Ci sono storie che narrano di cani dispersi che, da soli, sono riusciti a ritrovare la strada di casa percorrendo anche parecchie centinaia di chilometri, compiendo un viaggio di mesi, talvolta di anni. Ma come è possibile una cosa del genere? Come hanno fatto questi cani a ritrovare la strada di casa?
Non c’è dubbio che i cani siano animali pieni di risorse, con eccezionali capacità di adattamento ed equipaggiati con una grandissima complessità cognitiva. È altresì vero che noi tendiamo a non vedere tutto ciò e a percepire i nostri compagni come se fossero sempre, e solo, dei piccoli da accudire, bisognosi del nostro aiuto per ogni cosa, anche la più banale, un po’ come bambini, ma imprigionati in un’eterna infanzia.
In effetti, se ci riflettiamo, i nostri cani difficilmente sviluppano in autonomia tutte quelle capacità necessarie alla sopravvivenza, come il procurarsi il cibo, trovare le fonti d’acqua, esplorare il territorio, gestire la presenza di altri cani, e molto altro, perché tutte queste cose sono a nostro carico. E quando fanno esperienze, per lo più sono legati ad un guinzaglio di 1,5 metri con noi sempre appresso.
Per esempio, raramente i nostri cani apprendono come attraversare una strada trafficata se non siamo noi a guidarli, ma ciò non significa che i cani non siano in grado di apprendere come si faccia, lo dimostrano le centinaia di cani che vivono in stato di libertà o semi-libertà, in tutto il mondo. Il fatto è che il saper fare qualcosa è strettamente collegato all’esperienza, all’imitazione e al talento, dove l’esperienza, per l’appunto, ha un ruolo centrale.
Quindi, quando perdiamo il controllo del nostro compagno a 4 zampe, quando si allontana da noi, quando non lo vediamo più, siamo assaliti dall’ansia e dal terrore che gli possa accadere qualcosa, soprattutto perché pensiamo che senza di noi non ce la farebbe mai. Per carità, gli incidenti capitano, e sono frequenti soprattutto con quei cani che non hanno avuto alcuna possibilità di apprendere dalla vita come comportarsi, cani che appena sollevano il tartufo da terra, inebriati da una traccia irresistibile che li ha trascinati chissà dove, non vedendoci più si fanno immediatamente prendere dal panico, si sentono letteralmente persi e si disperano perdendo lucidità.
Ecco che le loro ben note facoltà cognitive possono andare in tilt, ed è in questi casi che gli incidenti sono più frequenti. Tuttavia, moltissimi cani hanno invece dimostrato di riuscire a cavarsela anche quando abbandonati volutamente dai loro umani, cani che fino al giorno prima dormivano pigramente sul divano, ai quali veniva servito il pasto due volte al giorno, che non avevano mai esplorato un luogo più lontano del loro quartiere o oltre la loro cancellata di casa. Scoprendosi soli, in luoghi sconosciuti, in preda al panico, hanno trovato la forza di sopravvivere nonostante tutto. Verrebbe da dire: Chi lo avrebbe mai detto? Tra questi, alcuni sono anche riusciti a ritrovare la strada di casa.
Torna a casa Lassie?
In Rete, nel cinema e in letteratura è possibile rintracciare storie di cani che sono riusciti, dopo mille peripezie, a ritrovare la strada di casa. Per esempio nel noto film “Torna a casa Lessie” del 1943, regia di Fred McLeod Wilcox, ispirato all’omonimo libro di Eric Knight, dove si narra di una femmina di Cane da Pastore Scozzese a pelo lungo (Rough Collie) che supera mille ostacoli per tornare a casa dalla sua famiglia che, a causa della tremenda crisi degli anni 30 in Inghilterra, era stata costretta a venderla. Un vero e proprio cult.
Oppure il più recente “Smarrito cane”, un godibile libro pubblicato nel 2017 nel quale l’autore Pauls Toutonghi narra la storia vera di un meticcio di Golden Retriever di nome Gonker che, all’età di 6 anni, si perde sui monti Appalachi durante un’escursione, vagando da solo per molti giorni e percorrendo decine di chilometri verso casa. Altro caso ancora è quello di Cleo, una Labrador di 4 anni che ha percorso ben 100 km per ritornare alla sua vecchia casa, dove viveva un tempo con la sua famiglia, che però si era trasferita altrove. Alla fine il cane sarà riconsegnato alla sua umani, e tutto finirà al meglio.
Ma come è possibile che questi cani siano riusciti a ritrovare la strada di casa? Intanto è meglio chiarire subito che si tratta di casi rari. Moltissimi cani abbandonati o persi non riescono infatti a ritrovare il luogo dal quale venivano. Ma quei pochi che ce la fanno, come fanno ha ritrovare la strada?
Orientamento animale
Orientarsi nello spazio è un’abilità fondamentale per la sopravvivenza, allontanarsi da un luogo e saperci ritornare è questione di vita o di morte per la maggior parte delle specie e le strategie per far questo possono essere molteplici. Ad esempio, un lupo che si allontana dalla tana dove ha lasciato i suoi cuccioli, percorre decine e decine di chilometri alla ricerca di prede, deve poi orientarsi per ritornare alla tana (homing). Potrebbe ripercorrere a ritroso la strada che ha fatto all’andata, magari seguendo le tracce odorose che lui stesso ha lasciato dietro di sé e questo comportamento prende il nome di “traking”. Oppure potrebbe scegliere di fare un’altra strada, una scorciatoia che rende il ritorno più rapido, questo comportamento prende il nome di “scouting”. In tal caso il soggetto può utilizzare diversi modi per orientarsi basandosi sulla conoscenza del territorio, su una “mappa cognitiva”, ossia una rappresentazione mentale che l’individuo ha arricchito man mano che ha ampliato il raggio delle sue esplorazioni, accumulando esperienze. La capacità di ritornare ad un punto prestabilito è quindi vitale sia per il lupo in questione che per la sua famiglia, i cuccioli, che attendono speranzosi il pasto.
Vi sono poi animali che percorrono distanze veramente mirabolanti, come gli uccelli migratori che possono viaggiare da un emisfero all’altro del pianeta seguendo una precisa rotta che li porta, a seconda della stagione, nei luoghi ideali per la nidificazione o il foraggiamento. Come nel caso eccezionale di un uccello appartenente alla specie Pittima minore (Limosa lapponica) che ha percorso in un unico volo di ben 11 giorni, senza interruzioni, la distanza record di 12.854 chilometri (dall’Alaska alla Nuova Zelanda).
I ricercatori descrivono due tipologie di orientamento: orientamento monodirezionale e orientamento pluridirezionale. Nel primo caso l’animale in questione ha una direzione da seguire e sfrutta esclusivamente una “bussola biologica” per mantenere la rotta; nel secondo caso – orientamento pluridirezionale – l’animale deve sapere dove si trova rispetto alla sua meta (avere una sorta di mappa), e poi sfruttare la bussola biologica per correggere via via la rotta e trovare la direzione corretta.
Come si orientano i cani
Chi si dedica allo studio dell’orientamento animale rileva varie tipologie di “bussole biologiche” in dotazione agli animali. Se ne conoscono 5, e sono: solare, a luce polarizzata, lunare, stellare e magnetica. Molti animali hanno dimostrato di saper sfruttare la posizione degli astri per trarre informazioni utili all’orientamento nello spazio, essendo in grado di tarare e compensare i loro calcoli a seconda della stagione, dell’ora del giorno, e dell’emisfero terrestre nel quale si trovano, sfruttando quindi quello che viene definito “orologio biologico interno” per correggere il tiro, ciò prende il nome di “bussola cronometrica”.
Queste facoltà sono studiate da molti anni, soprattutto negli uccelli, in alcuni invertebrati e batteri ma sono pochissimi gli studi sulle facoltà di orientamento dei cani. È un campo ancora da esplorare al quale ci si è affacciati da relativamente poco tempo. Quello che si può supporre è che un cane possa essere in grado di utilizzare la maggior parte di queste bussole, soprattutto quella solare, lunare e stellare che competono all’organo della vista, anche se non si è mai dimostrato che siano veramente in grado di sfruttare queste informazioni ambientali per stabilire quale direzione prendere.
A fronte di queste possibili abilità, quella che viene ritenuta forse la più probabile per l’orientamento nei cani fa capo al suo organo di senso più strabiliante, ossia al tartufo. Come ben sappiamo l’olfatto del cane è eccezionalmente sviluppato e questo potrebbe essere utilizzato per la costruzione di mappe mentali olfattive, come per esempio è stato dimostrato dai numerosissimi studi sui colombi, condotti in gran parte dal team di Floriano Papi a Pisa ("Etologia, lo studio del comportamento animale", UTET, 2022).
In sostanza il cane sarebbe in grado di farsi una mappa odorosa del luogo nel quale è solito vivere e delle zone circostanti attraverso il movimento delle masse d’aria. Per quanto riguarda i piccioni si è visto che queste mappe possono avere un’ampiezza fino a 100 chilometri, ma ciò non significa che se un colombo viaggiatore viene trasportato più lontano non riesca ad adattare la sua mappa aggiungendo informazioni durante il viaggio di andata. Un po’ come faremmo noi guardando fuori dal finestrino annotando mentalmente dei punti di riferimento molto visibili, come una catena montuosa, l’attraversamento di un fiume, un bosco molto grande, un agglomerato di case, eccetera.
Queste considerazioni ci portano a supporre che i cani smarriti che hanno fatto ritorno alle loro case siano riusciti in qualche modo ad orientarsi grazie all’olfatto. Come detto, ciò non esclude che abbiano utilizzato un insieme di abilità in concerto, oltre a questo senso.
La bussola magnetica
Questa bussola biologica è studiata da molto tempo, la sua esistenza è comprovata anche in studi sperimentali in molte specie animali, ma ancora si è molto incerti sul “come” gli animali siano in grado di percepire le variazioni così lievi del campo elettromagnetico terrestre. Si suppone vi debba essere un organo deputato a questo compito, che in qualche modo dia informazioni al sistema nervoso centrale, ma ad ora questo organo non è stato trovato in alcun animale.
È altresì importante considerare che gli stimoli magnetici possono penetrare facilmente i tessuti organici, di conseguenza un eventuale organo recettore non deve per forza essere posto sulla parte esterna del corpo animale, ovviamente questo rende la ricerca ancor più difficile. I ricercatori avanzano ipotesi, tutt’ora al vaglio della ricerca, in merito alla megnetorecezione, e diversi studi fanno pensare che vi sia una qualche relazione con il sistema visivo e la percezione degli stimoli magnetici tramite fotopigmenti presenti nelle cellule della retina dei vertebrati.
Altra ipotesi è quella della presenza di particelle magnetiche nei tessuti animali. Cristalli di magnetite microscopici e particolarmente difficili da rilevare, che alcuni studi sembrano aver localizzato anche in terminazioni nervose, il che spiegherebbe la percezione da parte dell’animale. Ma questi studi non sono ancora sufficienti per fare delle affermazioni certe, anche se le osservazioni sperimentali sul comportamento fanno propendere per questa seconda ipotesi.
Si sono condotti studi sulla capacità dei cani di percepire il campo magnetico terrestre, in particolare di sapersi orientare sull’asse Nord-Sud e di utilizzare questo come riferimento per decidere dove dirigersi. Uno studio condotto in Israel (Yosef et al. 2020) evidenziava la tendenza dei cani ad orientarsi su quest’asse durante la marcatura nelle aree per cani dei parchi cittadini. Qui si parla di “Allineamento Spontaneo Magnetico” (SMA in inglese) osservato in numerose specie animali: si tratta del fenomeno in cui gli animali orientano i loro corpi non in modo casuale rispetto a un campo magnetico. Benché l’osservazione sia stata compiuta su un numero significativo di individui, e i dati raccolti dal team di Yosef siano sostanziosi, un altro studio condotto nel 2021 in Francia, che ha tentato di replicare e verificare quelle osservazioni, ha dato esito opposto. Anna Rouviere e Graeme D. Ruxton, ipotizzano, non avendo ottenuto gli stessi risultati, che i dati raccolti nello studio di Yosef del 2020 fossero "falsati" da alcune variabili che non sono state prese in dovuta considerazione. Non dicono che i cani non siano in grado di rilevare il campo magnetico terrestre, ma che in quello studio, in quelle condizioni ambientali, i loro dati non supportano la tesi della presenza di SMA nei cani.
Altre ricerche e altre ipotesi
A questo punto si ipotizza dunque una qualche sensibilità al campo magnetico terrestre da parte dei cani, come di molti altri mammiferi. Ma studiare questo fenomeno, come detto, è estremamente difficile, anche se l’occhio della scienza continua a scrutare questo campo. Il fatto è che per comprendere se questa sensibilità sia utilizzata dai cani per orientarsi nello spazio – e in che misura lo sia – bisognerebbe escludere l’interferenza di altri sistemi di navigazione e orientamento, cosa non facile a livello sperimentale.
Nel 2020, la biologa Kateřina Benediktová, dell’Università ceca di Scienze della Vita, ha condotto uno studio con dei cani liberati in territori boschivi a loro sconosciuti e dotati di trasmettitori GPS che ne tracciavano i percorsi. I cani si sono dispersi nel bosco allontanandosi dai loro umani di riferimento, in esplorazione, e i ricercatori hanno registrato quali percorsi facevano per ritornare indietro al punto di partenza.
I cani osservati eseguivano le due strategia sopra citate per il ritorno, ovvero il “traking” – ripercorrendo la stessa strada fatta all’andata – e lo “scouting”, ossia scegliendo una strada alternativa e nuova. Concentrandosi esclusivamente sulla seconda strategia, gli studiosi hanno notato che i cani, prima di prendere la strada del ritorno, compivano una breve corsa (denominata nello studio compass run, "corsa della bussola" o "d’orientamento") di circa una ventina di metri sull’asse Nord-Sud, per poi dirigersi verso il punto dove li attendevano i loro compagni umani.
Nello studio è stato specificato quali sono i parametri che sono stati presi in considerazione come la direzione del vento, ad esempio, per escludere l’utilizzo dell’olfatto, e che il territorio fosse sconosciuto ai cani. Inoltre, trovandosi in un ambiente boschivo, si sono esclusi anche elementi visivi rilevanti, come la posizione del disco solare, coperto dal fitto del fogliame, e la possibilità dei cani di vedere il punto d’arrivo a distanza.
Nello studio si legge: «Proponiamo che la compass run sia mediata da segnali magnetici e aiuti ad aumentare la precisione e ridurre la complessità della navigazione a lunga distanza attraverso ambienti sconosciuti e/o altamente variabili». Ecco che allora si aggiunge un tassello al tentativo di comprendere come un cane possa orientarsi per ritrovare la sua casa anche a distanza, anche se bisogna tener conto del fatto che il campo elettromagnetico terrestre può subire notevoli interferenze a causa di campi elettrici causati dall’attività umana, come per esempio la presenza di cavi ad alta tensione.
È chiaro che i nostri cani nascondono ancora molti segreti e capacità che forse noi non immaginiamo nemmeno. Questo non fa altro che aumentare l’interesse di chi è appassionato di queste meravigliose creature che ci stanno accanto. Un cane che viaggia in solitaria per centinaia di chilometri per ritrovare la strada di casa deve anche essere in grado di sopravvivere oltre che di orientarsi, e forse un giorno potremo farci raccontare il loro viaggio, nei dettagli.
Ma una cosa è certa: non sarà certo una scoperta come la loro capacità di percepire il campo elettromagnetico terrestre che dimostrerà quanto i cani siano animali meravigliosi. Per quanto ci riguarda questo non aggiungerà nulla all’amore che proviamo per loro. Ma ancora una volta, come spesso nella storia della nostra lunga convivenza, i cani ci porteranno a scoprire meraviglie inaspettate che stimoleranno la nostra creatività e ammirazione per la natura e gli animali di questo mondo incredibile, forse spronandoci a proteggerlo, a non danneggiarlo, come invece pare che stiamo facendo, prima che sia troppo tardi.