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14 Agosto 2022
9:00

Come fanno i cani a capire quando stiamo ritornando a casa?

Molti sono convinti del fatto che i loro cani siano in grado di percepire con anticipo quando un familiare sta per tornare a casa. Ma è vero? E come ci riescono?

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Membro del comitato scientifico di Kodami
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Molte persone sono convinte del fatto che i loro cani siano in grado di percepire con anticipo quando un familiare sta per tornare a casa. Questo dipende dall’aver notato particolari comportamenti che anticipano il rientro di un appartenente allo stretto nucleo famigliare del cane. Si sentono spesso frasi come: «So sempre quando mia moglie/marito sta per tornare a casa, è Boby a farmelo sapere. Non si sbaglia mai!».

Ma i cani sono veramente in grado di capire quando stiamo per tornare a casa? O forse è una nostra errata interpretazione di quello che osserviamo, magari perché a noi piacerebbe sapere che il nostro cane sia dotato di tali abilità, e questo ci spinge a mettere in relazione eventi (il comportamento del cane e il nostro rientro di lì a poco) che invece non hanno alcuna relazione di causa-effetto? Cosa sappiamo in merito a questa tematica? Proviamo ad analizzarla insieme.

Con le videocamere abbiamo notato che…

Dunque, la questione in ballo è questa: i cani sono in grado di anticipare il nostro rientro a casa dopo un periodo più o meno lungo di assenza? Secondo molte persone sì, sono perfettamente in grado di sapere quando stiamo per tornare.

C’è da dire che rispetto a qualche anno fa oggi è certamente più facile monitorare il comportamento dei nostri cani quando sono soli in casa grazie a piccole videocamere, di poco costo, di facile installazione e gestite tramite applicazione sullo smartphone. Milioni di pet mate hanno scoperto così cosa fanno i loro compagni quando sono da soli e, per inciso, in alcuni casi questa possibilità ha anche svelato il profondo disagio di alcuni individui e quanto stress rappresentasse per loro lo stare da soli.

Tornando al quando e se i cani sentono che stiamo per tornare a casa, confrontando le riprese registrate con l’orario del nostro rientro si sono potuti osservare curiosi comportamenti messi in atto proprio poco prima che ciò avvenga. Per esempio il cane ripreso che è solito dormire tutto il giorno nella sua cuccia in salotto, ecco che ad un certo punto si alza, come se abbia “percepito” qualcosa, e si va a sedere di fronte alla porta cinque minuti prima che la persona varchi la soglia.

Escludendo che il cane sia solito sedersi davanti alla porta d’ingresso ogni minuto, o ogni volta che sente un qualsiasi rumore proveniente dall’esterno, e osservando la ripetizione costante e precisa di questo comportamento, è facile dedurre che il motivo per cui lo faccia sia legato appunto all'imminente ritorno.

Ma se si vuole veramente comprendere il fenomeno è necessaria un po’ di cautela nel trarre conclusioni, anche – e forse soprattutto – se queste ci appaiono tanto logiche e naturali. Siamo infatti soggetti a bias cognitivi, come li chiamano i neuroscienziati e gli psicologi, ossia distorsioni della realtà oggettiva in favore di un’adesione alla nostra realtà soggettiva dei fatti. È un processo inconscio e naturale, dal quale però gli stessi ricercatori devono proteggersi al meglio nell’indagine della realtà (posto che ve ne sia una unica e vera).

Se davvero i cani sanno che stiamo rientrando, come fanno?

Proviamo a far finta che il fenomeno sia effettivamente questo, ossia che i cani sono in grado di anticipare il nostro rientro a casa di parecchi minuti. Fingiamo che il questo fenomeno sia osservato e accuratamente descritto, sempre tenendo presente delle differenze individuali che caratterizzano ogni situazione e ogni cane. Bene, a questo punto è certo che vorremmo approfondire la cosa con la domanda seguente: «Come fanno a farlo?» Sicuramente ci dovremmo focalizzare sulla percezione sensoriale. Se il cane è in grado di sapere che tra cinque minuti il suo compagno umano farà rientro a casa dovrà esserci pure un elemento che glielo suggerisce. Proviamo a vederne alcuni.

L’inferenza

Una delle facoltà cognitive del cane è l’inferenza, in sostanza la capacità di intuire ciò che sta per avvenire da elementi, stimoli o condizioni che per sua esperienza sono legati ad uno specifico fatto o insieme di fatti. In sostanza il cane è in grado di anticipare qualcosa grazie all’esperienza pregressa, per esempio quando noi prendiamo in mano il suo guinzaglio lui immediatamente inferisce che stiamo per uscire in passeggiata, e lo capiamo dal suo comportamento.

I cani sono ottimi osservatori e grazie a questa facoltà cognitiva molto sviluppata sono in grado di costruirsi tutto un catalogo di cose importanti utili a prevenire fatti noti. Imparano allo stesso modo ad interpretare il significato delle parole che diciamo loro, ma anche delle nostre espressioni facciali, dei nostri movimenti e via discorrendo. Quindi, alla base delle nostre considerazioni vi è questa facoltà, non resta che capire quali possano essere gli stimoli sui quali agisce l’inferenza nel caso in esame.

I sensi del cane

I cani hanno sensi molto più sviluppati dei nostri, soprattutto quando parliamo di udito e olfatto. Sono tanto sviluppati che noi fatichiamo moltissimo ad immedesimarci nella loro percezione del mondo, e forse è anche un esercizio inutile vista la grande disparità.

Ma tenendo presente tutto questo possiamo provare a pensare che il nostro cane, in effetti, possa udirci molto prima del nostro rientro avendo imparato, per esempio, a riconoscere il particolare rumore del motore della nostra automobile, per lui udibile a grande distanza. Ciò significherebbe però che sia anche in grado di discriminarlo dal rumore di tutte le altre automobili presenti nell’ampio raggio nel quale è in grado di udire.

Ma questo forse non ci stupirebbe poi molto, infondo anche noi impariamo a riconoscere un tale rumore, se siamo interessati a farlo, e avendo molte meno informazioni sulle frequenze sonore di cui dispone un cane. Certo non siamo in grado di percepirlo così tanto a distanza, ne forse se immerso nella cacofonia di una città trafficata. Ma se aggiungiamo altri elementi possiamo intuire come il compito, per lui, divenga più facile, sempre che ci sia un’automobile di mezzo.

I cani hanno anche loro un orologio interno, sono in grado cioè di rendersi ben conto della fase della giornata in cui si trovano. Quindi magari all’avvicinarsi di una certa ora il nostro cane si appresta al nostro rientro, perché siamo soliti tornare a casa in quella fascia oraria, tutti i giorni. Se uniamo questo fattore alla raffinatezza dell’udito, allora possiamo comprendere meglio il fenomeno. Inoltre il cane si aspetterà di sentire il rumore conosciuto provenire da una certa parte, e non da un’altra.

Per esempio da nord, concentrando così l’ascolto in una porzione limitata di spazio sulla quale attuare la discriminazione, non su tutte le parti della città circostante, semplificandosi il compito. E chissà quali altre strategie è in grado di attuare che noi non ci immaginiamo nemmeno. Ma alla fin fine si tratta di udito.

Inoltre, come ben sappiamo, il cane è maestro nell’arte dell’olfatto, senso ancor più incomprensibile per noi. Sappiamo bene delle prodezze di cui è capace, come rilevare l’odore di una goccia di sangue disciolta in parecchi litri d’acqua, fiutare un cambiamento ormonale in una persona o poche cellule cancerogene sotto pelle e via discorrendo. L’olfatto proietta il cane in un mondo percettivo che ha pochi ostacoli… quindi che dire dell’anticipazione del nostro rientro a casa? Potrebbe fiutarci quando non siamo nemmeno entrati nel nostro quartiere.

In potenza sì, potrebbe farlo, ma non è facile dirlo con certezza, dato che l’olfatto è influenzato da un’enormità di fattori ambientali, come per esempio le correnti d’aria, la pressione atmosferica, barriere varie, eccetera. Inoltre richiede un certo grado di concentrazione del cane, a meno che il flusso odoroso non sia diretto proprio verso di lui, magari mentre sonnecchia sul divano. Lasciamo comunque aperta questa possibilità, dato che la nostra conoscenza in merito non ha ancora finito di stupirci.

Certamente non è da escludersi la cooperazione di tutti questi elementi che insieme forniscono al nostro cane l’informazione che gli interessa tanto. Non possiamo nemmeno escludere che il cane utilizzi informazioni che non riguardano direttamente noi, ma che fanno parte di una catena di eventi che si ripetono spesso, per esempio ogni volta che le campane del paese fanno sei rintocchi (nel tardo pomeriggio) e di lì a poco noi facciamo rientro a casa, oppure dopo che il vicino di casa sale le scale o chiama l’ascensore alla tal ora, o quando alla televisione (lasciata accesa per far compagnia a Boby) inizia quel preciso programma con quella sigla riconoscibile, e via dicendo.

Insomma c'è un’enormità di fattori che rappresentano variabili importanti, e che spesso noi siamo portati a non considerare perché banali, comuni o poco significativi, ma che per il cane invece sono molto rilevanti. Tanti fattori che rendono l’indagine sul campo un’impresa pressoché irrealizzabile. Ma… cosa accadrebbe se analizzassimo il fenomeno eliminando la maggior parte delle variabili sulle quali non possiamo avere il controllo per condurre, diciamo, uno studio scientificamente più accurato?

Una percezione extrasensoriale?

Questo argomento ha catturato l’interesse di alcuni ricercatori da molti anni, ancor prima che la tecnologia fosse alla portata di tutti in modo così semplice, come detto prima. Per esempio ne parla il dottor Rupert Sheldrake, biologo e saggista britannico, in un libro dal titolo “Sette esperimenti per cambiare il mondo” (1994), dedicando addirittura al tema il primo capitolo che intitola: "Gli animali domestici che sanno quando il padrone sta per tornare".

Quello che viene descritto qui va al di là di quanto detto finora. Il dottor Sheldrake raccoglie infatti narrazioni di persone che sostengono non solo che il loro cane (o gatto) li senta arrivare con alcuni minuti d’anticipo, ma in essi si avanza l’ipotesi che siano in grado di percepire addirittura il momento in cui la persona a loro cara si avvii con l’intenzione di tornare a casa, a prescindere dalla distanza, dall’ora, dalla direzione o dal giorno della settimana in questione. In particolare uno studio ha registrato il comportamento di Jaytee, il piccolo terrier della signora Pam Smart, che la famiglia aveva monitorato a partire dal 1991. Quello che le telecamere dei ricercatori hanno registrato ha dell’incredibile, ma soprattutto, alla fin fine, è risultato inspiegabile da un punto di vista scientifico.

L’esperimento del piccolo Jaytee e la sua Pam

Prendiamo questo caso come emblematico di una moltitudine di casi simili. Il dottor Rupert Sheldrake decide di organizzare un esperimento per monitorare l’effettivo comportamento del piccolo terrier dopo che i familiari avevano riferito le loro osservazioni di anni: il cane pareva essere in grado di “percepire” a grandi distanze e solo una decina di secondi dopo l’intenzione di rientrare a casa di Pam Smart, la sua compagna umana.

Ecco allora che si passa alla sperimentazione con due telecamere: una piazzata in casa, in salotto, dove il cane sta sempre con i genitori di Pam; l’altra a portata a mano, a seguire una ricercatrice che accompagna Pam in in città. Le due telecamere messe in sincrono registrano in tempo reale quello che accade nei due luoghi.

Per eliminare ulteriori variabili, Pam e la ricercatrice si sono allontanate da casa, in auto, e sono poi rientrate con un taxi, in modo da non dare indizi al cane. Nessuno dei familiari sa dove sarebbero andate Pam e la ricercatrice, né a che ora sarebbero rientrate a casa.

Le due donne hanno fatto una passeggiata di qualche ora in una cittadina situata a diversi chilometri di distanza dall’abitazione di Pam e Jaydee. Poi, tutt’ad un tratto, la ricercatrice ha comunicato a Pam che era ora di rientrare. In quell’istante Jaydee, inquadrato dalla seconda telecamera, è ancora accucciato in salotto. I due timer segnano le 14:50:07.

Pochi secondi dopo, Pam e la sua accompagnatrice si alzano dalla panchina al parco su cui hanno trascorso qualche minuto e si dirigono per prendere il taxi per rientrare. Sono le 14:50:24 e Jaydee solleva la testa fissando la vetrata della casa che dà sulla strada. Quattro secondi dopo si alza e si va a sedere davanti alla finestra, abbandonando il suo posto, e lì rimane fino a che Pam non arriva a casa, diversi minuti dopo.

Apparentemente ciò ci mostra che il cane abbia “percepito” l’intenzione della compagna umana di fare ritorno a casa, ma non ci dice “come”. Inutile dire che il fenomeno non ha trovato spiegazioni certe e che questo tipo di osservazioni sono state messe in dubbio, se non rifiutate in toto da molti ricercatori scettici, come dichiara lo stesso dottor Sheldrake nel suo libro citato poco sopra.

  • Il video dell'esperimento:

Noi e i cani, un legame inscindibile

Il dottor Rupert Sheldrake ha raccolto negli anni diverse testimonianze e ha condotto molti esperimenti simili con lo scopo di comprendere se, una volta tolti i fattori legati alla percezione sensoriale dei cani, questi fossero ancora in grado di segnalare o “rilevare” l’imminente rientro a casa dei loro cari. In sostanza se vi fosse qualcos’altro a muovere il comportamento dei nostri beniamini. La sua conclusione è che: sì, c’è qualcos’altro, ma non sappiamo cosa sia.

Si avanzano ipotesi legate a un profondo legame empatico, ad un “canale” molto sottile che unisce gli individui, non osservabile dagli strumenti oggi a nostra disposizione ma che forse una fisica non meccanicistica potrà mettere in luce negli anni a venire. Come, ad esempio, il fenomeno dell’entanglement studiato in fisica quantistica: quando due particelle sono state in “relazione” e poi separate, mantengono la capacità di influenzarsi vicendevolmente, a prescindere dalla distanza che si pone tra loro, modificando il proprio comportamento all’istante. Quindi, per dirla in modo semplice, i fisici hanno osservato che due elementi, dopo essere stati in relazione, rimangono in comunicazione tra di loro, in qualche modo, a prescindere dallo spazio che li separa. Ma qui ci stiamo addentrando in un campo ancora oscuro che impegna i fisici dagli inizi del secolo scorso.

Certo è che a noi, come a molti – compreso il dottor Rupert Sheldrake – piace l’idea che il rapporto affettivo con i nostri compagni animali vada al di là della fisica osservabile e che il legame con loro non possa essere spezzato, né dallo spazio né dal tempo.

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Luca Spennacchio
Istruttore cinofilo CZ
Ho iniziato come volontario in un canile all’età di 13 anni. Ho studiato i principi dell’approccio cognitivo zooantropologico nel 2002; sono docente presso diverse scuole di formazione e master universitari. Sono autore di diversi saggi.
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