I fossili sono tutto quello che rimane dei resti degli organismi che popolarono il nostro pianeta. Essi ci permettono di ricostruire la storia della vita e di comprendere quali fossero le condizioni ambientali del pianeta milioni di anni fa. Sono molto difficili da trovare e riconoscere ma in determinate condizioni e se si possiede una certa esperienza si possono identificare i potenziali siti in cui trovarli.
È possibile classificarli secondo diversi metodi. I paleontologi professionisti di solito li classificano per tipologia, origine ed epoca oltre che per morfologia, utile soprattutto per l'identificazione delle specie. Con un semplice sguardo però la differenza principale che si osserva confrontando diversi fossili è quella relativa alla tipologia di conservazione. Esistono infatti fossili originali, che contengono davvero ciò che rimane di un corpo dopo i processi di fossilizzazione, fossili per sostituzione, in cui un organismo viene completamente sostituito dai minerali presenti all'interno dell'ambiente in cui si ritrova conservato, i modelli, i calchi e le tracce, che sono molto importanti in quanto ci permettono di ottenere informazioni inerenti gli animali e le piante che non potremmo ottenere con il semplice ritrovamento di uno scheletro o del legno fossilizzato.
Ovviamente per trovare dei fossili bisogna studiare attentamente il territorio che si vuole indagare, tanto che oggi giorno è da preferire effettuare uno studio preliminare basato sulle carte geologiche già disponibili per determinare su grandi linee quale potrebbe essere la zona più vocata al recupero di nuovi fossili. Oltre questo, i paleontologi odierni si confrontano abbastanza frequentemente per aggiornarsi e assimilare nuove tecniche utili per il riconoscimento tempestivo di un fossile. Potrebbe infatti stupire qualcuno sapere quanti fossili siano stati danneggiati o siano stati abbandonati tra i rifiuti, per via di un mancato riconoscimento dovuto alla semplice "ignoranza" degli addetti ad uno scavo. In particolar modo quando l'obiettivo è costituito da organismi invertebrati dalla difficile interpretazione.
Esistono comunque dei metodi per riconoscere un fossile che vengono insegnati all'interno delle accademie di paleontologia e antropologia fisica. Per essere però in grado di mettere in pratica questi metodi bisogna accumulare una grande esperienza, avere una buona vista ed essere particolarmente pazienti quando ci si ritrova davanti a migliaia di frammenti davanti agli occhi.
Dove trovare un fossile?
Spesso, da bambini, la prima domanda che ci si pone quando si vuole intraprendere una carriera paleontologica è la seguente: qual è il posto più vicino a casa mia dove è possibile trovare il fossile di un antico organismo?
Crescendo il fascino suscitato da questi reperti nel corso dell'infanzia spesso viene meno. Per coloro però che anche da adulti mantengono la passione è possibile rispondere alla precedente domanda specificando però che per trovare un vero fossile vicino casa bisogna armarsi di studio e alcune accortezze.
Escludendo il caso in cui si voglia semplicemente osservare un fossile (per far questo basta raggiungere qualsiasi museo di geologia, paleontologia o di scienze naturali), se si vuole raggiungere un sito in cui è potenzialmente possibile trovare qualche reperto basta andarsi a spulciare le mappe interattive, oggi disponibili anche online, che presentano i database paleontologici e i vari luoghi posti sulla Terra dove sono stati trovati dei fossili. Scoprirete così che buona parte dei luoghi che si sono resi protagonisti del ritrovamento di reperti possiedono delle rocce di origine organica o sedimentaria, da cui sono stati recuperati i fossili, e che a seconda della nazione esistono amministrazioni e leggi differenti che vi impediscono o meno di recuperare un fossile di vostra spontanea volontà.
Facendo un esempio concreto, in Italia esistono moltissimi siti in cui è possibile ottenere fossili di mammiferi, molluschi, organismi marini e così via tutti provenienti da epoche geologiche diverse. Ogni regione possiamo considerarla come uno scrigno a cielo aperto, considerando che la nostra penisola e le sue isole si sono rese protagoniste di continue scoperte. Se volessimo perciò optare per il recupero di fossili risalenti all'era glaciale e abitassimo a Roma, dovremmo cercare nel Lazio quei luoghi in cui i sedimenti risalenti a 100.000 o anche a 24.000 anni fa sono maggiormente esposti e non ricoperti da strati di terra di epoca successive. Qualora invece abitassimo in Sicilia e volessimo recuperare qualche reperto di origine marina, basterebbe spingersi in una delle tante falesie in cui i fossili spuntano direttamente dal suolo.
La raccolta dei fossili è regolamentata con la legge n. 1089 del 1939. Bisogna dunque ricordare che qualora noi dovessimo scoprire effettivamente qualcosa, semplicemente passeggiando sulla superficie del sito, saremmo tenuti a denunciare la scoperta alle autorità in quanto i fossili scoperti nel territorio italiano appartengono allo Stato e sono equiparabili ai beni culturali.
Se dovessimo invece ritrovarci in Germania o in Marocco, tramite un permesso e pagando una tassa mediamente esosa, anche da semplici cittadini potremmo prendere piccozza e scalpello, decidendo di spingerci in quei siti come le cave abbandonate e allestite per il turismo geologico dove è possibile recuperare da anni alcuni dei nostri reperti fossili preferiti, sotto il controllo diretto dell'autorità che hanno deciso di rendere disponibili a tutti i "cacciatori di fossili" la possibilità di intraprendere la carriera di paleontologi in erba.
Fatto questo inciso, se si vuole invece partire da zero, avendo riconosciuto come primo passo i depositi sedimentari inalterati all'interno delle mappe geologiche (sedimenti che si rivelano quasi sempre la principale fonte di nuovi fossili), il passo successivo è cercare quei luoghi in cui è possibile vedere gli affioramenti di roccia fresca. Fare ciò non è semplice come trovare un sito di scavo già aperto al pubblico o lasciarsi guidare da una mappa per raggiungere il nostro obiettivo, eppure ad occhio è abbastanza immediato – anche con l'uso di un semplice binocolo – verificare quale parte del territorio non presenta delle coperture vegetali o è privo degli strati di suolo. E se proprio si è incapaci all'inizio di trovare autonomamente questi affioramenti ci si può spingere vicino alla costa o in vicinanza di alcune antiche frane per curiosare, magari lasciandosi accompagnare da un gruppo di geologia locale che sarà entusiasta nell'aiutare dei nuovi appassionati.
Ovviamente bisogna stare attenti a decidere dove si vuole effettuare l'esplorazione. Non sempre i terreni sedimentari risultano infatti dei siti "fossiliferi" e in più casi potenziali grossi ritrovamenti si sono poi rivelati dei fallimenti. Per contro però l'Italia, grazie alla sua storia geologica, presenta diversi giacimenti fossiliferi, in cui i più comuni organismi che è possibile osservare sono di origine marina. Dunque se volete assicurarvi una piccola scoperta e non pretendete di trovare chissà quale grosso scheletro, all'inizio basta optare preferibilmente per quei siti che presentano sedimenti di origine marina, per recuperare qualche fossile di gasteropode o cefalopode preistorico. E non lasciatevi ingannare dalle montagne. Esse sono proprio uno dei punti più ricchi in cui è possibile recuperare tale tipologia di organismi.
Quali tipologie di rocce contengono fossili?
Come chiarito più volte, il processo di trasformazione di un fossile avviene quasi esclusivamente nelle rocce sedimentarie, unico tipologia di roccia che si presta a questo fenomeno. Le rocce magmatiche infatti sono troppo giovani e calde per permettere agli organismi di sopravvivere alla distruzione, mentre nella maggioranza dei casi le rocce metamorfiche hanno subito troppi processi di alterazioni delle rocce – sia chimica che fisica – per consentire ai fossili eventualmente ivi presenti nell'essere facilmente riconoscibili ed impiegati nella ricerca paleontologica.
Per nostra fortuna, le rocce sedimentarie sono presenti in grande abbondanza negli strati superficiali della crosta terrestre. E si differenziano tra di loro a secondo di diversi fattori.
Parlare di quali potenziali strati potrebbero contenere fossili, invero è come delineare quale tipologie di sedimenti è possibile riscontrare nella geologia di un territorio. Perciò si rende necessaria una breve descrizione delle varie tipologie di rocce sedimentarie.
Rocce sedimentarie clastiche
Questa tipologia di roccia è quella legata all'accumulo massivo di detriti litici, più o meno fini, che di solito sono legati al trasporto dell'acqua o al fenomeno delle frane.
A secondo della grandezza dei detriti, i geologi possono distinguere questa tipologie di rocce sedimentarie per comprenderne anche alcune proprietà come la granulometria e la porosità. Ed in generale, più queste tipologie di rocce presentano particelle grandi, meno si presentano come potenziali ospiti di fossili, poiché l'acqua che riesce a fluire al loro interno accelera i processi di decomposizione.
Per esattezza, si definiscono conglomerati tutte quelle rocce sedimentarie le cui particelle ( a volte grandi come massi) hanno un diametro maggiore di 2 mm, che a loro volta si dividono in brecce se hanno spigoli vivi, e in puddinghe se hanno spigoli arrotondati. Le arenarie sono tutte quelle rocce sedimentarie il cui diametro delle particelle è compreso tra i 2 mm e 1/16 di mm e che sono il prodotto della compattazione di sabbie, in cui è possibile ancora ritrovare dei fossili di origine marina. Le siltiti hanno un diametro delle particelle compreso tra 1/16 di mm e 0,06 di mm mentre le particelle delle argilliti hanno dimensioni inferiori a 0,06 mm.
Proprio quest'ultime tipologie di rocce sedimentarie clastiche sono quelle che permettono più frequentemente ad un corpo di conservarsi dopo la morte e in effetti, quando i geologi trovano un nuovo sito che presenta argilliti di origine alluvionale, è lì che si dirigono i paleontologi, per verificare quali potenziali organismi possono essersi conservati al di sotto di questi strati.
Rocce sedimentarie chimiche o residuali
Le rocce sedimentarie residuali sono il prodotto della deposizione di sali disciolti nelle acque marine che subiscono un fenomeno di eccessiva evaporazione. Sono molto comuni in quelle aree aride del pianeta che hanno subito un repentino arretramento delle linee di costa o la scomparsa di grandi bacini d'acqua interni. In questo caso i fossili che si possono ritrovare al loro interno, come nel caso dei travertini, sono esclusivamente di origine marina o legate all'attività incrostante del carbonato di calcio disciolto nelle acque.
Questi fossili si sono conservati proprio perché l'eccessiva presenza di sali nel bacino in evaporazione comportava una grande e rapida deposizione sulla superficie dei reperti e l'istituzione di condizioni ambientali proibitive per tutte le forme di vita che avrebbero potuto attaccare le sostanze organiche dei reperti.
Sono diversi le regioni in Italia in cui è possibile osservare questa tipologia di strati e nella maggioranza dei casi sono il frutto della grave crisi della salinità che colpì il Mediterraneo durante il Messiniano, 7-5 milioni di anni fa.
Rocce sedimentarie organogene
Questa tipologie di rocce sono formati da sedimenti derivanti, in una qualche maniera, dagli stessi organismi viventi. Prevalentemente, possiamo considerare questa tipologia di rocce sedimentarie esse stesse delle macrotipologie di fossili, poiché la stessa roccia risulta come il prodotto della conservazione di miliardi di organismi microscopici, i cui scheletri hanno ricoperto i sedimenti più profondi e la superficie degli altri organismi.
Le rocce carbonatiche, come le marne e le dolomie, ma anche le rocce fosfatiche, derivanti dall'accumulo delle ossa dei vertebrati, o le rocce silicee, sono tra quelle particolarmente ricche di reperti fossili, tanto che la maggioranza delle informazioni legate alle specie preistoriche provengono da scavi effettuati proprio su questa tipologia di sedimenti. Le Alpi e gli Appennini in Italia sono un esempio concreto di questo fenomeno. Per quanto infatti è stato possibile trovare reperti lontano anche dalle due principali catene montuose della nostra nazione, è lì che si sono osservati i ritrovamenti più eccezionali e interessanti.
Qual è il momento migliore per cercare fossili?
Per decidere quando effettuare uno scavo, bisogna sempre prendere in considerazione il fattore clima. Quando ci si mette infatti davanti a un tavolino e si decide di andare preparati, per effettuare la ricerca al meglio, i paleontologi di solito guardano anche alle condizioni climatiche e ambientali del sito in cui sono intenzionati a scavare per comprendere quando conviene iniziare i lavori. Se per esempio si ha intenzione di andare a scavare in zone caratterizzate da un terreno argilloso e particolarmente secco in estate, molto probabilmente la stagione migliore per iniziare i lavori di scavo è quella delle stagioni umide, poiché l'acqua delle piogge aiuterebbe ad eliminare gli strati fangosi superficiali che invece con il clima secco renderebbero lo scavo troppo faticoso.
Lo stesso dicasi per gli scavi in altura. Di solito è difficile effettuare degli scavi in pieno inverno presso i giacimenti fossiliferi in quota, mentre se invece si vogliono cercare dei fossili in strati sabbiosi, la ricerca sarà sempre più semplice nelle stagioni asciutte, quando sono minori i rischi di frane. Da sottolineare poi che non tutti gli scavi possono essere effettuati in pieno giorno, a causa della stagionalità. Sono stati tantissimi gli scavi che sono stati effettuati in piena notte, nel refrigerio delle ore serali, dinnanzi alla luce artificiale dei neon, in quei territori dove per la maggior parte dell'anno si raggiungono temperature sopra i 30 gradi (o peggio) alle 10 del mattino.
Per rispondere perciò alla domanda "quando conviene scavare?", bisogna sempre porsi prima il problema di dove ci si trova.
Un altra questione è lo scavo invece presso delle grotte naturali o all'interno dei cantieri umani. In questo caso il paleontologo deve prendere pure in considerazione il disturbo che può arrecare agli altri lavoratori o il pericolo che sussiste in alcuni momenti dell'anno quando le grotte vengono sommerse dall'acqua per via delle piogge. Fatto questo, deve decidere quale è la fascia oraria o stagionale che gli permette di svolgere il suo lavoro al meglio e sperare che il suo impegno non venga disturbato da qualche imprevisto.
Come distinguere un fossile da una roccia
Per distinguere un fossile da una roccia bisogna disporre di una buona vista, di una predisposizione naturale a distinguere bene le forme ordinate che distinguono i resti degli organismi organici dalla materia inorganica, di una preparazione che ti permetta di avere in mente l'immagine del fossile che stai cercando e, successivamente, dopo anni di tentativi, di una lunga esperienza. Qualche volta però tutti questi fattori non sono sufficienti per determinare un fossile o per distinguerlo da una roccia che li simulano, come gli pseudofossili. In questo caso, i più esperti, hanno a disposizione alcune armi che permettono di comprendere appieno la natura dell'oggetto che si sta analizzando. È bene però che anche i principianti li conoscano.
La prima arma a disposizione dei paleontologi, usata quasi quanto gli occhi nelle indagini preliminari di uno scavo, è la propria lingua. Sì, avete letto bene. Per quanto possa sembrare assurdo, per i geologi e i paleontologi è usuale sfruttare il senso del gusto per riconoscere e discriminare i vari minerali presenti all'interno delle rocce. E saggiare un fossile può dare informazioni preziose specifiche, relative all'ambiente in cui è avvenuto la fossilizzazione.
Ovviamente "leccare" un fossile non è un'operazione da fare a priori o se siete degli inesperti. Per comprendere le sottili differenze che è possibile percepire tra una silvite o una caolinite, vi serve tutto il tempo necessario e l'aiuto di un esperto, che vi impartisca i giusti consigli. Quando però avrete accumulato la giusta dose di conoscenze, riuscirete a distinguere le comuni rocce dai fossili, che a loro volta presentano differenza di consistenza e sapidità a secondo dell'età e del luogo di conservazione. Scoprirete così che un osso di dinosauro sarà comunque più appiccicoso di una pietra – a causa della natura porosa dell’osso – e più dolce dei resti di un trilobite, che non presentava uno scheletro dotato di minerali di calcio.
La seconda arma messa a disposizione dalla paleontologia sono i testi in cui gli studiosi del passato hanno descritto le diverse specie. Se perciò vi trovate dinnanzi ad un reperto "problematico", che non si lascia identificare facilmente, potete utilizzare tutti quei testi che presentano disegni e descrizioni dettagliate delle varie specie fossili, in modo che possiate escludere del tutto la possibilità che vi stiate ingannando.
Qualora infine non riusciste a decidervi se il reperto che avete fra le mani sia un fossile o meno, potete usare il microscopio, utilissimo per osservare la superficie dei reperti più grossi o nell'indagare la morfologia dei fossili microscopici, che si rifanno alla micropaleontologia. Quest'ultima infatti studia tutti quei fossili di dimensioni così piccole che non sono facilmente analizzabili ad occhio nudo, anche se provviste di strutture esterne contenenti minerali. Alla micropaleontologia deve essere associata anche la palinologia, quella importante disciplina per lo studio dei paleoclimi che si interessa dello studio dei pollini antichi.
Qualora al microscopio stesse dunque osservando la superficie di un fossile, lo differenziereste abbastanza facilmente dalle altre tipologie di rocce di origine inorganica in quanto queste presenterebbero una distribuzione e una colorazione dei minerali atipica per un organismo, che invece ha delle morfologie ben definite (se ben conservato) dettate dalle parti dell'organismo vivente.
Ricordatevi infine che la paleontologia è una scienza che ti permette anche di confrontarti. Comunicare perciò con gli esperti del settore, come alcuni curatori dei musei, per capire con quale tipologia di fossile si è entrati in contatto, è solitamente un altro modo che ha condotto semplici cittadini a divenire protagonisti di alcune grandi scoperte.
Cosa fare se si trova un fossile
Qualora riusciste effettivamente a trovare un fossile, ricordatevi che la cosa migliore da fare, anche se ritenete di essere esperti, è avvertire la sovrintendenza locale, inviando foto e luogo del ritrovamento in modo di essere sicuri di non arrecare alcun danno alla ricerca scientifica. Anche perché, come riferito sopra, nel nostro paese i fossili sono considerati dei beni culturali, tutelati anche dal Decreto Urbani del 2004: secondo questo decreto, il ritrovamento in natura di un fossile deve essere comunicato tempestivamente alle autorità competenti. Inoltre, non dovreste mai entrare in un terreno privato, nel tentativo di raccogliere esemplari senza il permesso del proprietario. Questo vale anche per i minerali e per i reperti archeologici, non solo per i reperti di origine paleontologica.
Questo poiché non solo potreste violare le norme che tutelano questi reperti, ma semplicemente perché introdursi in una proprietà privata costituisce un'attività illegale di per sé.