Quando adottiamo un cucciolo ci dobbiamo chiedere quale sia la strategia migliore per socializzarlo alle persone estranee. Troppo spesso, nel tentativo, tutto moderno di diventare i pet mate perfetti, ci facciamo assalire dall’ansia da prestazione e andiamo in confusione.
Il problema aumenta quando, pur mossi dalle migliori intenzioni, raccogliamo informazioni a destra e sinistra e leggiamo compulsivamente i classici consigli in pillole: «Le dieci regole per socializzare il tuo cane alle persone estranee». Troppe informazioni, spesso contraddittorie tra loro, ci impediscono di farci un’idea chiara sulla questione, con risultati disastrosi sul piano della gestione sociale del cucciolo.
Come approcciare il cucciolo alle persone estranee
La prima cosa da fare è cercare di comprendere precocemente il carattere del proprio cucciolo. Da questa base di partenza sarà possibile mettere in atto una serie adeguata di strategie gestionali. Se abbiamo un cucciolo profondamente fiducioso e socievole, ad esempio il “tipico” Labrador, potremmo esporlo ad esperienze sociali fin da subito ma muovendoci sempre guidati da un “buon senso” ed equilibrio, anche nel caso specifico come questo in cui si può contare su una storia genetica da sempre orientata alla prosocialità.
Nel caso di un cane fin troppo socievole, i problemi potrebbero insorgere a causa del pet mate. Generalmente si tratta di persone che assumono un atteggiamento di deresponsabilizzazione rispetto ai comportamenti del cane, in particolare all’interno delle dinamiche che lo vedono relazionarsi alle persone estranee. «Lo lascio fare! Tanto è tranquillo!». In questo modo il cane, privo di una guida che si faccia garante del rispetto delle regole sociali, avrà la tendenza a sovreccitarsi, ad essere troppo fisico ed invadente nelle interazioni.
Diverso invece è quando la base caratteriale di un cucciolo è timorosa. In questo caso dovremmo essere cauti negli incontri. Dobbiamo tutelare il cane e assumere un chiaro ruolo di mediazione nella sua sfera sociale. Solo con questa garanzia lo porteremo ad aprirsi alle persone e a fidarsi di loro. Purtroppo, nonostante le teorie scientifiche più avanzate ci spingano da anni a dare grande importanza agli stati emozionali del cane, la maggior parte delle persone si muove in questo ambito come un elefante in una cristalleria. Esporre un soggetto all’incontro sociale con gli estranei contro la sua volontà, porterà il cane a sensibilizzarsi e peggiorare la sua relazione con loro. Questo non vuol dire che si dovrà isolarlo e tutelarlo eccessivamente, bensì esporlo all’incontro con le persone estranee in modo graduale e adeguato. In che modo? Al cane timido e/o diffidente dobbiamo dare la possibilità di esplorare il setting sociale in tutta tranquillità e concedergli il tempo per fare lui le prime mosse.
Gli estranei non dovranno focalizzare la propria attenzione sul cane, né aspettare l'interazione con il fiato sospeso. Soprattutto non dovranno lasciarsi andare ai festeggiamenti non appena il cane si sarà avvicinato. Il rinforzo positivo interpretato in questo modo, piuttosto che incentivare l’apertura sociale, spaventerà il cane e lo spingerà a tornare repentinamente sui propri passi. Quella che nella tradizione comportamentista viene denominata come tecnica di de-sensibilizzazione agli stimoli sociali, nei mammiferi si è sempre dimostrata inefficace, configurando perlopiù nel soggetto non tanto l’abituazione ma l’acutizzazione (la sensibilizzazione) del problema.
L’uso del cibo nella socializzazione con gli estranei
Nel comportamentismo si sostiene che i processi di apprendimento, quindi anche quelli inerenti alle relazioni sociali, siano basati su una meccanica di stimolo-risposta. E’ proprio sulla base di questa discutibile credenza scientifica che la maggior parte delle persone ritiene che quando un cucciolo timido e/o diffidente ha dei comportamenti evitanti, debba essere invitato ad avvicinarsi e farsi toccare attraverso il cibo.
In cinofilia assistiamo storicamente alla diffusione di massa di una teoria poco adeguata rispetto alle caratteristiche dell’intelligenza del cane e ad una sua realizzazione pratica quasi sempre sbagliata. L’intenzione di dare il rinforzo positivo al cane che ha fatto fatica ad avvicinarsi, infatti, scade spesso in una banale tecnica di adescamento. Il cane ha una grandissima sensibilità nell’osservare ed è capace di cogliere molto rapidamente le intenzioni del suo interlocutore. In questo senso quindi, un soggetto con un profilo sociale chiuso considererà l’offerta di cibo come una trappola e una possibile minaccia.
Nel caso in cui un cane timido e/o diffidente sia molto motivato dal cibo potremmo vederlo anche avvicinarsi, quando adescato, ma questo non dovrà indurci a pensare che lo stia facendo perché si fida o perché voglia interagire con noi. A volte il cibo può essere un incentivo in grado di sbloccare i cani che interagiscono con molta cautela. Tuttavia, quando il cibo funziona, significa che il cane non aveva un problema sociale vero e proprio e che questo si sarebbe risolto comunque con il tempo. Al contrario, un uso scorretto del cibo nell’ambito dello sviluppo delle competenze sociali, rischia di produrre nel soggetto effetti molto negativi.
L’adescamento, l’inganno, il fraintendimento delle intenzioni che muovono il suo avvicinamento alle persone può sensibilizzare il cucciolo e tracciare un solco pieno di sfiducia tra lui e gli esseri umani. Rispettiamo il cane come soggetto che ha delle emozioni e possiede caratteristiche individuali che possono anche differire dall’immagine convenzionale del cane socievole. Solo così l’essere umano si potrà guadagnare il merito di essere definito storicamente come il miglior amico del cane.