Ciao Piggy, sei stata un cane ingombrante. Talmente ingombrante che anche adesso che non ci sei più i tuoi ricordi si affollano dentro di me. Prima hanno invaso il cuore, ma questo non bastava e allora sono arrivati fino ai polmoni e li ho sentiti, perché tante volte ho avuto il fiato corto ritrovandomi a pensare a te. Tuttavia neanche questo è stato sufficiente e i tuoi ricordi sono arrivati anche nello stomaco: l’ho percepito bene quel groppo, alla base dell’esofago, ogni volta che uno di loro riaffiorava alla mia mente.
Ma ora, che sono passati alcuni giorni, tutti questi ricordi, queste immagini, hanno cominciato ad affollare il mio cervello. Affiorano così, un po’ alla rinfusa e mi ricordano attimi di vita, momenti che restano stampati nella mia testa come fotografie di una vacanza, di un periodo che è stato. E sembra quasi che cerchino di uscire quando i miei occhi si posano su quei posti dove tante volte t’ho visto eppure senza riuscirci, perché quegli spazi restano inesorabilmente vuoti, pieni del tempo che passa ma non più di te.
E lo so che ora tendono a venirmi in testa solo le immagini tristi, quelle degli ultimi momenti passati assieme, quelle degli addii o degli arrivederci ma so anche che il tempo, con le sue giuste distanze, domani rimetterà le cose al loro giusto posto. Che quando penserò a te ritorneranno i tanti attimi in cui ti ho vista regalare gioia ad invadermi la testa e il cuore.
Pure se piango in questo momento so che domani non sarà così. Che il tuo nome, PiriPiggy, sotto sotto mi porterà un sorriso. Perché tu sei stata questo e questo per me sarà il tuo lascito più bello: tu eri una che la gioia letteralmente la regalava, non eri proprio capace a contenerla. La gioia ti fuoriusciva da ogni dove e ce la buttavi addosso a sacchettate, a pacchi, fino a sommergerci. Ma sommergerci letteralmente, perché ti posso assicurare che 46 kg di gioia addosso possono realmente sommergere qualcuno. E tu questo l’hai fatto ogni volta che hai potuto, con chiunque.
Anche in questo sei stata ingombrante. “Troppa gioia! Troppo contenta!” Quante volte l’ho pensato nel vederti emozionare per un nonnulla, per una semplice attenzione, un complimento, un biscotto, anche da uno sconosciuto… Quasi con un po’ di invidia lo pensavo, quasi volessi porre un limite al quanto è giusto essere contenti.
“Attenzione – dicevo alle persone – che se si emoziona poi tende ad allargarsi”. E un po’ me la ridevo di sottecchi quando mi rispondevano “non c’è problema”, perché lì iniziava il tuo show. Ti avvicinavi gentilmente, mostrando subito di essere ben disposta a farti carezzare ma, tempo pochi secondi, mettevi subito le cose in chiaro. A te infatti piacevano i grattini sul sedere e per farlo capire a noi umani avevi escogitato una fine strategia: con una decisa capocciata tra le ginocchia divaricavi le gambe, infilavi testa e spalle e lì ti fermavi; così, in modo che il sedere fosse più o meno all’altezza delle mani. E poteva esserci chiunque, dal bimbo alto un metro e venti alla signora con la gonna fin sotto il ginocchio, dal signore elegante fino al clochard incontrato per strada ma tu, come un trattore, ti scavavi il tuo solco, usando il muso come un aratro: non facevi distinzioni. E se poi il passaggio era troppo piccolo, ti facevi largo fin quasi a prenderlo a cavallo, o a farlo sbilanciare di lato. Sei stata fonte di imbarazzo, Piripippi, te lo devo dire, ma nessuno ce l’ha mai fatta a non ridere. Specie chi ti conosceva, che sapeva già da prima che sarebbe finita così.
Ed è per questo che ho deciso di scriverti questa lettera. Per dirti certo, e ribadirti, che sei stata un cane ingombrante, ma che forse nella vita è proprio di cose ingombranti che abbiamo bisogno, che ci costringano a ridefinire i nostri equilibri, a confrontarci con le nostre mancanze, a scoprire lati inaspettati di noi stessi. Sono quelle che ci restano come patrimonio, che riempiono il cassetto dei ricordi e che non solo mi riportano a chi sei stata ma anche a chi sono io adesso, dopo di te, dopo di me per quasi dodici anni assieme.
È giunto dunque il tempo di rispolverare quelle vecchie fotografie che non guardavo da un po’ e che voglio, nei miei ricordi, che siano le prime a riaffiorare, come in un album.
Pippi, devi sapere che sei stata ingombrante già prima di nascere perché Ariel, tua mamma, non doveva neanche essere incinta. I due fidanzati super referenziati che erano stati scelti per lei, sembrava infatti avessero fatto entrambi cilecca e dopo due mesi nessuno ormai pensava più ad un parto. Immagina la sorpresa quando, all’improvviso, la Gianna (sì, questo è il soprannome di tua mamma) ha incominciato a produrre tanto latte che sembrava si preparasse a nutrire un esercito.
Ed è così che sei nata tu, un 23 dicembre alle 3 di notte. Così, all’improvviso, in un lampo. Penso sia stato il parto più veloce della storia, durato forse meno di un secondo! Di punto in bianco, in mezzo alla notte, sento tua madre fare un urlo e improvvisamente scappare nell’altra stanza. Accendo la luce e, nel mezzo del letto, vedo te, ancora chiusa nella tua placenta come in un grande fagiolo trasparente. Scorgo le tue forme, ma sei chiusa lì dentro. Panico. Di solito immaginiamo il parto di un cane come un momento bucolico, in cui la natura fa da sola il suo corso, dove tanto la mamma quanto le piccole creature sanno già cosa fare perché tutto vada per il meglio. E tante volte in realtà questo è anche vero.
Beh, nel tuo caso non è andata proprio così. Quando con un dito ho provato a toccarti e ho visto che ti muovevi, sono stato io delicatamente a rompere la placenta e a portarti la prima volta vicino alla tua mamma. Non ti nascondo che è stata una grande emozione partecipare al tuo arrivo nel mondo. Sei piombata come un meteorite, un asteroide nel centro del mio letto e da allora hai cambiato tutto.
Un’emozione, ti dicevo, essere io a presentarti per la prima volta a tua madre e a tagliare il cordone ombelicale. Lei, dopo un primo momento di paura, ti ha subito riconosciuto e ha preso a leccarti meticolosamente. Tu invece, dal canto tuo, ci hai messo veramente poco a capire dove dovevi attaccarti. La prima notte, quindi, è trascorsa così: voi due assieme, un piumone raccattato in giro ed io lì a controllare che non ti staccassi dalla tua mamma.
La mattina poi, dopo lo shock iniziale, i primi dubbi. Dove sono gli altri? È mai possibile che tu sia figlia unica? Ebbene sì, l’ecografia l’ha confermato, tutto quel latte che sembrava per un intero reggimento era tutto solo per te. E d’altra parte anche le attenzioni della Gianna, che anche queste sembravano per un esercito, anche queste erano tutte per te.
Cosa volere di più? Ho pensato, una cucciola super curata, avrà un sacco di attenzioni. Insomma… Forse anche troppe…
Cara Pippi, sei stata parecchio ingombrante anche per tutto lo svezzamento. È stato in quell’occasione che ho scoperto che voi cani, per le prime due settimane di vita, non siete capaci di fare da soli i vostri bisogni. Di solito è la vostra mamma che, leccandovi e massaggiandovi il pancino vi stimola a farli. E in quell’occasione ho imparato anche quell’altra cosa per noi umani disgustosa, ossia che, finché vi nutrite solo di latte, le vostre cacchine sono considerate dalla vostra mamma come qualcosa di sfizioso e prelibato, un po’ come dei cioccolatini.
Sarà stato per il suo inguaribile appetito, ma Ariel forse ti ha preso per un distributore automatico di cioccolatini e ti ha leccato talmente tanto che ti ha fatto venire una piccola vescica. È stato così che, sotto istruzioni del veterinario, ho dovuto intervenire io perché non ti ferisse. In pratica dovevo essere io a stimolarti con del cotone bagnato finché non facevi i bisogni, per poi ricoprirti con la famosa pasta per il sedere dei bambini. Dovevo infine controllarti h24 per evirare che tua madre ti leccasse troppo.
Non sono potuto uscire di casa per 15 giorni ma, tutte le volte che, massaggiando col cotone per alcuni minuti, alla fine usciva quel piccolo fagiolo di pupù, devo ammetterlo, era una gran soddisfazione. Inutile dirti che in quei momenti tua madre era sempre lì, che reclamava con mio sommo disgusto, quel fagiolino prelibato che reputava suo.
E intanto tu mangiavi. E crescevi. Crescevi tanto, ma veramente tanto. Mi ricordo che facevi delle sessioni di poppata di livello agonistico. Partivi la mattina con una serie da 10 minuti, pochi secondi di riposo e poi subito altri 10 minuti sul capezzolo successivo. E così per almeno 3 o 4 capezzoli consecutivi e per diverse volte al giorno. È stato questo che ti è valso il nome con cui ti ho registrato all’anagrafe, Miss Piggy, un piccolo maiale. E dev’essere lì che hai scoperto una delle tue più grandi passioni, che ti ha accompagnato per tutta la vita: mangiare.
Devo dire che hai sempre amato mangiare e non mi ricordo ci sia stata mai una volta che non ti sei emozionata davanti a del cibo. Ed è per questo che, anche nel giorno dell’estremo saluto, ho voluto che oltre alle persone a te più care ci fosse anche una striscia di carne essiccata con te. Il cibo era un tuo amico e lo incontravi sempre con grande emozione. Ed anche in quel caso l’emozione è arrivata, pur se il corpo era debole ed affaticato. Te la sei mangiata e ci ha donato un’ultima leccata in faccia per contraccambiare.
La nostra vita non è stata sempre facile. Fin da subito abbiamo dovuto affrontare delle difficoltà, ma tu, mia cara Pippins, sei diventata non soltanto grossa, sei diventata anche forte. Avevi appena 6 mesi quando Hamburger, il patriarca del gruppo, è scomparso prematuramente, sconvolgendo tutti i nostri piani.
E così, dacché eri la più piccolina, che aveva ancora tanto da imparare, sei dovuta crescere, diventare un riferimento per il gruppo. Insieme a tua madre l’avete preso in mano voi il gruppo e da allora siete diventate più come sorelle che non madre e figlia. Le Veline, eravate soprannominate, la bionda e la mora. Ed eravate voi, in fondo, a dettare i ritmi della casa con i vostri "balletti".
Non solo vi siete guadagnate il rispetto di chi già c’era prima, Giulio il Cocker psicopatico, Chobin il mezzo Pit coatto e palestrato, Chicca la Maremmana scacciata dal pastore a Valmontone, Tito ed Eva gli emigranti dalla Sicilia e la Peppa la lupa zoppa e tutta presa per i fatti suoi ma vi siete fatte carico anche di chi è arrivato dopo. Vi siete prese sulle spalle anche il piccolo Hot Dog, il cucciolo di Pastore Bergamasco di neanche 2 mesi scartato da un allevatore perché ha perso la vista da un occhio. E tu, che avevi appena 6 mesi in più (anche se eri 10 volte più grossa), sei stata per lui un po’ una sorella maggiore, un po’ una mamma. Eri il suo riferimento e ti seguiva in tutto. L’hai affiancato in tutte le sue esperienze e lo hai aiutato a crescere. Il tuo scagnozzo, lo chiamavo.
E poi c’è stata Dalma, la cucciola calabrese arrivata da noi dopo essere stata rapita assieme a suo fratello e deportata in aereo nel nord Italia. In realtà con Dalma vi stavate abbastanza sulle scatole e non perdevate occasione per qualche battibecco. Ma si sa, non si può volere bene proprio a tutti e lei infondo è una tipa un po’ strana, con tutte quelle sue paure immotivate. E già, tu se c'era qualcosa che proprio non capivi era la paura. La paura delle persone poi, quella è inconcepibile. Tu eri la fiducia fatta a cane. L’importante comunque è marcare i propri spazi e così avete fatto per tutti questi anni.
È così che, in men che non si dica, ti sei trasformata in una vera e propria matriarca, un perno attorno a cui tutta la vita di casa ha cominciato a ruotare. Mentre io ancora ti vedevo cucciola tu in realtà già cominciavi a prenderti in carico il ruolo dell’adulta, tirando fuori anche il tuo lato burbero. E quando volevi essere lasciata in pace guai a disturbarti. I tuoi potenti e fragorosi ringhi per ristabilire l’ordine ti sono valsi il titolo di sergente: Sergente Pigghinson. Insomma un ruolo di peso in famiglia, un ruolo ingombrante appunto.
Mi ricordo ancora quando ti chiamavo: “Sergente Pigghinson! A rapporto!”. Solo che quando arrivavi non ti mettevi propriamente sull’attenti. Anzi eri tutt’altro che militaresca con quel tuo fisico da ippopotamo. Mi hai fatto tanto ridere, PiriPigghinson…
Spero di essere riuscito a darti una buona vita, pur se so che sicuramente avrei potuto fare di meglio. Per circa 8 anni sei venuta con me a fare volontariato in canile. Mi aspettavi sul piazzale insieme al gruppo dei residenti quando avevo da fare, e poi mi accompagnavi in lunghe passeggiate per campi e per fossi. Forse tu non lo sai, ma per cani come Achille, Dakor, Max o Pocho, entrati in canile dopo aver morso e bollati come cani cattivi, tua madre, tu e il tuo scagnozzo Hot Dog siete stati per tanto tempo gli unici amici cani. Sono contento che la tua gioia tu l’abbia regalata anche a chi ha avuto di meno, o non è stato capito. Spero che anche tu ne sia stata contenta.
Ma la tua gioia, assieme alla Gianna, non l’hai regalata solo ai cani, perché in tante occasioni hai avuto modo di donarla anche a un sacco di bambini, nelle scuole o nei centri estivi. Certo bisognava stare attenti perché eri un pachiderma ed era un attimo che, anche solo girandoti, ne facessi volare via qualcuno. Ma fortunatamente questo non è mai successo ed anzi con te le risate erano assicurate. Anche in questo eri ingombrante, Pigghins, perché quando tu arrivavi, diventavi il centro e tutto cominciava a ruotarti attorno. Eri una calamita.
E come dimenticare poi le tue palline da tennis sbavate. Le persone, dopo un po’, dovevano scappare per non trovarsele spiaccicate su una guancia. A giocare con la pallina, infatti, te lo aveva insegnato tua madre, con la quale stavate delle ore a passarvela da una bocca all’altra. E così tu pensavi che a giocare con la pallina si facesse così: si va da una persona, gli si sbatte la pallina in faccia e si prova a infilargliela in bocca. La scena era talmente comica che non ce l’ho mai fatta a spiegarti che non si gioca così, che non è molto educato. E alla fine si finiva sempre, tutti sbavati, bonariamente ad insultarti. Perché eri ingombrante, Pippirippi, e a volte anche un po’ schifosa con le tue palline sbavate.
E la bava non mancava anche quando ti prendevi delle semplici carezze. Talmente ti emozionavi che, oltre a cominciare tutta a ondeggiare, con la bocca prendevi delicatamente il braccio come per contraccambiare. Solo che partivi inizialmente dal polso, per poi passare al gomito, la spalla fino a far letteralmente abbassare le persone e lì, con la tua lingua dargli una bella lavata, dal collo fin dentro l’orecchio. Quelli erano i bacicci di PiriPiggy, un misto di bava e di lingua in un occhio…
E infine c’era quello che è sempre stato un vero e proprio rituale. Un momento quasi sacro dove ogni cosa doveva essere esattamente al suo giusto posto. La pappa. Hai sempre rispettato il turno degli altri, ma quando arrivava il tuo momento, lì nessuno ci doveva disturbare. C’era il momento in cui andavi dalla parte sbagliata, facendo finta di non sapere che avrei posato la ciotola sempre al solito posto; poi cera il momento in cui facevi la foca, alzandoti su 2 zampe e facendo su e giù, appunto, come una foca spiaggiata nell’Artico. E infine c’era la pappa, dopo la quale venivi sempre a ringraziare prendendomi il gomito a testate per farti accarezzare. Bisognava mettersi con le braccia conserte e girarsi con la testa dall’altra parte per farti smettere, altrimenti potevi continuare anche per un’ora.
Mi mancheranno tutte queste cose, Pippiripì, perché scandivano le mie giornate. Mi hanno accompagnato per tanti anni nei momenti belli e in quelli più brutti. Erano la mia certezza, quello che non cambiava in un mondo che cambia. Quel momento di gioia che incorniciava e impreziosiva una bella giornata, oppure che alleviava il dolore di qualche cicatrice.
Quella gioia che ora l’ho capito, non è mai troppa, perché se ci avanza la possiamo regalare. Grazie per questo insegnamento, anche se penso che sia una grande responsabilità. Perché alle volte la gioia e la contentezza ci sembrano sparire dietro alle difficoltà della vita e pensiamo di non poterle ritrovare. E allora dobbiamo tornare alle piccole cose. Quelle che a volte non consideriamo, ma che invece sono la base su cui tutto poggia.
Questa forse, mia dolce Piri, è la parte più difficile di questa lettera. Come una macchia di inchiostro, proprio sul finale, che rovina lettere chiare, definite e in bella grafia. Perché è difficile parlare della malattia e di qualcosa che si nutre del tuo corpo, portandolo infine su un’altra traiettoria. E noi, purtroppo, questo spettro ce lo siamo portati addosso per anni, fin dal 2018. All’inizio con la forma di un piccolo foruncolo. Niente di grave, si pensava, solo una strana ombra sul nostro cielo sereno, dopo quella diagnosi. Una patologia benigna, ma con rischio di recidiva.
E purtroppo quella recidiva è arrivata non una, ma ben 2 volte, sempre più in profondità e, a distanza di pochi anni, si è capito che non la potevamo più sconfiggere. Sono stati anni difficili e, soprattutto dopo il secondo intervento, ti confesso, che tornare a casa e salutarti ha cambiato il suo sapore.
Ti devo ringraziare perché sei stata tu a farmi capire che, finché i nostri piccoli rituali quotidiani potevano scandire le giornate allora tutto andava per il meglio. Che tutto era a posto, che potevamo stare sereni. Grazie per avermi fatto capire che anche solo una breve passeggiata assieme può riempire l’anima. Grazie per avermi riproposto tutti i tuoi balletti ogni volta che arrivava il momento della pappa. Grazie dei tuoi ringhi per delimitare i tuoi spazi e riposare tranquilla. Era il tuo modo per dirmi che la vita va apprezzata ogni giorno, pensando a ciò che abbiamo e non a quello che ci manca. Pur se quello che abbiamo oggi è solo un’ombra di ciò che c’era prima. È quel che c’è ad essere importante, non quello che abbiamo perso. Perché è su ciò che abbiamo che si basano i legami e da questi ci viene la forza per continuare e rinascere.
È stato duro vedere tutte le azioni affievolirsi, le manifestazioni di gioia soccombere alla fatica di un corpo che, in pochi mesi, è stato sopraffatto da un mostro troppo grande. Eppure, mia dolce Piggy, quella gioia che avevi dentro sei riuscita a regalarmela fino all’ultimo, fino a quando la forza dei tuoi occhi riusciva a superare quel corpo che faceva fatica anche solo ad alzarsi.
Ma la cosa forse più difficile è stato vedere che quel mondo, che prima ti ruotava attorno, piano piano ha cominciato a girare altrove. Ti sei defilata, ti sei gradualmente fatta di lato come se sapessi di non poter più reggere il peso dell'equilibrio. Gradualmente hai smesso di ringhiare e negli ultimi giorni hai smesso anche con le lunghe sessioni di pulizie delle orecchie che vi facevate con tua madre.
Alzarti era una fatica e allora, al ritorno a casa, dovevo essere io a venire da te per salutarti. E tu ti sforzavi e iniziavi il tuo show. Ha fatto male, bimba, grattare quel sedere che un tempo era grosso e ingombrante tra le mie gambe, diventato piccolo e gracile. Ma tu eri contenta e allora bisognava farlo.
E anche gli altri ti sono rimasti accanto, pure se, penso, era già un po' che avevano capito. Ti hanno rispettato e ti hanno lasciato in pace, come se non ci fosse più motivo di ringhiare. E d'altronde, ormai, sono anche loro quasi tutti vecchietti e assieme affrontiamo questa stagione, in cui tutto va più lento tranne il tempo che passa.
Mia piccola Pi, abbiamo fatto un viaggio in auto assieme prima del tuo ultimo e definitivo appuntamento. Ti ho messo in macchina, che tanto ti piaceva, e ho poi abbassato i finestrini. Ti ho fatto ripercorrere le vie che per una vita abbiamo fatto assieme. Spero che quegli odori, gli alberi, le strade, i tragitti possano averti riportato a quelle emozioni familiari che hanno scandito la tua vita fino dall’infanzia. E così dalla casa nuova siamo tornati in quella vecchia, dove sei cresciuta; da lì tutta la strada che ogni volta facevamo per andare in canile o da qualunque altra parte.
Si dice che i cani abbiano un olfatto straordinario e mi piace pensare che, come per noi sarebbe bello rivedere tutti i luoghi che abbiamo reputato importanti prima di lasciare questo mondo, così per voi potrebbe essere importante ripercorrere gli odori che hanno scandito la vostra vita.
Non so se sono riuscito nel mio intento, ma ho notato che, proprio mentre passavamo sotto la tua vecchia casa, quella dove sei nata, hai sospirato e per un attimo ti sei addormentata. Spero sia stato un sollievo per quel tuo corpo sofferente. Spero che per un momento tu sia tornata bambina, quando quel corpo ti spingeva lontano e non era un peso da trascinare. Grazie Pippi, perché mi hai insegnato che fino a che riusciamo ad assaporare anche la più piccola delle cose, allora la vita è bella e ci possiamo emozionare.
E quando oggi vedo Lucilla, l'ultima arrivata, che per giocare con gli altri cani prende degli oggetti e prova a sbatterglieli in faccia, so che in qualche modo tu vivi ancora in noi. Vivi nei suoi giochi e nelle mie risate, e nel mio non avere il coraggio di spiegarle che questo modo è un po' maleducato.
Ciao Miss Piggy, sei stata un cane ingombrante, ma forse quello che mi sembra oggi ancora più ingombrante è la tua mancanza.