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14 Marzo 2023
12:12

Come i rospi mi hanno insegnato a fare i primi passi in una ricerca scientifica

Questa storia parla sia di un compleanno passato con dei rospi in una montagna sperduta della Spagna, sia dei passaggi utili per pubblicare un manoscritto scientifico.

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La notte mi entra nelle ossa e sono piuttosto confuso: non dovrebbe fare così freddo a luglio. Un compasso mentale traccia intorno a me un cerchio per alcuni chilometri immaginando quante persone possano esserci nelle vicinanze e penso: «Che silenzio. Qui ci sono solo io e i rospi». Ormai ho perso le speranze, questi animali non canteranno mai. Fra pochi giorni si concluderà la mia borsa di ricerca in Spagna e se non recupero al più presto ulteriori dati sul canto dei rospi avrò sprecato sei mesi della mia vita e un sacco di soldi.

Attendo ancora un attimo seduto sull'erba intrisa di umidità. Fischio timidamente con la speranza di suscitare in quegli animaletti un qualche tipo di risposta: "Fiù". Alcuni interminabili secondi di vuoto e poi dalla piccola pozza d'acqua si leva impercettibilmente un gracidio di risposta, un "fiù" quasi a dire: «Dai, oggi è la tua giornata buona». Sospiro di sollievo e mi alzo di scatto, poi senza fare rumore mi avvicino al tavolo di legno con sopra la strumentazione, mi metto le cuffie e accendo il registratore: «Sono le 2 del mattino del 16 luglio 2020. La temperatura è di 10 gradi con il 60% di umidità relativa. Oggi è il mio compleanno e i rospi hanno deciso di farmi un regalo».

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Esemplare di Alytes obstetricans

Questo è uno degli episodi più significativi che ricordo della mia esperienza in Spagna, i "fiù, fiù, fiù" ritmici di Alytes obstetricans che parlottano fra di loro mentre io finalmente li ascolto nelle cuffie il giorno del mio compleanno. Sono stato in Spagna per 6 mesi nel 2020 per effettuare una ricerca in biotremologia, una branca della bioacustica che studia le vibrazioni e l'effetto di esse sugli animali. Purtroppo, però, il 2020 non fu un anno semplice: per colpa della pandemia ricordo che la primavera passò veloce e l'unica esperienza nell'ambito della ricerca effettuate i primi 4 mesi sono state solo delle infruttuose analisi dati fatte durante i lunghi giorni di quarantena.

Come spesso accade nelle fasi di preparazione di una ricerca, il mio progetto era piuttosto semplice su carta: studiare l'effetto delle vibrazioni della pioggia e del vento sull'alite ostetrico, un rospo endemico della penisola iberica e di parte dell'Europa occidentale. Avrei dovuto passare i primi due mesi facendo formazione alla fonoteca zoologica del Museo di Scienze Naturali di Madrid, un archivio di versi degli animali fra i più grandi in Europa. I restanti quattro, invece, li avrei dedicati interamente alla ricerca sul campo nelle Asturie, una regione a nord della Spagna, a più di 4 ore di macchina da Madrid.

Riuscivo già ad assaporare l'odore della notte in alta montagna, il buio quasi totale intorno a me e come compagnia solo il gracidio dei rospi e la luce della torcia frontale. Dal 14 marzo fino alla fine di maggio, però, il governo spagnolo decretò lo stato di allarme in tutto il paese e i miei piani, come quelli di miliardi di persone in tutto il mondo, dovettero cambiare. Non più 4 mesi di ricerca in campo, ma solo uno due e, soprattutto, non più nelle Asturie, ma in un piccolo borgo di montagna a nord della Comunità di Madrid con poco più di 1000 abitanti: Rascafría.

Il nome Rascafría viene da due termini spagnoli: "hacer rasca", un modo colloquiale per indicare un freddo intenso, e "fría" che significa nuovamente freddo. Eccomi dunque a luglio in un paese che si chiama "Freddo-freddo" a dover correre contro il tempo su un gelido prato nel silenzio di una notte in montagna. Dopo 4 mesi di pausa, infatti, dovevo affrettarmi a raccogliere più dati possibili su come il canto di questi anfibi venisse influenzato positivamente o negativamente dalle vibrazioni di fattori ambientali, ma non avevo fatto i conti con un elemento molto importante: gli animali sono estremamente imprevedibili e se a un rospo non va di cantare, non canta.

Come si passa dalla raccolta dati alla pubblicazione di uno studio scientifico

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Sulla sinistra Rafael Márquez Martínez de Orense, ricercatore in bioacustica al Museo di Scienze Naturali di Madrid. A destra il sottoscritto. Rascafría, luglio 2020

Quel campionamento nel giorno del mio compleanno notturno non fu certamente l'unico. Nonostante la mia breve esperienza, essere responsabile di un progetto di ricerca e portarlo avanti dall'inizio alla fine mi ha dato numerosi strumenti utili per comprendere questo mondo spesso complesso e nascosto. Sarebbe un peccato non condividere tali nozioni che, proprio come sono state rivelatrici per me, potrebbero esserlo anche per molte altre persone.

Vorrei illustrare, dunque, quali sono stati i passi effettuati da me per poter portare avanti una ricerca, passi che non devono essere per forza fatti con questa sequenzialità e che si basano su una visione solo della mia esperienza limitata, ma che comunque possono fornire uno spunto di riflessione utile per comprendere a grandi linee quali sono gli step fondamentali di una indagine scientifica.

Lo "stato dell'arte"

Innanzitutto, prima ancora di scendere in campo e osservare gli animali c'è bisogno di studiare tanto. Spesso servono mesi di letture di elaborati scientifici poter fare il quadro della situazione detto anche "lo stato dell'arte". Per mia fortuna, come a volte accade a chi intraprende una carriera da ricercatore dopo l'università, avevo a mia disposizione già molto materiale sulla bioaucstica, la biotremologia e il senso dell'udito degli anfibi grazie a una tesi magistrale che avevo fatto per il corso di laurea in Biodiversità e gestione degli ecosistemi dell'Università degli Studi Roma Tre.

L'ipotesi zero

Una volta compreso ciò di cui si sta parlando è arrivato il momento di porsi una domanda, la cosiddetta "ipotesi zero". Non una domanda qualsiasi, certo, ma un quesito al quale, per ora, non c'è una risposta. Il mio, ad esempio, è stato: qual è l'effetto delle vibrazioni causate dalla pioggia e dal vento sull'alite ostetrico? Un dubbio piuttosto specifico, ma spesso i lavori nella letteratura scientifica si basano sull'osservazione di un dato particolare per poi, a macchia d'olio, verificare se è possibile fare le stesse considerazioni anche in altri casi.

Teoricamente lo scopo della domanda è neutro e lo sperimentatore non dovrebbe avere nessun pregiudizio riguardo i risultati dello studio, ma questo solo in teoria. Inoltre, accade a volte che le approfondite conoscenze nell'ambito di studio di un ricercatore gli permettano di notare comportamenti e situazioni fuori dagli schemi. In quel caso si può partire da un fatto aneddotico e da lì si cerca di capire se ciò che si è osservato solo una volta sia invece una regola generica.

In poche parole, se avessi visto il piccolo alite comportarsi in modo anomalo durante una escursione in montagna avrei potuto creare una ipotesi zero had hoc basata su quella singola osservazione, costruendo un esperimento intorno a essa.

Strutturare l'esperimento

A questo punto è arrivato il momento di immaginare l'esperimento, un lavoro che richiede una buona dose di creatività. Le caratteristiche di un buon esperimento sono: essere replicabile, in quanto ripetuto in condizioni assolutamente analoghe restituisce risultati equivalenti, o riproducibile, ovvero essere ripetuto in condizioni simili mettendo in conto le eventuali differenze. Inoltre, le condizioni dell'esperimento devono essere il più precisamente descritte e stabilite in maniera rigorosa: ogni replica dell'esperimento deve avere gli stessi parametri, altrimenti si rischia di falsare i risultati.

Mentre alcuni esperimenti semplici ed eleganti richiedono solo che l'osservatore sia nel posto giusto al momento giusto, altri hanno bisogno di apparecchiature sofisticate e abilità particolari dello sperimentatore, proprio come nel mio caso.

Per capire come reagivano i rospi alle vibrazioni, infatti, ho dovuto mettere in piedi un set sperimentale che coinvolgeva un computer, due microfoni, un geofono per ascoltare le vibrazioni del terreno e un trasduttore tattile, una sorta di cassa per emettere le frequenze sotto terra. Ogni sera, quindi, montavo in sella sulla mia fidata bicicletta rossa presa in prestito e scendevo dal paesino arroccato in montagna fino ad arrivare al Centro di Allevamento in Cattività degli Anfibi Minacciati della Sierra de Guadarrama.

In questo luogo vengono tenuti gli anfibi a rischio di estinzione locale, animali minacciati da un fungo che ne ha decimato la popolazione e che se non fossero in un ambiente protetto ora sarebbero scomparse dalla Comunità di Madrid. Arrivato al cancello principale della struttura smontavo dalla bici, aprivo con le chiavi il grande portone di ferro, sistemavo l'apparecchiatura e mi godevo gli ultimi istanti di luce prima di piombare nel buglio della notte. Se gli animali erano abbastanza magnanimi e "decidevano" di cantare, allora potevo somministrare loro le innocue vibrazioni della pioggia e del vento e registrare con i microfoni ogni singola variazione del loro canto.

Raccolta dati

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Il canto di Alytes obstetricans e in lontananza la voce del professor Rafael Marquez che descrive l'esperimento.

Una semplice domanda che si fanno tutti i ricercatori in erba e che mi sono fatto anche io quando ho iniziato è stata: quanti dati raccogliere? La risposta è altrettanto semplice: il più possibile. Ci sono diversi strumenti statistici che permettono ai ricercatori di farsi una idea generale di quante ore dovranno passare in natura, quanti canti dovranno ascoltare, quanti esemplari dovranno osservare e così via. Strumenti che, però, devono tener conto della disponibilità di tempo delle persone e, soprattutto, degli animali.

Aldilà della del tempo che può utilizzare il ricercatore, infatti, chi detta la tabella di marcia nella maggior parte degli studi su fauna selvatica sono proprio gli animali. Non esistono orari di ufficio e chi inizia un esperimento non avrà mai la certezza di riuscirlo a terminare nei tempi prestabiliti. Per questo motivo, se non si raccolgono abbastanza dati durante una stagione, si dovranno ripetere le osservazioni successivamente, prolungando gli studi anche per anni.

Considerando gli esigui fondi a mia disposizione non potevo certo permettermi di perdere tempo: ogni singola nota emessa da quei piccoli rospi era per me vitale.

Nel mio caso ho dovuto proporre vibrazioni e registrare l'effetto di questo sul canto dei rospi per i mesi di giugno e luglio 2020. Ogni notte mi recavo alla mia postazione nel Centro di Allevamento in Cattività degli Anfibi Minacciati della Sierra de Guadarrama, mi mettevo le cuffie e pregavo che gli animali fossero attivi per iniziare l'esperimento. Alle volte mi sedevo sul prato umido, le ginocchia chiuse al petto e fissavo le casette di mattoni che avevamo fatto apposta per fornire riparo ai rospi. Fischiavo un leggero "fiù" con la stessa intonazione dei rospi, sperando in una risposta che spesso arrivava nel momento più inaspettato.

Analisi dati

È normale pensare che la parte più complessa sia passare interminabili ore nell'attesa di un minimo segnale degli anfibi che stai studiando, ma non è così. Una volta acquisiti i dati, tutti quelli sui quali sei riuscito a mettere le mani almeno, arriva il momento di utilizzare dei programmi di analisi dati. Nel migliore dei casi il team di ricerca è composto da uno o più statisti in grado di risolvere questa parte del lavoro. Il mio team, all'epoca, era composto da sole due persone: io e Rafael Márquez Martínez de Orense, ricercatore in bioacustica al Museo di Scienze Naturali di Madrid.

Fortunatamente il professore Márquez può contare su una moltitudine di conoscenze fra colleghi e amici che, al modico e onesto prezzo di essere riconosciuti come autori dello studio, ci hanno aiutato con le complesse analisi statistiche. Inutile entrare troppo nel dettaglio su cosa sono e come si effettuano, servirebbe un corso universitario solo per imparare le basi. Diciamo solo che in linea di massima la statistica si avvale della matematica per studiare schemi e correlazioni all'interno di un fenomeno, in questo caso biologico. Questo avviene attraverso la raccolta e l'analisi delle informazioni relative al fenomeno studiato e nel mio caso ho registrato dati relativi alle frequenze dei canti, il numero di note emesse, la durata di ogni canto e così via.

Ciò che dovrebbero fare le analisi dati è trovare correlazioni o schemi. Un rospo che aumenta l'intensità del proprio canto ogni volta che percepisce le vibrazioni della pioggia, ad esempio, è uno schema. Spesso a questi dati vengono affiancate informazioni sulla temperatura, l'umidità relativa e altre condizioni ambientali per capire se questi fenomeni abbiano un qualche tipo di correlazione con l'ambiente circostante.

Produzione del manoscritto e sottomissione

Se le analisi statistiche rivelano un qualche tipo di risultato arriva il momento di interpretarle. In questo caso sopraggiunge l'esperienza e la conoscenza del ricercatore che è in grado di spiegare logicamente il dato o il grafico prodotto. Una volta ottenuti tutti i grafici e le tabelle del caso arriva il momento di mettere insieme il manoscritto. Serve un titolo accattivante ma esplicativo e un abstract, ovvero un riassunto del proprio studio di circa 200 parole (numero che varia molto a secondo della rivista sulla quale si intende pubblicare).

C'è bisogno poi di descrivere in ordine i nomi degli autori dello studio con le relative affiliazioni, centri di ricerca, università e istituzioni nelle quali lavorano. Il primo autore, in teoria, è colui che ha contribuito più al lavoro, tra cui la scrittura del manoscritto stesso. Gli altri autori dovrebbero essere nominati in sequenza a seconda dei relativi contributi ed è pratica comune far apparire l'autore più anziano per ultimo, a volte indipendentemente dal suo contributo.

I paragrafi da inserire successivamente sono, quasi sempre, una "introduzione" dove si spiega lo stato dell'arte sull'argomento e una descrizione degli strumenti usati e dei luoghi dove si è effettuato l'esperimento chiamato "materiali e metodi". Successivamente si descrivono i risultati delle analisi statistiche, con particolare attenzione nel parlare dei modelli matematici utilizzati, in una sezione chiamata, appunto, "risultati". Poi c'è la sezione delle "discussioni", ovvero il paragrafo dove si interpretano i risultati statistici e, in fine, c'è forse la parte più importante: "la bibliografia". Questo è un elenco degli studi scientifici, i libri, i simposi e qualsiasi altro materiale utilizzato per documentarsi sulla materia di studio ed è una delle parti essenziali per gli altri scienziati che devono valutare la correttezza delle informazioni all'interno dell'elaborato.

Così, terminata la produzione scritta che prevede spesso mesi e mesi di confronti fra gli esperti, si cerca una rivista scientifica utile per la pubblicazione. Non mi dilungo eccessivamente sui criteri per scegliere la rivista più adatta, ma è importante sottolineare due cose: innanzitutto è necessario il più delle volte pagare molti soldi per poter sottomettere il proprio manoscritto e, una volta fatto, bisognerebbe passare per una lunga serie di correzioni detta "peer review" o "revisione fra pari", la procedura di valutazione e di selezione degli articoli o dei progetti di ricerca effettuata da specialisti del settore per verificarne l'idoneità alla pubblicazione o al finanziamento, un processo non previsto in tutte le riviste.

Insomma, dopo mesi passati a correggere il manoscritto affinché possa avere la giusta formattazione, si aspettano altri mesi in cui ricercatori esperti dell'argomento revisionano meticolosamente tutti i passaggi, chiedendo agli autori dello studio sotto esame di modificare o chiarire alcuni punti nel caso ci siano informazioni contrastanti o punti poco chiari. In alcuni casi è possibile che la ricerca venga reputata non adatta e non pubblicata, se invece tutte le correzioni soddisfano la revisione, si può passare finalmente alla pubblicazione.

Che effetto hanno le vibrazioni sui rospi?

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Cala la notte al Centro di Allevamento in Cattività degli Anfibi Minacciati della Sierra de Guadarrama

Servirebbero molte altre righe per descrivere un processo così complesso come la produzione e la pubblicazione di una ricerca, ma l'intento era fornire gli elementi di base a persone che mai prima d'ora avevano sentito parlare di peer review o abstract. In ogni caso, il mio lavoro è stato finalmente pubblicato a dicembre del 2022 con un titolo piuttosto complicato: "Effetto delle vibrazioni naturali del suolo abiotico, delle precipitazioni e del vento sul comportamento degli anuri: un test con aliti ostetrici allevati in cattività (Alytes obstetricans)".

Sono state necessarie ore di sudore versato sulla tastiera del mio computer e lunghe telefonate in spagnolo e inglese con gli altri autori ma ora l'articolo è disponibile online per la consultazione a qualsiasi persona venga mai in mente di cercare uno studio scientifico sull'effetto delle vibrazioni sugli anuri, ovvero gli anfibi senza coda come rane e rospi.

L'intero lavoro può essere riassunto così: i rospi reagiscono alle vibrazioni del vento diminuendo l'intensità del proprio canto, probabilmente per evitare di essere troppo esposti facendo così seccare la loro pelle che, invece, deve rimanere umida il più possibile. Uno studio costato centinaia di ore e notti insonni ora è una conoscenza di dominio pubblico, un piccolissimo passo avanti per comprendere il complesso mondo degli anfibi e le loro relazioni con l'ambiente circostante.

Sono lavori come questo che modificano sostanzialmente la percezione della natura da parte dell'uomo. Quelle lunghe ore passate in solitudine con i rospi a molti possono sembrare noiose, ma solo in questo modo ho compreso quale potesse essere il regalo di quegli animali: ho imparato che i miei occhi non sono gli unici con cui è possibile guardare il mondo circostante.

Lavori come questo permettono di descrivere un piccolo fazzoletto di realtà alternativa, una concretezza diversa dalla mia che non potrò mai sperimentare, ma non per questo meno vera. Questo è il regalo dei rospi.

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