Cosa accadrà ora all'uomo che ha ucciso l'orsa Amarena? È questa la domanda che rimbalza sui social e nel mondo dell'attivismo alla notizia che il 56enne abruzzese è stato raggiunto da un avviso di garanzia per la morte del plantigrado. Il fascicolo d'indagine è nelle mani della Procura di Avezzano, mentre il corpo dell'orsa si trova all'Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Abruzzo e del Molise. Ora starà agli esperti forensi e balistici accertare la dinamica dei fatti e le circostanze in cui il 56enne ha imbracciato il fucile per uccidere l'orsa entrata nel suo pollaio.
«Gli strumenti legali per tutelare gli animali appartenenti a specie particolarmente protette ci sono, il problema è che in molti casi le pene sono ancora troppo blande», spiega a Kodami Michele Pezone, avvocato esperto nei reati contro la fauna che all'indomani dell'uccisione dell'orsa Amarena ha presentato denuncia per conto delle maggiori associazioni di tutela animale e ambientale in Italia: Wwf, Lndc, Lav e Salviamo l'orso.
«Lo stesso giorno in cui abbiamo appreso la notizia abbiamo presentato formale denuncia – continua l'avvocato – Nel nostro documento abbiamo fatto riferimento all'art. 544 bis Codice Penale che punisce proprio il reato di uccisione di animale con la reclusione da quattro mesi fino a due anni».
È difficile in questa fase predire come terminerà un procedimento per il quale potrebbero volerci anni prima di arrivare al termine di tutti i gradi di giudizio, come sottolinea Pezone: «Ci sono molte variabili che dipendono innanzitutto dall'esito delle perizie, ma anche dalla sensibilità del magistrato, però possiamo dire che parliamo di un massimo di circa due anni di detenzione per questo reato».
Si tratta probabilmente il massimo possibile, anche se da molti è considerato non sufficiente per reprimere i crimini violenti contro questi animali: «Esistono strumenti normativi adatti a proteggere queste specie, tuttavia le pene sono ancora troppo blande per essere considerate deterrenti efficaci – è la considerazione di Pezone – Le leggi sono sempre migliorabili e perfettibili, sicuramente gli strumenti legislativi a disposizione vanno implementati perché le conseguenze sono troppo poco severe».
Alcuni hanno anticipato il possibile interessamento dell'Unione Europea rispetto a questo caso: «L'Europa non interviene dal punto di vista penale – precisa l'avvocato – lo fa solo se gli Stati non rispettano le norme nazionali e internazionali, e comunque in una fase successiva», precisa il legale.
Orso marsicano: un patrimonio unico al mondo
La morte di Amarena però non è quella di un animale qualunque. Era infatti un orso bruno marsicano, una sottospecie geneticamente differenziata rispetto all'orso bruno europeo diffuso in Trentino e sulle Alpi. Tra le due popolazioni ci sono profonde differenze, a cominciare dallo status di conservazione: i marsicani sono circa 60 individui, mentre i corrispettivi europei sono migliaia, e non rientrano tra le specie a rischio d'estinzione.
Per salvare i marsicani, che hanno guadagnato il titolo di orsi più rari del mondo, il Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise ha avviato un intenso progetto campagna di monitoraggio che negli ultimi anni sta dando i suoi frutti. Questi animali, presenti esclusivamente nell'Appennino Centrale, si stanno moltiplicando e Amarena ha dato un contributo molto importante essendo una femmina estremamente prolifica. Nel 2020 ha portato avanti una cucciolata di quattro orsi, tra i quali c'era anche Juan Carrito, e quest'anno un'altra composta dai due piccoli fuggiti dopo la morte della madre. Come ci aveva spiegato anche il direttore del Parco d'Abruzzo Luciano Sammarone potrebbero volerci anche sette anni per avere un'altra femmina capace di fare altrettanto.
Questo progetto è stato affiancato anche una massiccia campagna informativa nei confronti dei cittadini che condividono il territorio con questi animali all'interno di un territorio fortemente antropizzato. Proprio questa prossimità tra persone e orsi è probabilmente alla base delle caratteristiche peculiari di questa sottospecie, come la minore aggressività. Ciò probabilmente è stato determinato da una selezione involontaria da parte dell'uomo che ha perseguitato gli individui più temerari o reattivi.
In ragione di questa unicità, la morte di Amarena ha acquisito una rilevanza pubblica e politica tale da spingere il ministro dell'Ambiente e il presidente della Regione Abruzzo ad annunciare che si costituiranno parte civile al processo, appena partirà.
«In una regione in cui si va orgogliosi proprio per il rapporto che si è instaurato con questa specie particolarmente protetta è triste dover seguire nuovamente una vicenda di questo tipo. Ciò che è accaduto ha rotto questo vincolo molto forte tra la comunità e la sua fauna».
Non è la prima volta, nel giro di pochi anni, che un orso marsicano viene ucciso all'interno di un pollaio.
Da Pettorano a San Benedetto dei Marsi: due casi gemelli
Era il 2014 quando un orso a Pettorano sul Gizio, nell'Aquilano, è stato ucciso a colpi di fucile dopo essere entrato in un pollaio. A seguito dell'indagine della Procura di Sulmona, titolare per il caso, l'uomo fu assolto in primo grado in ragione dello stato di pericolo e paura in cui aveva dichiarato di trovarsi quando aveva incrociato l'animale, che avrebbe quindi ucciso per paura. Le perizie tuttavia smentirono quella ricostruzione.
«In quel caso ci fu una iniziale e sorprendente sentenza di assoluzione in primo grado, nonostante fosse chiara la responsabilità dell'imputato – ricorda Pezone che anche in quell'occasione era legale delle associazioni – Dalle perizie è risultato chiaro che l'orso non lo stava aggredendo, e facemmo quindi appello per la parte civile, che vincemmo. La medesima conclusione fu confermata anche dalla Cassazione».
Ciò però avvenne solo per il risarcimento in sede civile: «L'appello della Procura al giudizio di primo grado avrebbe reso possibile anche la condanna penale, purtroppo però fu dichiarato non ammissibile per un problema formale».
Quanto avvenuto nel 2014 è però utile per capire l'importanza delle prove scientifiche che vengono raccolte in questa prima fase di indagine: «Un perito balistico è in grado di capire se il colpo può essere partito in maniera accidentale o per difendersi da un'aggressione e stabilire quindi se vi era effettivamente la necessità da parte dell'uomo di difendersi con un'arma».