«Sensibilizzare le persone e fare comprendere che la coesistenza con i selvatici significa anche fare dei compromessi con le nostre abitudini». Sono queste le prime azioni da intraprendere per rendere possibile la coabitazione di persone e selvatici secondo Luigi Boitani, professore ordinario di Zoologia all'Università La Sapienza di Roma. Sentito da Kodami, il presidente della Large Carnivore Initiative for Europe fa una panoramica delle strategie che potrebbero essere attuate, e che fino ad oggi sono mancate, nella gestione degli orsi in Trentino.
Nei primi anni Duemila gli orsi bruni europei sono tornati a ripopolare l'Italia dopo essere quasi scomparsi. È stato possibile attraverso il progetto europeo Life Ursus, avviato dal Parco Adamello Brenta con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica, usufruendo di un finanziamento dell’Unione Europea.
In quell'occasione furono rilasciati in Italia 10 orsi provenienti dalla Slovenia che si sono riprodotti fino a raggiungere una popolazione di circa 100 individui. All'espandersi della popolazione di selvatici però è corrisposta una escalation di incidenti con le comunità umane. Per oltre vent'anni il dibattito si è arenato, fino al 6 aprile 2023, a seguito della tragica morte del 26enne Andrea Papi, la prima vittima di un orso nella storia del nostro Paese. «Era un incidente annunciato. D'altra parte in Italia siamo specialisti nell'agire secondo criteri d'emergenza invece che di prevenzione», è l'amara considerazione di Boitani.
Professore, si sta diffondendo l'idea che il progetto Life Ursus si sia rivelato un fallimento. È davvero così?
No, è assolutamente falso. Il progetto prevedeva l'espansione della popolazione di orso bruno sulle Alpi centrali, e oggi, a vent'anni di distanza, possiamo dire che biologicamente parlando è stato un successo. Gli animali si sono riprodotti come previsto. Il fallimento, va ricercato altrove.
Molti però fanno notare che non era previsto che gli orsi restassero in Trentino, avrebbero dovuto spostarsi e ripopolare tutte le Alpi, ma non è avvenuto
Non è successo come era prevedibile. L'orso ha una biologia precisa: le femmine non si disperdono, tendenzialmente gravitano per tutta la vita attorno al territorio della madre. Sperare nell'espansione delle femmine quindi è inutile. I maschi invece espandono il loro areale, ma poi tornano dove si trovano le femmine. Confidare quindi nello spostamento degli animali ha poco senso nel breve periodo. E spesso dimentichiamo che la natura non segue i nostri tempi.
Per fare fronte alla concentrazione di orsi la Provincia autonoma e il Ministero dell'Ambiente hanno ipotizzato di trasferirli altrove. Questo potrebbe aiutare a ridurre la pressione sugli abitanti?
È illogico pensare alla cattura e allo spostamento degli animali come a possibili soluzioni. Innanzitutto perché l'orso non è una specie a rischio d'estinzione, nessun paese fuori d'Italia li accetterebbe. Dire di allontanarli è quindi fuorviante. Gli unici che potrebbero acconsentire, oltre agli zoo, sono coloro che si occupano di organizzare battute di caccia illegali.
Però il conflitto esiste, e una soluzione deve essere fornita dalla scienza
Allora andava cercata nel Pacobace, il Piano d’azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno nelle Alpi centro-orientali. Lì era previsto tutto, compresa la rimozione degli individui maggiormente problematici come l'orsa JJ4, ma non è stato applicato. Abbattere gli individui problematici è una opzione. Per stabilire quanti, come, e dove, entrano poi in gioco la tecnica e il parere degli esperti.
E per smettere di agire secondo le politiche d'emergenza e iniziare a lavorare in prevenzione cosa possiamo fare?
La soluzione si può trovare solo quando si è definito il problema. Anche dire che gli orsi sono troppi è un concetto relativo. Volendo stare ai numeri, siamo noi a essere troppi. Quindi, piuttosto che concentrarsi su questo bisognerebbe puntare a ridurre le interazioni negative con le persone, per farlo il numero di orsi è irrilevante. Se vogliamo coesistere con gli animali selvatici, che siano 10 o 100, dobbiamo ridurre al minimo i comportamenti che possono portare a un attacco, ma dobbiamo comunque tenere presente che il rischio non è mai zero.
Quali sono questi comportamenti?
Il primo passo è educare le persone, un paese come la Svezia convive con una popolazione di circa 3 mila orsi. Lì i cittadini vengono formati fin dalla tenera età per assumere comportamenti maggiormente compatibili con la presenza di questi grandi carnivori. Anche se esistono delle profonde distinzioni tra la Svezia e il Trentino, ampliando il nostro sguardo possiamo conoscere buone pratiche da applicare secondo le nostre esigenze specifiche.
E quali sono gli altri passi da compiere?
Uno dei problemi fondamentali per regolare la coesistenza tra selvatici e persone riguarda la gestione dei rifiuti. È fondamentale togliere dalla portata degli animali i nostri rifiuti urbani. Per loro si tratta di una fonte di cibo facilmente accessibile. Se ne seguono l'odore e sanno di poterli raggiungere senza problemi i selvatici graviteranno stabilmente attorno alle città, accrescendo sensibilmente il rischio di incontri, e quindi di incidenti. Esistono perciò degli appositi cassonetti anti-orso, ma sono stati installati in tutte le comunità vicine alle zone frequentate dagli orsi? No.
Anche in Abruzzo non tutte le città hanno cassonetti anti-orso, però non si sono mai verificati episodi mortali
Perché in Abruzzo c'è una sottospecie di orso bruno, quella marsicana. È un dato scientifico che l'orso marsicano sia meno aggressivo, e questo è dovuto a una involontaria selezione da parte dell'uomo. Gli individui più temerari e aggressivi che si trovavano in Centro Italia sono stati uccisi dalle persone, e questo ha favorito gli animali più docili.
Ci sono degli strumenti che non rappresentano soluzioni, ma che riducono le possibilità di epiloghi tragici?
Sì, lo spray anti-orso. Si tratta di un composto urticante, formulato per rendere l'animale temporaneamente inoffensivo. Da anni gli esperti ricordano che si tratta dell'unico strumento utile in situazioni di emergenza, eppure in Italia è considerato un'arma impropria. Anche in questo caso il confronto con altri paesi ci può tornare utile: nel parco di Yellowstone, negli Stati Uniti, tutti i turisti portano questo spray.
Però si tratta di uno strumento da usare comunque in situazioni estreme nelle quali sarebbe meglio non trovarsi mai. Non esiste una soluzione che elimini il rischio?
La coesistenza non è mai a costo zero, coesistere vuol dire fare compromessi. Quando gli orsi sono stati reintrodotti negli anni Duemila, attraverso il progetto Life Ursus, nessuno si rendeva conto di cosa volesse dire davvero coesistenza. Ora si cerca un capro espiatorio, dalle istituzioni locali al Parco dell'Adamello, ma così non si fa altro che polarizzare la discussione.