Provate ad immaginare di avere qualcosa sulla vostra fronte o in mezzo ai denti e, attraverso la vostra immagine riflessa dinanzi ad uno specchio, riuscite ad accorgervene e a rimuoverla. Quest’operazione così semplice dimostra in realtà che gli esseri umani sanno riconoscersi e sanno distinguersi dagli altri individui: in altre parole siamo autocoscienti e abbiamo consapevolezza di noi stessi.
Questa capacità viene ricercata e studiata nelle altre specie animali imitando l’esempio appena scritto e seguendone la stessa logica tramite il cosiddetto test di riconoscimento allo specchio ("Mirror-self recognition"), con l'obiettivo di dimostrare la presenza di consapevolezza di sé e di autocoscienza negli animali non umani. In realtà, sono poche le specie animali che ad oggi superano questo test come ad esempio scimpanzé, cavalli, oranghi, elefanti, delfini tursiopi, le gazze e anche il pesce pulitore. Altri animali hanno invece mostrato di fallire.
Come mai così pochi animali si riconoscono allo specchio? Sono davvero incapaci di oppure il modo in cui è preparato il test non è adatto alle loro caratteristiche etologiche?
In uno studio pubblicato sulla rivista Primates, un gruppo di ricercatori si è posto il problema cercando di capire se effettivamente essere autocoscienti è una capacità molto rara nel regno animale, oppure se la sua rarità si potrebbe spiegare con la nostra incapacità nel saperla studiare e ricercare in maniera adeguata negli altri animali. Forse siamo noi che costruiamo dei test che non sono fatti su misura per gli animali stessi e non sono loro che non sono capaci di dimostrare il possesso di quelle capacità di cui cerchiamo di dimostrare la presenza.
Ad esempio, una delle criticità sottolineate dai ricercatori è legata al tipo di rilevanza ecologica che lo stesso può avere per gli animali così come il modo in cui viene presentato. Il test dello specchio è stato infatti sviluppato da una prospettiva umana che in realtà non ricalca fedelmente il contesto ecologico in cui gli animali che testiamo vivono e si sono evoluti.
Nel test infatti viene chiesto agli animali di riconoscere loro stessi con l’ausilio di uno specchio che viene posto solitamente in verticale, mentre in un contesto naturale gli animali tendenzialmente trovano specchi naturali come le superfici d’acqua praticamente sempre in orizzontale, al suolo. Proviamo a vederla dal nostro punto di vista, agiremo probabilmente nello stesso modo anche noi: immaginate di dovervi guardare allo specchio e di dovervi comportare in maniera tale da rimuovere un oggetto posto sulla vostra fronte, potreste non essere interessati e rinunciare a farlo nel momento in cui lo specchio che dovete utilizzare non presenta caratteristiche tali a soddisfare le vostre esigenze. Di certo sarebbe illogico pensare che sulla base di ciò non siete consapevoli di voi stessi.
Ciò ha potenzialmente introdotto un pregiudizio antropocentrico nel test dello specchio che può viziare l’interpretazione dei risultati stessi degli studi dove viene applicato. Noi pensiamo che gli animali non si riconoscano guardando la loro immagine riflessa, mentre in realtà potrebbero semplicemente fallire il test perché per loro vedersi riflessi su una superficie verticale non rappresenta la norma a cui sono abituati o più in generale non è lo scenario ambientale adeguato che permette l’emergenza del loro naturale comportamento.
Insomma, i limiti del test dello specchio potrebbero presentare dei risultati cosiddetti "falsi negativi", ovvero che mostrano l'assenza di un fenomeno pur non essendo quest'ultimo realmente assente, solo perché non stiamo guardando e studiando gli animali nella maniera corretta.
Per provare a correggere questo possibile errore, gli autori hanno tentato di applicare una variante del test dello specchio sui cebi dai cornetti, animali che hanno già dimostrato di non essere in grado di riconoscersi allo specchio, utilizzando delle superfici riflettenti poste in orizzontale, ma nonostante ciò, i cebi non sono comunque riusciti a superare il test anche con la nuova variazione introdotta.
Anche se i cebi dai cornetti hanno mostrato nuovamente di non sapersi riconoscere allo specchio, il dubbio sollevato dai ricercatori e la modifica del test dello specchio che hanno proposto meritano di essere approfonditi in futuro negli animali che sono stati sottoposte al test e che non sono riusciti a superarlo, con l’obiettivo di confermare o smentire tale risultato.
In questo modo possiamo tentare di eliminare la possibilità e il pericolo di escludere comportamenti naturalmente presenti nel repertorio etologico di una specie animali solo a causa della nostra mancata comprensione a dei fattori ambientali necessari alla loro emergenza, a causa del fatto che tendiamo molto spesso a dimenticarci che ciò che può essere valido dal nostro punto di vista umano può non valere per le altre specie animali.