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26 Gennaio 2024
17:17

Come gatti e topi: nel Giorno della Memoria gli animali del fumetto “Maus” raccontano l’Olocausto

Il fumetto "Maus", capolavoro di Art Spiegelman, attraverso l'antropomorfizzazione degli animali protagonisti, racconta in modo unico la Shoah e gli orrori dell'Olocausto.

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Nella Giornata della Memoria c'è ancora qualcosa di non detto sull'Olocausto? Può sembrare di no a chi è nato e cresciuto in tempi moderni ma questa considerazione è invece ancora attuale solo perché c'è stato qualcuno, più di qualcuno per fortuna, che l'etichetta di "sopravvissuto" se l'è strappata di dosso e sul tatuaggio dei campi di concentramento ha idealmente scritto un'altra parola, sostituendo i numeri alle lettere: testimone.

E una testimonianza può essere trasmessa da una generazione all'altra in molte modalità differenti, finanche con l'antropomorfizzazione degli animali per raccontare attraverso un fumetto quello che nemmeno le parole riescono a spiegare. E così ha fatto Art Spiegelman con il suo capolavoro "Maus".

Dall'arte rupestre alla sottocultura del "Furry Fandom"

Quanto gli animali facciano parte della nostra vita e quanto ci aiutino, loro malgrado e a prescindere dalla verità delle loro singole esistenze, a comunicare tra di noi "attraverso di loro" è dimostrato da tantissimi esempi nel corso dell'evoluzione della storia di Homo sapiens.

Si disegnano animali dalla notte dei tempi, come dimostrato da un' importante scoperta archeologica a Sulawesi, isola indonesiana a est del Borneo, dove sono state ritrovate le pitture rupestri di alcuni maiali risalenti a circa 45 mila anni fa. Si lasciano parlare gli animali al posto nostro nei film d'animazione, tipici quelli della Disney, e con l'escamotage della favola mettiamo loro in bocca i nostri pensieri e li facciamo comportare secondo le nostre emozioni come esseri umani buffi, teneri ma anche cattivi e violenti.

La letteratura è piena di personaggi simbolici traslati dalla fauna che rappresentano le nostre proiezioni: da "Il libro della giungla" fino a "Cappuccetto rosso". Diversi e tanti sono gli esempi che poi vengono racchiusi nella cosiddetta sottocultura del "Furry Fandom", due parole la cui traduzione in italiano è semplice per quanto riguarda la prima ("furry" = "peloso") mentre nella seconda racchiude una crasi tra le parole "fan", nel senso di "appassionato" e la parte finale della parola "kingdom", ovvero "regno" in italiano. Praticamente sono tutte storie con tratto antropomorfo in cui gli esseri umani si impersonificano in soggetti animali, nello specifico mammiferi, visto che poi ci sono altri filoni che riguardano altre classi, come i rettili e i volatili. La cultura Furry arriva fino a delle estremizzazioni ma non è di quelle che in questo articolo si parla, ovviamente.

In una così vasta fenomenologia del genere antropomorfo nell'espressione artistica umana, però, mai nessuno aveva provato a raccontare l'Orrore, quello con la o maiuscola che ben sintetizza quanto accaduto durante la Shoah, attraverso l'arte del fumetto e utilizzando come espediente narrativo appunto degli animali nei panni dei protagonisti di un'opera che purtroppo non è di pura fantasia.

Art Spiegelman nel 1986 pubblica "Maus" e fa nascere il filone della graphic novel ma, soprattutto, sconvolge completamente uno story telling che consente alla Memoria collettiva di aggiungere un tassello in più e in forma diversa per non dimenticare la morte di 6 milioni di ebrei causata da individui della stessa specie.

L'artista disegna la storia efferata dell'umanità di cui fa parte ma il tratto non genera lineamenti umani ma musi e corpi di animali umanizzati che attraverso l'opera di comic art esorcizzano il dolore e trasferiscono ai posteri il ricordo di quanto accaduto alla sua famiglia, in particolare ai suoi genitori Vladek e Anja, sopravvissuti all'Olocausto. Con "Maus" Spiegelman ha ottenuto il Premio Pulitzer nel 1992.

Maus, il capolavoro di Art Spiegelman

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Artista di origini ebree, Art Spiegelman è nato a Stoccolma nel 1973. Ha fondato “Raw", rivista cult per gli amanti dei fumetti con cui dà vita a una grafica avanguardistica che modificò decisamente il mercato dei comics. Su "Raw", diretta insieme alla moglie, apparvero i primi capitoli di "Maus" che l'artista ha realizzato in vent'anni di lavoro.

Il fumetto si compone di due parti che corrono in parallelo durante tutta la narrazione: la cronaca della vita dei genitori del protagonista-autore prima del loro arrivo nel campo di concentramento di Auschwitz; e il racconto della vita dei sopravvissuti dopo gli orrori visti, patiti, e in qualche caso anche procurati durante il periodo della guerra. "Maus" è soprattutto la rielaborazione di una storia familiare che diventa lo specchio dell'intera società ebreo-tedesca negli anni del dominio nazista.

Per trovare appunto non le parole giuste ma il tratto giusto, l'artista ha deciso di rappresentare i personaggi di questo racconto universale, e allo stesso tempo così intimo, usando volti animali che rappresentassero per ogni specie una diversa nazionalità.

  • Topi – Ebrei. La scelta cade sui ratti secondo una prospettiva antropomorfa vista dagli occhi dei nazisti: gli ebrei trasformati in animali inferiori e da sterminare. Come lo stesso Reich, del resto, spesso li rappresentava. Fondamentale nella scelta della specie da attribuire alle vittime della Shoah anche la radice comune in tedesco della parola "maus" ("topi") e il verbo "mauscheln" che all'epoca al posto di significare quello che in origine era, ovvero un comportamento legato a una frode di danaro, veniva utilizzato per dire a qualcuno in senso dispregiativo che "parlava come un ebreo";
  • Gatti – Tedeschi. I felini secondo l'autore rappresentavano al meglio l'aspetto predatorio dei nazisti e gioco forza erano gli animali più indicati per il rapporto con i topi.
  • Cani – Americani. Spiegelman si è trasferito da Stoccolma, dove è nato, negli Stati Uniti. Gli statunitensi in "Maus" hanno le fattezze dei cani: animali che per antonomasia nell'immaginario collettivo sono leali e rappresentano il simbolo dell'amicizia. Qualcuno ha avanzato anche l'ipotesi che le truppe statunitensi, durante la Seconda Guerra Mondiale, fossero soprannominate "Dog Face" e che questo abbia influito anche sulla scelta del fumettista.
  • Maiali – Polacchi. Molta polemica si è scatenata, soprattutto per la pubblicazione in Polonia, dell'associazione fatta da Spiegelman di attribuire le fattezze dei maiali ai polacchi. La scelta, secondo quanto detto dall'autore in diverse interviste, era legata alla tradizione agricola locale ma nel libro emergono gli aspetti dell'avidità e della mancanza di compassione e empatia da parte della popolazione polacca nei confronti degli ebrei polacchi. Di certo c'è che nel linguaggio parlato dare a qualcuno del "maiale" non ha certo una connotazione positiva, motivo per il quale il fumetto è stato molto osteggiato in Polonia.
  • Rane – Francesi. L'attribuzione in questo caso, secondo diverse fonti, è da far risalire al mondo in cui venivano chiamati i francesi perché si cibano di rane. Americani e inglesi ancora oggi li appellano "mangiarane".
  • Pesci – Inglesi. La potenza delle flotte della Corona britannica era il miglior modo per far sì che i pesci diventassero l'alter ego degli inglesi nel fumetto di Spiegelman.
  • Cervi – Svedesi. Specie molto presente nel paese scandinavo, simbolo anche di un animale dell'atteggiamento riservato e poco interessato a quello che gli accade intorno pur di rimanere tranquillo. Così come fece la Svezia durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale.
  • Falene – Zingari. Anche loro sterminati e perseguitati. E per rappresentarli la scelta è caduta sui lepidotteri notturni, per sottolineare il loro continuo movimento che nello specifico della specie è essere particolarmente itinerante e dunque di facile associazione con un popolo che non ha radici fisse.
  • Ibridi – Individui metà tedeschi e metà ebrei. Rappresentati graficamente da topi con macchie sulla pelle simili al pelo dei gatti.
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Diana Letizia
Direttrice editoriale
Giornalista professionista e scrittrice. Laureata in Giurisprudenza, specializzata in Etologia canina al dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli e riabilitatrice e istruttrice cinofila con approccio Cognitivo-Zooantropologico (master conseguito al dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Parma). Sono nata a Napoli nel 1974 e ho incontrato Frisk nel 2015. Grazie a lui, un meticcio siciliano, cresciuto a Genova e napoletano d’adozione ho iniziato a guardare il mondo anche attraverso l’osservazione delle altre specie. Kodami è il luogo in cui ho trovato il mio ecosistema: giornalismo e etologia nel segno di un’informazione ad alta qualità di contenuti.
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