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9 Ottobre 2021
17:00

Collare a strozzo, andare al di là della “guerra culturale”: cosa è, come e perché ancora si usa

Lo scontro sul collare a scorrimento è così acceso perché dietro l’utilizzo dello strumento vi è una ben più profonda contrapposizione culturale: quella tra due approcci diversi alla relazione col cane. E le leggi non possono essere la soluzione fin quando non si riferiscono a dati certi e incontestabili o, al più, dovrebbero richiedere di produrne, visto anche che oggi fare esami strumentali è semplice e alla portata di tutti.

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    È in atto da ormai due decenni quella che può essere definita come una vera e propria guerra tra chi è pro o contro l’utilizzo del collare a scorrimento (altresì detto a strozzo).

A rendere particolarmente aspra la contesa da un lato è la recriminazione che un collare di questa tipologia sarebbe paragonabile quasi a uno strumento di tortura (simile a quelli elettrici o con le punte all’indentro), in grado di causare non solo gravi traumi e danni psicologici, ma anche diversi danni fisici, tra cui lesioni oculari, danni a trachea ed esofago, gravi traumatismi della colonna cervicale, svenimenti, paralisi delle zampe anteriori e del nervo laringeo, atassia delle zampe posteriori e altre gravi e invalidanti patologie. Dall’altra parte invece c'è chi afferma che su questo strumento si fonda l’intera cultura dell’addestramento, che esso è da sempre impiegato oltre che in campo sportivo anche da esercito e forze dell’ordine e che ciò non sarebbe possibile se effettivamente causasse i danni sopra riportati.

La legge e l'uso del collare a strozzo

Da qualche anno a questa parte la guerra sembra essersi spostata dai campi di educazione e addestramento per entrare, anche grazie a prese di posizione di alcune organizzazioni protezionistiche, nei palazzi della politica. Risalgono già a qualche anno fa ordinanze che in alcuni comuni della Lombardia (Milano, Bergamo e Treviglio) hanno vietato l’utilizzo del collare a strozzo. Ma lo stesso Comune di Milano, però, precisa che «è vietato l’utilizzo del collare a strozzo, detto anche a scorrimento completo, fatta salva la necessità di utilizzo nei casi di adempimento di un dovere (per es. forze dell’ordine, soccorso)».

Il tema poi è tornato alla ribalta per una recente modifica, sempre in questa direzione, introdotta nella legge regionale del Lazio. Vi è infine da segnalare che l’equiparazione di collari a strozzo, elettrici e con le punte è contenuta anche in un disegno di legge (il ddl 1078 dell’onorevole Perilli) presentato nel febbraio 2019.

La presentazione di proposte volte a mettere fuori legge lo strumento collare a scorrimento segna chiaramente un radicalizzarsi delle posizioni, nonché la fine di ogni possibile dialogo laddove, per legge appunto, certe pratiche vengono vietate e sanzionate. A fronte di ciò appare dunque lecito porsi delle domande e, in particolare, se quella dell’obbligo legislativo sia la strada migliore e più efficace per sanare un dibattito che ancora oggi non trova un accordo e che anima accese discussioni. Ciò è tanto più vero in un Paese come il nostro, dove è fin troppo diffusa l’abitudine di cercare di risolvere per via giudiziaria anche quelle che sono questioni ideologiche; un Paese che, non a caso, ha coniato la definizione leggi ad personam (o contra personam), volte a squalificare un avversario o una posizione semplicemente rendendoli illegali.

La contrapposizione culturale dietro l'uso dello strumento

Lo scontro sul collare a scorrimento è in realtà così acceso perché dietro l’utilizzo dello strumento vi è una ben più profonda contrapposizione culturale: quella tra due approcci diversi alla relazione col cane e, conseguentemente, al suo statuto e al suo ruolo nella nostra società.

Da un lato quella parte di addestratori che si definiscono “classici” e che, per quasi un secolo, sono stati gli unici professionisti che si occupavano di comportamento del cane, quelli che addestravano i cani per svolgere lavori utili all’uomo (ad esempio nell’esercito o per le forze dell’ordine) e che si occupavano anche di selezionare le razze e i soggetti più adatti a svolgere questi compiti. L’idea di questi professionisti è che i metodi utilizzati per addestrare i cani da lavoro dovrebbero essere usati anche dai normali cittadini, e che dunque i fondamenti dell’addestramento andrebbero allargati all’intera società.

Dall’altro tutta una serie di approcci o di metodiche nati nell’ultimo trentennio e che non guardano tanto all’impiego dei cani in un lavoro, ma al multimillenario rapporto di convivenza, improntato non sull’addestramento, ma sulla di capacità dei cani di condividere con noi spazi e risorse; non agli strumenti per insegnar loro questo o quel comportamento, ma alla comprensione dei loro segnali, per capirne gli stati emozionali ed eventualmente anche le richieste. Da un lato dunque disciplina e controllo, dall’altro comprensione e mediazione.

Essere imparziali in questa contrapposizione è praticamente impossibile e quella del collare o pettorina sembra in molti casi più una scelta di campo ideologica che non quella di uno strumento di conduzione. E proprio per questo ci tengo subito a chiarire che, usando da ormai oltre 15 anni quasi soltanto pettorine, non ho alcun dubbio su quale fronte schierarmi, né ho mai pensato di cambiare la mia scelta. Ho conosciuto centinaia di cani che, pur non essendo mai stati in alcun modo iniziati ai fondamenti dell’addestramento, hanno vissuto vite ricche e felici. Pur senza un collare hanno imparato molto ed anche stabilito una comunicazione chiara e profonda coi loro umani.

Una letteratura scientifica alquanto modesta

Non ritengo tuttavia l’essere di parte un valido motivo per non provare ad essere obbiettivo. Ora, non vi sarebbe alcun plausibile motivo per non vietare per legge un certo strumento se fosse provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che esso è nocivo o dannoso. Ma, rispetto ad uno strumento che fino ad oggi è stato ampiamente utilizzato, dovrebbe stare a chi ne propone il divieto l’onere di una prova chiara e incontrovertibile.

Tra i principali motivi per cui si vorrebbe vietarlo vi sono i gravi danni fisici che il collare a strangolo causerebbe e ci si aspetterebbe di trovare numerosi e concordanti studi a riprova di tali affermazioni. La cosa che invece sorprende è che tutti i riferimenti rimandano soltanto a una modestissima letteratura: in particolare, tralasciando i racconti aneddotici, a una manciata di episodi singoli (case reports) documentati dagli anni 40 a oggi (e uno in particolare in cui un conduttore ha affermato di aver sollevato il cane e averlo tenuto sospeso per circa un minuto, ovvero in altre parole di averlo impiccato) e 2 o 3 ricerche. Vi è poi uno studio, effettuato dallo psicologo Hallgren, in cui si sono osservate, da parte di osteopati e chiropratici, delle dorsopatie (mal di schiena) in cani gestiti con collare e abituati a tirare al guinzaglio (studio che manca da un lato di aver documentato quanto riportato attraverso esami strumentali e dall’altro di un raffronto con cani gestiti con pettorina).

Se per quanto riguarda i danni fisici le prove non sembrano così schiaccianti, ma soltanto far propendere verso l’idea che sia un certo uso dello strumento ad avere dei rischi, per quanto riguarda i danni psicologici si fa invece riferimento al fatto che i metodi educativi basati su dolore e paura non solo non sono efficaci, ma rovinano anche la relazione. E tuttavia, per quanto questa sia un’affermazione assolutamente fondata e condivisibile, sembra basarsi su un artificio retorico: ossia dare per acquisito ciò che invece si dovrebbe dimostrare. Ovvero che l’uso in sé del collare a strozzo provochi nel cane dolore e paura. Tali emozioni negative sembrano più legate al comportamento delle persone che non allo strumento in sé, che può essere usato, di caso in caso, con differenti intensità.

É giusto imporre per legge le proprie idee?

A fronte di tutto ciò sembra lecito domandarsi se lo spirito di certe proposte di legge sia ispirato più da questioni ideologiche che non da osservazioni obbiettive e sembra dunque ancor più lecito domandarsi se quella legale sia la strada migliore da intraprendere per imporre un certo modo di vedere. Questa strada infatti, sebbene possa dare l’idea di una vittoria immediata, può però portare a contraccolpi di vario tipo e, in certe circostanze, rivelarsi anche un vero e proprio boomerang.

Questo è ciò che è successo per esempio nel comune di Milano dove, in sede di approvazione dell’ordinanza, sono passate anche alcune deroghe. E così nel Comune, come sottolineato all'inizio di questo articolo, «è vietato l’uso dei collari a strozzo, fatta salva la necessità di utilizzo nei casi di adempimento di un dovere, per esempio forze dell’ordine, soccorso, o per ragioni di sicurezza o tutela dell’incolumità pubblica o in caso di necessità». Ecco dunque che questa norma sembra contraddire sé stessa nel momento in cui concede proprio per i cani impiegati in delicati lavori, spesso a contatto con molte persone, l’uso di strumenti che ne lederebbero l’integrità psicofisica e la fiducia nell’uomo.

Un’altra questione che va attentamente considerata è poi il fatto che, per quanto chi è favorevole all’uso del collare a strozzo rappresenti ad oggi una parte ampiamente minoritaria della cultura cinofila (quella che si definisce "addestramento classico"), essa è formata spesso da professionisti di lungo corso e che hanno una certa base di seguito. Andare ad una contrapposizione frontale, dichiarando addirittura illegali i loro strumenti, non favorisce certo la riflessione e tantomeno il dialogo, portando anzi una certa disinformazione.

Il viaggio che con Kodami stiamo facendo vuole invece andare in direzione assolutamente opposta rispetto a certe banalizzazioni. Ciò che cerchiamo ogni giorno di mostrare è che il mondo della cinofilia è estremamente complesso e articolato. Che ci sono posizioni diverse e a volte anche in disaccordo tra loro (per esempio tra addestratori, gentilisti e cognitivi o, alle volte, anche coi veterinari esperti in comportamento). Non esiste un’unica grande lobby ma, molto più semplicemente, diversi rami di questo variegato mondo che è la cinofilia contemporanea hanno deciso, per quanto possibile, di evitare di fare affidamento su un certo strumento.

Una cultura che basa tutto su uno strumento è una cultura povera

Se fino ad una ventina di anni fa era difficile anche solo trovarla nei negozi, oggi l’uso della pettorina si è ampiamente diffuso, tanto da diventare uno degli strumenti più comuni e usati. Questo perché un numero sempre maggiore di professionisti, di diverse estrazioni e scuole, ne ha trovato l’uso utile comodo ed efficace. Ciò ha portato ad un enorme cambiamento culturale, nel quale chi ha deciso di continuare ad affidarsi al collare a scorrimento è finito per trovarsi in posizione ampiamente minoritaria. Ma non solo, perché la nascita di scuole di pensiero diverso ha contribuito ad avvicinare moltissime persone, coi loro cani, al mondo dell’educazione. Persone che si son sempre tenute lontane dai campi di addestramento in quanto si trovavano a disagio e non ne condividevano l’approccio alla relazione: un approccio fatto di sits e plats (trad. seduto e terra), di ordini militareschi e di controllo.

Questo non ha tanto a che fare con le ragioni che motivano le leggi o le ordinanze, ossia i presunti danni fisici o psicologici, ma con un diverso modo di considerare il cane, la sua intelligenza e la sua comunicazione. Se da una parte infatti abbiamo una cultura che fa dell’uso di uno strumento il centro e il cardine della propria efficacia, tanto da arrivare a dire che senza un collare a scorrimento non è possibile neanche comunicare, dall’altro invece chi crede fortemente e fermamente che i canali comunicativi aperti tra le due specie sono ampi e forti. Tanto da adottare uno strumento, la pettorina, che ha un valore il più possibile neutrale per la comunicazione. Non è lo strumento, in altre parole, che ci dovrebbe consentire di essere in sintonia col nostro cane, ma la nostra capacità di comprendere i suoi segnali e, a nostra volta, di inviarne a lui in modo chiaro ed efficace.

Questa, a mio avviso, è la vera battaglia culturale: quella di mostrare che una cultura che basa tutta la sua efficacia sull’utilizzo del collare a strozzo è in realtà molto povera e non comprende appieno la reale intelligenza del cane. Una cultura che si fonda sul controllo e che arriva ad affermare che il cane trova il suo benessere solo nell’essere addestrato a rispondere a ordini e comandi semplicemente non riconosce a questa specie la sua reale intelligenza e dunque gli manca di rispetto e fiducia.

E tuttavia questa è una battaglia culturale che non può essere imposta per legge, perché riguarda non gli strumenti (che possono essere anche vietati), ma il modo di considerare il cane e la sua intelligenza. E le leggi di uno stato democratico non dovrebbero servire per imporre il proprio modo di vedere le cose, ma dovrebbero richiamarsi a dati certi e incontestabili o, al più, richiedere di produrne, visto anche che oggi fare esami strumentali è semplice e alla portata di tutti.

Ci sono, ancora, problemi più profondi da affrontare

Concludo questa lunga riflessione, anche col rischio di essere tacciato di benaltrismo, che quella sul collare a strozzo è una battaglia semplice e che, in molti casi, trova facili consensi puntando sull’emozione. È facile in altre parole vedere dei maltrattatori in chi ne fa uso e nei cani delle povere vittime. E tuttavia i problemi più grandi dei cani nella nostra società non sono in quella frangia minoritaria di persone (tra l’altro sempre in calo) che ancora oggi usa il collare a scorrimento.

I veri e reali problemi riguardano il grave maltrattamento psicologico a cui sono sottoposti quei cani (e purtroppo non sono pochi) costretti a vivere vite noiose e sedentarie. È l’idea ancor oggi diffusa, sulla quale purtroppo anche le associazioni animaliste tendono ad essere troppo indulgenti, che per far felice un cane basti solo una “cuccia morbida, un posto caldo e tante coccole”.

In moltissimi casi le problematiche comportamentali, indici di disagio, malessere e infelicità, nascono laddove il collare a strozzo non è neanche preso in considerazione, ma dove allo stesso modo non si comprendono i reali bisogni dei nostri amici. Quello della deprivazione di importanti esperienze è il maggiore problema di maltrattamento della nostra società. Cani che non hanno mai visto altro se non il giretto del quartiere, fatto di marciapiedi e guinzaglio e che, chiusi per la maggior parte del tempo in una "prigione dorata", vengono considerati come coccolati e viziati, ma che in realtà non sono altro che maltrattati.

E purtroppo è sulle problematiche che nascono da questo tipo di gestione (paure, ansia, frustrazione, aggressività…) che poi fanno leva coloro che propagandano il collare a scorrimento per proporsi come chi va poi a risolvere i problemi. Forse questo meriterebbe una riflessione.

Bibliografia:

  • Fry, Done, 1974. Choke chain fatality. Veterinary Record, 95,134
  • Lane, 1974. Choke chain fatality.Veterinary Record, 95, 176
  • Walker. 1994. Chek chain, Veterinary Record, 134, 312
  • Davidson. 1994. Chek chain. Veterinary Record, 134, 284
  • Grohmann et al. 2013. Severe brain damage after punitive training technique with choke chain collar in german shepherd dog. Journal of Veterinary Behavior, 8(3), 180-184
  • Ruth, Werre, 2017. Prevalence of hyoid injuries in dogs and cats undergoing computed tomography. The Veterinary Journal. 223(5), 34-38
  • Gardner et al. 1975. Calcinosis circumscripta-like lesions in dogs associated with the use of choke chain. New Zeland Veterinary Journal. 23(5). 95,97
  • Pauli et al. 2006. Effects of the application of neck pressure by a collar or harness on intraocular pressure in dogs. Journal of the American Hospital Association. 42, 207-211
  • Hallgren. 1994. Back problems in dogs: underlying causes for behavioral problems. Dogma ed.
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Francesco Cerquetti
Esperto in etologia applicata e benessere animale
Laureato in Filosofia a partire dal 2005 ho cominciato ad appassionarmi di cinofilia approcciando il mondo dei canili. Ho conseguito il Master in Etologia Applicata e Benessere animale, il titolo di Educatore Cinofilo e negli IAA.
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