Arrivano i primi risultati del progetto di studio per approfondire le cause di morte dei ricci, avviato dal Centro Ricci di Novello (Cuneo) in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell'Università di Torino (DSV), e presentato a Kodami nell'ottobre del 2022.
Grazie al completamento della prima fase della ricerca, che presto includerà altre università italiane (Teramo, Bari, Milano) ed europee, sono già disponibili i dati preliminari, ottenuti esaminando i soggetti deceduti presso il C.A.N.C. da gennaio 2018 a luglio 2022 e quelli deceduti nel Centro “La Ninna” nel 2022. Un totale di 160 ricci è stato sinora incluso nello studio. Traumi, debilitazione e malattie infettive sono state individuate come le principali ragioni di ricovero e di morte dei piccoli ricci.
I primi dati emersi dalla ricerca
Tra i 160 ricci esaminati, di cui 85 maschi e 75 femmine, le principali cause di ricovero sono state i traumi (il 39,4%) e la debolezza (38,1%), seguite da ricoveri casuali di ricci trovati in luoghi inappropriati e portati ai centri dai cittadini (16,9%) e da sintomi respiratori/gastrointestinali (5,6%). Invece per quanto riguarda la causa delle morti, secondo i risultati della necroscopia il 35% è morto per le lesioni traumatiche e il 29,4% per le malattie infettive/parassitarie. Meno frequentemente, i ricci sono morti per inedia (9,4%) e predazione (5,6%). Macroscopicamente, i polmoni sono stati gli organi più colpiti (73,1%), principalmente con broncopolmonite catarrale, purulenta o granulomatosa, nell’ 87,2% dei casi.
«I traumi – spiega Massimo Vacchetta, il medico veterinario che dirige il Centro Ricci La Ninna rappresentano una delle cause più comuni di mortalità nei ricci e nella maggior parte dei casi sono legati all'uomo. Le malattie infettive (batteriche o parassitarie) che colpiscono principalmente i polmoni o il tratto gastrointestinale sono un'altra importante causa di morte. Sono stati rilevati frequentemente vermi polmonari, ma sono necessari ulteriori studi al fine di comprendere l'ecobiologia di questi parassiti e la patogenesi delle loro lesioni. L’aumento della presenza di malattie parassitarie potrebbe dipendere dal cambiamento climatico e/o dalla distruzione dell’habitat dei ricci da parte dell’uomo: la mancanza delle prede di cui solitamente si ciba il riccio, spinge questa specie a nutrirsi di prede inconsuete, spesso ospiti di parassiti potenzialmente letali».
In Europa, in 20 anni, il 70% di ricci in meno
Dati che vanno a confermare una situazione generale pericolosamente grave, considerando il ruolo fondamentale che i ricci giocano nell’ecosistema e nella biodiversità del pianeta. «I ricci sono animali considerati sentinella dello stato di salute di un ecosistema, in quanto a stretto contatto con il suolo, territoriali e insettivori. – spiega infatti Vacchetta che da diversi anni si dedica alla cura e alla salvaguardia di questi piccoli mammiferi. – Il rapido declino di questa specie che, nella sua forma attuale, vive sul pianeta da circa 15 milioni di anni è sintomatico del grado di devastazione che la razza umana sta causando al pianeta. I ricci hanno subìto un calo numerico di ben il 70% in Europa, in soli 20 anni. I dati rilevati in Inghilterra sono ancora più impressionanti; secondo una stima fatta dagli anni settanta ad oggi, gli esemplari presenti sul territorio sarebbero scesi da 30 milioni a meno di ottocentomila».
Una situazione pericolosissima che rischia di degenerare ulteriormente, secondo il veterinario che dirige il Centro Ricci La Ninna, che oggi ospita circa 200 ricci, alcuni resi disabili dall'attività dell'uomo (investimenti, ferite da decespugliatori e dai tosaerba robotizzati), altri recuperati in condizioni difficili a causa delle conseguenze del cambiamento climatico, come ad esempio l'impossibilità di andare in letargo, la mancanza di prede per l'utilizzo massiccio di prodotti chimici in agricoltura, nei nostri orti e nei giardini. «Se non faremo nulla per fermare il declino di questa specie, i ricci si estingueranno in 10-20 anni. Se sono ad un passo dall’estinzione animali così comuni, i prossimi saremo noi, perché siamo – a tutti gli effetti – ad un passo dalla sesta estinzione di massa. Il nostro dovere è proteggerli, perché dalla salute dei ricci dipende anche la nostra sopravvivenza».
Come si può intervenire?
Il progetto di studio, quindi, ha l’obiettivo di capire meglio le potenzialità di intervento per mitigare la moria di ricci che rischia di portare alla loro scomparsa. Cooordinato dalla professoressa Maria Teresa Capucchio, cercherà di mettere a punto i parametri del profilo metabolico ematico di questi piccoli mammiferi e indagherà gli agenti infettivi e parassitari che possono essere veicolati e potenzialmente pericolosi per i ricci e l’ambiente. Al momento sono in corso indagini istologiche e microbiologiche per verificare il potenziale ruolo degli agenti infettivi nel causare la mortalità dei ricci e nel contribuire al declino della loro popolazione.
«Credo che la collaborazione tra i due centri permetterà di conoscere le cause di morte e malattia dei ricci del Piemonte al fine di poter attuare misure di profilassi adeguate – spiega la Capucchio. – È importante lavorare ora per evitare che questi piccoli mammiferi essenziali nell’ecosistema, possano arrivare all’estinzione con conseguenze molto gravi per l’ambiente che ci circonda. Conoscere meglio gli agenti infettivi e/o infestivi eventualmente veicolati è altrettanto essenziale per monitorare la circolazione degli agenti biologici nell’ambiente ed i potenziali rischi per le altre specie viventi in un’ottica One Health!»