Ancora una condanna per maltrattamento di animali da parte di un giudice italiano. Questa volta la sentenza è stata emessa dal tribunale di Trapani, che ha condannato a 5 mesi di reclusione l’uomo che il 14 luglio del 2018 a Custonaci, in provincia di Trapani, legò una pesante pietra al collo di una cagnolina per poi gettarla in mare e allontanarsi, determinato a liberarsi di lei in questo modo atroce.
Gli sforzi di Mia, questo il nome della cagnolina, per restare a galla vennero notati dai bagnanti, che si gettarono subito in acqua per salvarla. Fortunatamente il soccorso andò a buon fine, e Mia venne affidata a un’associazione che si prese cura di lei sino alla successiva adozione. Oggi Mia vive con la sua nuova famiglia, e la persona che ha tentato di ucciderla è stata condannata da un tribunale.
A costituirsi parte civile, ai tempi, era stata Enpa attraverso l'avvocatessa Claudia Ricci e l'avvocato Giuseppe Inzerillo, riferimento della Rete Legale Enpa per Trapani: «Per Mia c’è stato un lieto fine ed è riuscita a salvarsi, ma troppi sono gli animali vittime di maltrattamento e uccisioni che non sono stati così fortunati – è stato il commento di Claudia Rocchi, presidente nazionale Enpa – Bene la condanna del tribunale di Trapani, anche se chi compie gesti così disumani, orribili e vigliacchi meriterebbe pene ancora più severe».
Il dibattito sulla necessità di inasprire le pene per chi maltratta o uccide animali negli ultimi mesi si è fatto sempre più serrato. La sensibilità verso questa tipologia di reati da parte di chi amministra la giustizia è indubbiamente aumentata, ma la pena massima prevista a oggi dal nostro codice penale non supera l’anno e mezzo (per chi maltratta un animale) e i due anni (per chi lo uccide). E nella maggioranza dei casi intercorre la sospensione condizionale della pena, salvo che la persona condannata non reiteri il reato: in questi casi chi viene condannato non deve scontare la pena, a patto di garantire una buona condotta per i successivi 5 anni.
A ciò si aggiunge poi l’obbligo di pagare le spese processuali e il risarcimento del danno, quantificato dal giudice. Che può anche decidere, in caso di maltrattamento (ma non vale per l’uccisione) di applicare non il carcere, ma una multa da 5.000 a 30.000 euro. Da qui la richiesta delle associazioni di rivedere il codice penale in un’ottica di maggiore tutela per gli animali, soprattutto dopo il riconoscimento del loro benessere come valore costituzionale.
«Continueremo attraverso il nostro ufficio legale a cercare giustizia per ogni animale maltrattato e ucciso affinché passi il messaggio una volta per tutte che chi maltratta e uccide gli animali deve rispondere di un reato di fronte alla legge – conclude Rocchi – Ancor più in un periodo come questo dove gli abbandoni di cuccioli e adulti di cani e gatti stanno arrivando a livelli allarmanti».