicazione con gli animali è anche e soprattutto non verbale, è fondamentale mantenere la coerenza delle nostre intenzioni nella gestualità che la accompagna. In che modo? Attraverso piccole accortezze, piccole gentilezze che per il gatto fanno tutta la differenza del mondo:
- lasciare sempre a lui la decisione di toccarci o meno, mettendoci a disposizione ma evitando di allungare le mani o, peggio, prenderlo di peso in braccio senza il suo consenso;
- chinandoci al livello del pavimento per interagire con lui, cosa che appare sempre rassicurante e accogliente ai suoi occhi;
- limitando la comunicazione verbale fatta di toni acuti e improvvisi ed eccessiva prolissità, prediligendo invece una modalità più suadente, toni più pacati, volumi più contenuti e pochi segnali vocali riconoscibili, significativi e coerenti.