Stop alle visite domenicali in una zona del Parco Archeologico di Ostia Antica, alle porte di Roma: l’avvistamento di un cinghiale all'interno dell'area dei porti di Claudio e di Traiano ha costretto l’amministrazione alla chiusura per evitare incontri che potrebbero rivelarsi pericolosi.
A comunicare la chiusura, domenica mattina, è stato lo stesso parco, che scusandosi per la decisione improvvisa ha spiegato di avere proceduto con la chiusura «per garantire la sicurezza di tutti, visitatori e lavoratori. Daremo puntuale avviso della riapertura non appena i Carabinieri Forestali effettueranno il loro intervento». Proprio i Forestali sono intervenuti sul posto per verificare l’autenticità della segnalazione e per capire se il cinghiale si trovi ancora all’interno dell’area archeologica.
Roma e i cinghiali, una situazione annosa e mai risolta
Roma non è nuova a situazioni di questo genere: i cinghiali sono ormai praticamente integrati nel tessuto urbano, in particolare in alcune zone della città che confinano con le campagne, ma non mancano avvistamenti anche in quartieri più centrali. È capitato, per esempio, che alcuni cinghiali venissero avvistati all’ingresso del tribunale penale, a piazzale Clodio, nel quartiere Prati, e sono ormai all’ordine del giorno gli avvistamenti alla Camilluccia e a Monte Mario, zona Roma Ovest.
A fine ottobre cinque cinghiali, quattro adulti e un cucciolo, sono entrati e sono quindi stati rinchiusi nell’area giochi di Villa Mazzanti, a pochi passi dalla sede dell’associazione di Roma Natura (che collabora con la Regione alla gestione della fauna selvatica), che si è fatta carico di monitorarli e di assicurarsi che venissero catturati e poi liberati in una zona adeguata, senza ricorrere all’abbattimento. Cosa che invece era successa in un altro caso che aveva superato addirittura i confini nazionali: nell’ottobre del 2020 una famiglia composta da madre e sei cuccioli era entrata nell’area giochi Mario Moderni, all’Aurelio, e tutti gli esemplari erano stati narcotizzati e poi uccisi con un’iniezione sotto gli occhi dei residenti e dei membri delle associazioni animaliste, che avevano assistito impotenti. Il gesto aveva suscitato un’ondata di proteste ed era approdato anche sul sito della Bbc, che aveva dedicato un articolo all’accaduto.
Cinghiali a Roma, di chi sono le competenze?
Il tema è stato molto dibattuto in particolare durante il quinquennio di amministrazione targata Virginia Raggi, più volte attaccata per la gestione degli ungulati in città anche a causa di alcuni episodi che hanno superato i confini cittadini: è il caso del gruppetto che ha avvicinato una donna nel parcheggio di un supermercato alle Rughe, zona Formelli, strappandole di mano i sacchetti della spesa e costringendola alla fuga. Raggi ha sempre ribattuto alle critiche chiamando in causa la Regione Lazio, competente in materia di fauna selvatica.
Esiste inoltre un protocollo, siglato nell’ottobre del 2019 da Regione, Comune e Città Metropolitana che stabilisce che la strategia principale per la gestione dei cinghiali in città sia quella dell’utilizzo delle gabbie di cattura per procedere con la liberazione nelle due riserve naturali romane. Il protocollo prevede però che si possa ricorrere anche alle teleanestesia usando prima un sonnifero e poi praticando l’eutanasia.
A chi tocca dunque gestire la presenza sempre più numerosa dei cinghiali in città in quella che è diventata una nuova normalità in cui a rischiare sono sia gli animali (che oltre al pericolo investimento, se si avvicinano alla città e vengono catturati finiscono per essere quasi sempre abbattuti) sia gli umani? La risposta è complessa. Alla Regione spetta l’onere di predisporre e attuare piani di gestione, e di garantire il supporto dei servizi veterinari della Asl in caso di anestesia o eutanasia; al Comune spetta invece il compito di tenere puliti il territorio e le strade per evitare che i rifiuti e i cassonetti straripanti attirino gli ungulati, che in città arrivano per cercare cibo (e spesso lo trovano); alla Città Metropolitana, ex Provincia, è invece affidato il compito di catturare con le gabbie, o nei casi peggiori abbattere, gli ungulati.
Il problema è che ben poco di quanto è inserito nel piano viene rispettato: l’opzione primaria di catturare e liberare i cinghiali in oasi non viene quasi mai adottata per la mancanza delle oasi stesse, e la questione rifiuti in strada è ancora molto lontana dall’essere risolta, mentre non c’è traccia di piani (né investimenti) alternativi per il contenimento e l’allontanamento degli animali dalle zone urbane.
Perché i cinghiali si spingono in città
Come ha già spiegato la dottoressa Federica Pirrone, etologa e docente di Etologia Veterinaria membro del comitato scientifico di Kodami, i cinghiali sono animali sociali, abituati a vivere e spostarsi in gruppo. Il meccanismo che li porta ad avvicinarsi sempre più di frequente alle città non è legato al singolo individuo, ma si tratta di una trasmissione sociale dell'informazione all'interno del branco.
«Ci sono individui particolarmente curiosi che definiamo esploratori – ha spiegato a Kodami Pirrone – Si tratta di giovani maschi o femmine con prole al seguito a cui devono insegnare a mangiare. Hanno una maggior predisposizione a esplorare territori nuovi e anche ad assaggiare cibi nuovi. Penetrano nelle città dopodiché arrivano anche tutti gli altri».
Quello dell'inurbamento delle specie selvatiche è un fenomeno piuttosto complesso e che andrebbe affrontato su più fronti. Per quanto concerne l'azione del singolo cittadino, è importante non far abituare gli animali selvatici alla presenza dell'uomo, ma soprattutto non dare loro da mangiare: oltre a essere vietato dalla legge, è un'azione estremamente pericolosa che può aumentare il rischio di incidenti: «Alimentare i cinghiali e la fauna selvatica non va bene, perché crea una vicinanza, accorcia la distanza tra noi e loro. Questa eccessiva vicinanza non fa bene né a noi e né alle altre specie».