In un nuovo studio pubblicato sulla rivista Primates, alcuni ricercatori hanno studiato i comportamenti e le strategia di difesa contro i predatori di un gruppo di 78 entelli del Nepal (Semnopithecus schistaceus), una specie di primati sociali che vivono in gruppi che possono raggiungere il numero di 100 individui, distribuiti principalmente nelle zone del subcontinente indiano.
Proprio in queste zone e grazie alla loro grande adattabilità e plasticità comportamentale, l’habitat di questi primati combacia e si sovrappone con le aree caratterizzate dalla presenza agricola umana dove è facile ed è inevitabile l’interazione di questi animali sia con l’uomo sia con animali domestici come i cani che abitano nei villaggi di questi agricoltori.
Non è raro che le interazioni fra questi primati e gli umani abbiano risvolti neutri o addirittura positivi per loro, purtroppo però possono esserci anche esiti negativi dati dall’interazione e dalle aggressioni da parte dei cani domestici con conseguenze anche mortali per le scimmie.
Le più incredibili strategie di difesa degli animali
Infatti, in un periodo di osservazione di 2 anni, i ricercatori hanno visto come fra 312 interazioni fra entelli e cani, 15 di esse erano delle vere e proprie aggressioni a danno dei primi ed in 8 di queste i cani purtroppo arrivavano ad uccidere e a consumare sul posto le loro vittime, fra cui vi erano femmine adulte, giovani o cuccioli.
Di fronte a questi eventi di predazione, gli entelli non risultavano comunque totalmente indifesi, specialmente per quanto concerne le strategie difensive che mettevano in atto i maschi adulti di questa specie: si è visto come infatti la plasticità delle risposte comportamentali anti-predatorie che si sono evolute in questa specie per fronteggiare i loro predatori naturali, come ad esempio tigri, pantere e lupi, venissero utilizzate anche per fronteggiare l’aggressione dei cani.
Tendenzialmente gli entelli hanno 3 frecce nel loro arco: i comportamenti di fuga e di freezing, ovvero restando immobili o fingersi morti, i richiami d’allarme, e il combattimento corpo a corpo.
Ciò che restava da capire ai ricercatori era in che modo e per quali motivi i maschi adulti scegliessero l’una o l’altra strategia, queste ultime diverse per il grado di rischio a cui le scimmie potevano incorrere mettendole in pratica: è chiaramente meno rischioso scappare o fingersi morti dinanzi a un predatore piuttosto che affrontarlo a viso aperto oppure facendosi notare urlando dei richiami d’allarme. Quale delle tre strategie difensive sceglierà il maschio adulto e perché?
I fattori che facevano la differenza rispetto alla scelta della strategie di difesa utilizzata dai maschi erano quelli sociali, come il tempo di permanenza nel gruppo, ovvero da quanto tempo si erano stabiliti in quel gruppo sociale, il tipo di legame sociale che avevano con gli altri individui presenti (parenti diretti o conoscenti con cui avevano un legame sociale importante come ad esempio le loro partner) ed infine la loro posizione sociale all’interno del gruppo.
I maschi presenti da più tempo nel gruppo erano quelli più propensi a correre rischi, ingaggiando comportamenti di difesa più rischiosi fino ad arrivare a contrattacchi fisici verso i cani, specialmente se si trovavano a difendere la loro prole, la loro partner sociale (femmina adulta), oppure loro parenti come fratelli e cugini.
Viceversa maschi arrivati nel gruppo da meno tempo erano meno propensi a rischiare, preferendo delle strategie più sicure per loro stessi come la fuga o il freezing.
Anche l’esperienza gioca un ruolo importante, infatti gli entelli maschi adulti che avevano avuto già esperienze di attacchi predatori da parte dei cani erano coloro i quali ingaggiavano più spesso lo scontro fisico e che usavano più spesso i richiami d’allarme rispetto ai meno esperti, mostrando di essere più propensi a rispondere all’aggressione con comportamenti a loro volta più rischiosi, visto non si trattava di una situazione a loro completamente sconosciuta.
Questi “guerrieri esperti” erano anche in grado di capire il potenziale di pericolosità dei cani, riuscendo addirittura a ricordare quali fossero quelli più pericolosi sulla base di precedenti aggressioni in cui avevano ucciso qualche loro compagno; proprio verso questi cani, venivano indirizzate le risposte anti-predatorie più violente e rischiose.
Insieme, questi risultati mostrano come in contesti dove esiste la sovrapposizione degli habitat e delle nicchie ecologiche fra quella umana, degli animali domestici e di quella degli animali selvatici, possa purtroppo creare dei pericoli per la fauna selvatica stessa, con conseguenze importanti per la conservazione delle loro popolazioni.
Dal punto di vista etologico, però, mostrano in maniera molto interessante sia come la plasticità comportamentale di questa specie di primati permetta loro di affrontare in maniera flessibile e immediata l’arrivo di un nuovo pericolo predatorio portato indirettamente dall’uomo sia come questi animali siano spinti a scegliere le difese più o meno rischiose da attuare in base al tipo di motivazione sociale vissuta e come quest'ultima sia legata a fattori come il tempo di appartenenza ad un gruppo e al tipo e valore dei legami sociali che formano con gli individui presenti.