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21 Ottobre 2022
17:13

Come il cimurro canino sta modellando l’evoluzione dei lupi

In Nord America il virus del cimurro canino ha decimato le popolazioni di lupi. Questo ha permesso, però, agli studiosi di notare come il gene che rende resistenti gli individui alla malattia sia strettamente legato a quello che codifica per il colore del mantello nero.

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L'evoluzione non opera coscientemente e non è frutto di una mente umana che decide a priori come modellare l'aspetto e il comportamento delle specie. I suoi strumenti sono fattori ambientali esterni e interni alle popolazioni come malattie e lotte fra individui per acquisire un rango superiore. Un esempio di questa opera di modellazione lo offre un recente studio che individua i focolai del virus del cimurro canino (CDV) in Nord America come possibili guide dell'evoluzione del colore della pelliccia e del comportamento di accoppiamento nei lupi.

Nel 1995 i lupi furono reintrodotti nel Parco Nazionale di Yellowstone, negli Stati Uniti, dopo settant’anni di assenza. Da allora gradualmente ci fu un miglioramento dell'equilibrio tra predatori e prede e la possibilità per altre specie animali e vegetali di prosperare. Riuscire a diminuire la presenza degli erbivori permise una corretta ricrescita della vegetazione che, conseguentemente, fece diminuire l’erosione del suolo e le sponde dei fiumi si stabilizzarono. I canali si ridussero, si formarono molti stagni e questo incredibile cambiamento geografico si deve soltanto alla ripresa di questi animali.

Capire, dunque, quali siano i meccanismi che regolano l'evoluzione della specie è fondamentale non solo per la sua salvaguardia, ma per il benessere di interi ecosistemi. In questa cornice si inserisce quindi lo studio sull'effetto del CDV sui lupi di un team di ricercatori dell'Università di Montpellier, in Francia, che ha pubblicato i risultati sulla rivista Science.

La tragica storia dello stato di salute dei lupi del Parco Nazionale di Yellowstone

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La storia dei lupi del Parco Nazionale di Yellowstone è stata da sempre travagliata. Nel 1997, appena due anni dopo la reintroduzione, furono condotte su un campione di lupi delle analisi per verificarne lo stato di salute rivelando che tutti i lupi testati presentavano almeno una infezione tra cimurro canino, parvovirus canino e herpesvirus canino. Furono messe in atto numerose misure di prevenzione e la popolazione, nonostante si attestasse comunque su bassi numeri, riuscì a stabilizzarsi. Sfortuna vuole che un decennio dopo, a partire dal 2007, i lupi all'interno del parco risultarono positivi alla rogna, un'infezione in cui degli acari si insinuano sotto la pelle causando un forte prurito che istiga gli animali a grattarsi furiosamente causandosi lacerazioni della cute.

Alcuni studi che approfondirono la vicenda fecero risalire l'origine della rogna a un gruppo di lupi conosciuto come il "branco di Mollie", il primo a mostrare segni della malattia. Questa si espanse rapidamente a quasi tutti i lupi del parco fino al marzo del 2011, quando i segni della malattia scomparvero e l'infezione fu dichiarata debellata. Questo branco, però, è da considerarsi fortunato poiché una sorte diversa toccò a un altro gruppo chiamato "il branco di Druid" che fu decimato alla fine dell'inverno del 2010 proprio dalla rogna in soli sei mesi.

Nel corso di questi anni, quindi, le malattie hanno giocato un ruolo fondamentale per selezionare gli individui e, conseguentemente, i loro codici genetici. Oggi in Nord America troviamo principalmente lupi con mantelli grigi o neri, colori che si presentano in diverse percentuali nelle varie popolazioni. Diversi studi si sono interessati ad approfondire il motivo genetico della presenza di questi due colori, scoprendo che i lupi neri possiedono un gene che codifica per il colore scuro del mantello e che è anche legato alla resistenza al CDV.

L'effetto del cimurro canino sull'evoluzione dei lupi

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Il CDV è una malattia respiratoria contagiosa che può infettare la maggior parte dei carnivori, compresi i lupi, e che può spazzare via intere cucciolate e uccidere adulti già debilitati. I focolai epidemici di questa malattia possono avere un impatto importante sulle popolazioni e anche se ad oggi esistono molte ricerche riguardo l'evoluzione dell'agente patogeno e l'insorgenza di nuovi ceppi del virus in diverse popolazioni, la resistenza degli animali alla malattia è ancora poco studiata.

Nell'ultimo periodo in tutto il Nord America c'è stata una grande epidemia di CDV che ha messo in seria difficoltà le popolazioni di numerosi carnivori del continente. Il team di ricerca francese ha condotto diverse osservazioni a riguardo combinano i dati dell'epidemia delle popolazioni del Nord America con quelli dell'iconica popolazione di lupi di Yellowstone. I risultati sono stati quantomeno sorprendenti: i lupi con il mantello nero erano quelli che resistevano di più alla malattia rispetto ai lupi grigi, tuttavia, mentre i lupi neri avevano maggiori probabilità di sopravvivenza, gli autori affermano avevano anche un tasso di riproduzione visibilmente più basso rispetto ai lupi grigi.

Dal punto di vista genetico il fenomeno è spiegabile in maniera più o meno semplice. Alcuni geni sono strettamente legati fra loro poiché, ad esempio, sono disposti su un filamento di DNA uno accanto all'altro. Un esempio è proprio quello dei geni che codificano per il mantello nero e che dona la resistenza al CDV. Questo loro legame fa si che quando vengono trasmessi alla generazione successiva siano presenti nella prole quasi sempre contemporaneamente, per cui è facile presumere che se vediamo un lupo con il manto nero questo avrà con tutta probabilità anche il gene che lo rende resistente alla malattia.

Il fatto che il colore del mantello dia informazioni riguardo lo stato di salute di un animale e le condizioni ambientali non è nuovo ai ricercatori ed è da sempre apprezzato dai biologi della conservazione poiché possono utilizzare questi dati per trarre conclusioni sullo stato di salute di una popolazione in breve tempo. Dunque, grazie a questo nuovo studio da oggi gli esperti avranno a disposizione un ulteriore elemento per garantire una corretta gestione delle popolazioni di lupi e il tutto senza dover ricorrere a pericolose procedure invasive.

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