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16 Giugno 2022
14:01

Come la genetica e la domesticazione del cane hanno influito sulla relazione con l’uomo

Alcune varianti genetiche sono associate alle differenti performance espresse da cani di varie razze nello svolgimento di test che richiedono l’interazione sociale con l’uomo.

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Una delle domande più interessanti che riguardano lo studio del comportamento del cane è comprendere in che modo il processo di domesticazione ha agito sulla genetica e in che modo eventuali differenze a livello genetico possono eventualmente spiegare differenze comportamentali fra cani appartenenti a razze diverse.

In un nuovo studio pubblicato su Scientific Reports, un gruppo di ricercatori ha cercato di capire se ci fossero delle basi genetiche associabili alla variabilità di alcuni comportamenti legati alle capacità sociali nel contesto dell’interazione sociale con l’uomo.

Il risultato è che sì, a seconda della selezione avvenuta geneticamente e del percorso di coevoluzione con noi, gli individui variano il comportamento e si riferiscono agli esseri umani a seconda delle situazioni in cui ritengono di avere bisogno del nostro supporto o meno.

Come si è arrivati a comprendere il comportamento dei cani coinvolti nello studio

Per analizzare il comportamento dei cani, i ricercatori hanno reclutato 624 soggetti vissuti in ambiente domestico e quindi con esperienze di socializzazione con l’uomo paragonabili, appartenenti a 8 gruppi di razze come i cani giapponesi, Terrier, cani da compagnia, Mastiff, Bichon e così via, suddividendoli a loro volta in 2 gruppi di razze diverse: quelli appartenenti alle razze più antiche (gruppo antico) e alcune razze più moderne (gruppo generale), basandosi sulla loro distanza genetica dal lupo, il loro progenitore in comune.

Successivamente hanno testato le loro capacità cognitive nel contesto dell’interazione sociale con l’uomo usando due test in particolare, uno denominato “test a due scelte” e un altro di problem solving denominato “test irrisolvibile”.

Il primo consisteva nel presentare ai cani un apparato di legno che aveva alle sue estremità due ciotole di cui solo una conteneva il cibo e l’altra era vuota. Dopo aver imparato ad associare la presenza del cibo in una delle ciotole, i cani venivano testati in varie condizioni dove gli sperimentatori davano via via sempre meno segnali di comunicazione come ad esempio tramite il contatto visivo, indicando con il dito una ciotola fino a tamburellare con le dita su di esse, in modo tale da testare la capacità dei cani di leggere specificatamente i segni di comunicazione degli esseri umani seguendo un certo gradiente di difficoltà.

Nel secondo, i cani dovevano interagire con un apparato che aveva al suo apice un contenitore di plastica contenente del cibo facilmente accessibile. Una volta che i cani avevano imparato ad associare la presenza del cibo in quel contenitore, quest’ultimo veniva chiuso meccanicamente rendendo il test “irrisolvibile” per loro.

In questa fase veniva osservato e registrato il comportamento dei cani per verificare, a seguito dell’impossibilità di aprire il contenitore, quante volte effettuassero il cosiddetto “look back”, ovvero se si  girassero rivolgendo il loro sguardo verso lo sperimentatore, per quanto tempo cercavano il contatto visivo e quante volte alternavano questo scambio di sguardi verso il ricercatore e verso il contenitore bloccato: comportamenti che sono correlati alle capacità dei cani di cercare l’aiuto dell’essere umano nel risolvere un problema per loro impossibile.

I cani appartenenti al gruppo antico, principalmente costituito da razze giapponesi molto vicine filogeneticamente al lupo come gli Akita, gli Shiba e gli Husky, si comportavano in maniera simile ai cani del gruppo generale per quanto riguardava il primo test mostrando dunque una paragonabile capacità di saper leggere i segnali di comunicazione degli esseri umani. Per quanto riguarda il secondo test, cercavano meno frequentemente lo sguardo degli esseri umani e mantenevano il contatto visivo meno a lungo una volta posti dinanzi al test irrisolvibile rispetto ai cani del gruppo generale.

La raccolta dei dati genetici

Assieme a questi risultati comportamentali, i ricercatori hanno anche raccolto campioni del DNA di ogni cane per studiare eventuali differenze genetiche potenzialmente associabili alle differenze espresse dai cani per quanto concerne queste capacità cognitive e sociali testate in questi due esperimenti.

In particolare, i ricercatori si sono focalizzati sull’analisi dei polimorfismi (variazioni) di alcuni geni già noti per la loro importanza nell’emergenza delle caratteristiche biologiche e cognitive alla base di vari comportamenti sociali, dalla motivazione ad interagire socialmente con altri individui, al diverso grado di ansia e di paura nell’interazione verso nuovi stimoli ambientali e così via.

Sono stati studiati principalmente il gene MC2R, coinvolto nell’espressione dei recettori dell’ormone adrenocorticotropo nella ghiandola surrenale, quindi importante nell’espressione del cortisolo, un ormone che è fondamentale nella regolazione dei comportamenti di risposta allo stress e nella regolazione dei livelli di ansia e aggressività negli animali e i geni dell’ossitocina e dei suoi recettori(OT e OTR4), questi ultimi implicati nella formazione dei legami sociali e d’attaccamento fra gli animali giocando quindi un ruolo importante nel regolare ad esempio la motivazione dei cani a seguire e a cercare l'interazione con il proprio caregiver.

In particolare, un polimorfismo del gene MC2R è risultato essere associato al tasso di successo del primo test, cioè quante volte i cani riuscivano a seguire correttamente i segnali dell’uomo, un risultato che presumibilmente è dovuto ai meccanismi biologici a cui questo gene fa riferimento, ovvero al diverso grado di ansia e paura che i cani possono sperimentare nell’interazione con uno sperimentatore umano in un contesto sperimentale e che possono pregiudicare la sua performance in un compito simile.

Sono stati individuati anche dei polimorfismi legati ai geni dell’ossitocina e dei suoi recettori, i quali sono risultati correlati ai risultati delle performance del secondo test, ovvero per quanto riguarda la capacità dei cani di mantenere il contatto visivo, la frequenza e la durata degli stessi, tutte caratteristiche che sono associabili alle variazioni di questi geni proprio perché gli stessi sono importanti nell’emergenza di quelle caratteristiche comportamentali che sono alla base della motivazione e della gratificazione per quanto concerne l’interazione diretta con l’uomo, in questo caso veicolata dal mantenimento del contatto visivo.

Inoltre, i polimorfismi dei geni MC2R e quelli dell’ossitocina sono risultati essere correlati anche alle differenze fra il gruppo delle razze antiche e quelle generali, mostrando dunque come probabilmente le differenze comportamentali evidenziate fra questi gruppi di razze canine nei due test potrebbero essere spiegate da queste differenze genetiche.

Assieme questi risultati ci dicono sia come esista una variabilità comportamentale che distingue le varie performance dei cani in base alla loro razza, sia come tali differenze possono essere attribuite a variazioni di specifici geni in particolare e come presumibilmente questi ultimi siano stati, fra gli altri, il target specifico su cui ha agito sia il processo di domesticazione del cane, sia il processo di selezione artificiale delle varie caratteristiche comportamentali delle razze canine.

Sono un biologo naturalista di formazione, attualmente studente magistrale presso L'università di Pisa. Comprendere i meccanismi che muovono il comportamento degli animali e le ragioni che ne hanno permesso la loro evoluzione sono le domande principali che muovono la mia ricerca e la mia passione per l'etologia. Rispondendo ad esse, tento di ricostruire sia il filo conduttore che accomuna l'etologia di ogni specie animale, sia le differenze che distanziano ogni ramo evolutivo dall'altro.
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