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28 Gennaio 2021
13:05

Come l’uomo ha reso un gambero killer della biodiversità

Il gambero rosso della Louisiana si adatta a quasi tutti gli ambienti presenti in Italia, dove è arrivato per entrare nei ristoranti e diventare una prelibatezza. A quasi 50 anni di distanza è diventata una delle specie tra le più invasive d’Italia.

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Il gambero della Louisiana (Procambarus clarkii) è arrivato in Europa negli anni ‘70. Presentato come una prelibatezza culinaria, si è diffuso rapidamente in tutti gli ecosistemi italiani dalla Sicilia alle Alpi, diventando una delle dieci specie alloctone più pericolose del nostro paese e conquistando il podio in alcune zone della Pianura Padana.
Il crostaceo, soprannominato “gambero killer” a causa della sua dieta generalista, è in grado di distruggere la biodiversità dell’ambiente che raggiunge. Queste abilità gli hanno fatto perdere presto la sua buona reputazione ed ecco come é diventato un nemico da combattere.

La strada percorsa dal gambero

Originario delle zone paludose del Sud degli Stati Uniti, dove il clima sub-tropicale assicura lunghe e umide estati, questo animale sbarca nella provincia spagnola di Badajoz negli anni ‘70 e si diffonde rapidamente in gran parte dell’Europa meridionale, passando dal Portogallo, da Cipro e dalla Francia. La speranza dei pescatori e degli allevatori era quella di inserire una nuova specie più resistente e prolifica.
Il primo allevamento italiano ad accogliere il nuovo crostaceo si trovava in Toscana. Dal momento del suo arrivo in Italia nei primi anni ‘90, la diffusione è diventata costante. Nel 1993 un’esondazione nei pressi di Lucca ha permesso a un gran numero di gamberi americani presenti in un allevamento della zona di raggiungere un altro specchio d’acqua poco distante. Nel momento in cui il gambero killer raggiunge un nuovo ambiente però, è impossibile controllare i suoi spostamenti. Una delle sue tante abilità infatti, è quella di poter camminare a lungo fuori dall’acqua, facendo facilmente perdere le sue tracce. Questo comportamento, associato alla capacità di scavare profonde buche nel terreno alla ricerca di umidità, lo rendono resistente a diverse condizioni ambientali, ampliando sensibilmente il suo habitat.
Poco dopo la sua grande invasione però, viene scoperto che la sua carne non è così buona come si credeva, né abbondante come quella dei gamberi nostrani, rendendo esclusivamente nocivo l’inserimento di questa specie invasiva.

Perché lo chiamano "il gambero Killer"

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Il gambero Killer raccontato da Andrea Boscherini

Nei primi anni ‘90 il crostaceo cominciava a muoversi indisturbato lungo i canali di irrigazione della pianura iniziando un percorso di “invasione” dell’intera Penisola, anche grazie a ai trasporti di fauna ittica, all’interno dei quali la presenza di una femmina di gambero della Louisiana con le sue uova permette alla specie di spostarsi anche per lunghe distanze, colonizzando ambienti altrimenti irraggiungibili. Ovunque venga scaricato, questo animale dimostra immediatamente la conseguenza della sua presenza sull’ecosistema. Il Procambarus clarkii, questo il nome scientifico del gambero della Louisiana, è infatti un predatore generalista. Si nutre di tutto ciò che è in grado di catturare, compresi organismi morti e le piante acquatiche, diminuendo sensibilmente la biodiversità degli ecosistemi lacustri.

«Il reale problema – sostiene Andrea Boscherini divulgatore e collaboratore scientifico di GEO, su RAI3 – è che le operazioni di carico dei camion che trasportano la fauna ittica non vengono svolte con le dovute attenzioni. Un solo individuo di gambero della Louisiana, trasportato per errore, può permettere alla specie di colonizzare luoghi anche molto isolati, come i laghi alpini anche sopra i 1000 metri di altitudine».
Il comportamento del gambero della Louisiana lo rende inoltre difficile da controllare per la grande abilità di muoversi senza necessità di acqua. «Questo crostaceo, a differenza del nostro gambero di fiume autoctono, è un instancabile camminatore, in grado di spostarsi di un chilometro in una notte, sotterrarsi e far perdere le sue tracce».

Il crostaceo si nutre anche di chiocciole e di alcune specie di rane, tra cui la protettissima Rana di Lataste (Rana latastei), a rischio proprio a causa del crostaceo. «In alcuni casi, se sottoposti a stress o in mancanza di alternative, questi gamberi possono diventare anche cannibali, nutrendosi degli individui della stessa specie e aumentando ulteriormente la loro possibilità di sopravvivenza», aggiunge Boscherini. La grande flessibilità ambientale, la capacità di sopravvivere al di fuori dell’acqua e la numerosa prole rendono il gambero killer un rivale anche per il nostro gambero di fiume, più sensibile e meno prolifico. «Il gambero autoctono – continua l’esperto – è vittima della peste del gambero: trasmessa dal gambero killer, risente anche del cambiamento climatico perché a differenza del crostaceo americano, non può resistere a lungo alla siccità dei corsi d’acqua».

Il contenimento della specie

«La presenza del gambero americano – conclude il ricercatore – è ormai molto diffusa in tutto il paese e non esistono ancora studi che approfondiscono la possibilità di eradicazione. I fondi per i progetti di eradicazione riguardano soprattutto le specie che creano danni agli umani, mentre considerano poco quelle che creano danni alla biodiversità, sebbene si tratti di danni talvolta irreversibili». La gestione regionale della fauna complica ulteriormente la questione. Ogni regione prende decisioni a sé stanti, ma il gambero continua a muoversi rendendo vani i tentativi che non affrontano la problematica nel suo insieme. Il Piemonte ha diffuso una serie di buone norme da seguire, nell’ottica di ridurre, a lungo termine, l’entità del rischio:

  1. Evitarne il consumo alimentare (rischioso anche a causa delle superfici insalubri in cui si può diffondere).
  2. Non utilizzarli come esche per la pesca.
  3. Disinfettare le imbarcazioni in caso di trasporti da un bacino ad un altro.
  4. Segnalare la presenza alle autorità locali.

Queste abitudini non permetteranno comunque di farlo scomparire e il gambero della Louisiana ci accompagnerà ancora a lungo. Ricordandoci così l’entità del danno che l’ingenuo inserimento di una specie all’interno di un ecosistema alieno può creare all’equilibrio dell’ambiente.

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Claudia Negrisolo
Educatrice cinofila
Il mio habitat è la montagna. Sono nata in Alto Adige e già da bambina andavo nel bosco con il binocolo al collo per osservare silenziosamente i comportamenti degli animali selvatici. Ho vissuto tra le montagne della Svizzera, in Spagna e sulle Alpi Bavaresi, poi ho studiato etologia, sono diventata educatrice cinofila e ho trovato il mio posto in Trentino, sulle Dolomiti di Brenta. Ora scrivo di animali selvatici e domestici che vivono più o meno vicini agli esseri umani, con la speranza di sensibilizzare alla tutela di ogni vita che abita questo Pianeta.
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