Chi sono Totò e Pablo: l’incontro con i Pitbull protagonisti, loro malgrado, della morte del piccolo Francesco Pio

Totò e Pablo sembrano due Pitbull come tanti altri ma, decisamente, non lo sono. Sono infatti i cani che hanno portato alla morte del piccolo Francesco Pio, il bimbo di 15 mesi morto a Campolongo, Eboli. Noi di Kodami li abbiamo incontrati.

24 Aprile 2024
18:40
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Si chiamano Totò e Pablo. Sembrano due Pitbull come tanti altri ma, decisamente, non lo sono. Prima di tutto perché nessun cane è uguale a un altro, proprio come accade per noi umani. Ma guardateli bene perché, effettivamente, una sola generalizzazione si può fare: Totò e Pablo riflettono nei loro sguardi e nelle loro posture il dolore di quei tanti individui – e non solo i Terrier di tipo Bull – che da un giorno all'altro si trovano in un ambiente sconosciuto, lontano dalla loro famiglia e senza nessuno che gli spieghi cosa gli accadrà. E' questo il destino, del resto, che accomuna solo in Italia migliaia di cani che non hanno umani di riferimento o che da questi ultimi vengono abbandonati e occupano box anonimi nei tanti canili italiani.

Ma Totò e Pablo, in particolare, hanno una storia recente alle spalle rara e terribile e che comunque non si può ridurre solo a raccontarne l'attuale epilogo: sono i due Terrier di tipo Bull che hanno portato alla morte del piccolo Francesco Pio, il bimbo di poco più di un anno morto a Campolongo, una frazione di Eboli, dopo essere stato morso.

Conoscere i loro nomi è già restituirgli un'identità ma ricostruire la loro vita è invece ancora arduo, al di là delle speculazioni mediatiche indotte da testimonianze vaghe: del resto anche quando sono arrivati al Dog's Town, il canile dove sono ora tenuti in custodia sanitaria e giudiziaria, nessuno ha spiegato agli operatori nemmeno la dinamica dell'evento, figuriamoci la loro storia.

Anzi, in realtà non si sa nemmeno chi sia Totò e chi Pablo, perché nonostante la presenza del microchip non risultano registrati i loro nomi ma così sono stati chiamati nei video che girano su TikTok e così li stanno chiamando al Dog's Town. Quel che si può dire di certo su di loro è che hanno la stessa età, tre anni, e che sono nati lo stesso giorno. Del loro passato è tutto quello che per ora possiamo raccontarvi qui su Kodami: sono i dati verificati e non "per sentito dire" che si conoscono rispetto all'episodio di cronaca oggetto di un'inchiesta per cui sono indagate cinque persone.

Da subito, inoltre, sottolineiamo che la vera responsabilità per la fine di una vita umana non è di certo in capo ai due cani ma a chi di loro doveva prendersi cura, in un senso che va al di là del dargli cibo e "affetto" ma soprattutto un benessere psichico che vuol dire anche valutarne il carattere e le motivazioni al fine di metterli nelle condizioni, o meno, di interagire con l'ambiente circostante e con chi gravitava intorno a loro.

Per conoscerli e farci un'idea appunto di come stanno ora e di quale possa essere il loro profilo caratteriale, siamo andati di persona a incontrarli. Ci ha accompagnato il dottor Giovanni Ferrara, veterinario e responsabile della struttura convenzionata con il Comune in cui vivono i due umani di riferimento dei cani. Si tratta di un uomo e una donna, marito e moglie, a cui afferisce la proprietà dell'uno e dell'altro. Ad oggi queste persone non hanno chiesto nulla dei loro cani che sono arrivati ieri nel canile che si trova a Pignataro Maggiore, in provincia di Caserta.

«Nei prossimi giorni valuteremo il loro comportamento – spiega Ferrara – Hanno bisogno di essere seguiti e rieducati: se è successo quello che è accaduto è sicuramente perché hanno avuto una cattiva gestione. Parto sempre dal presupposto che anche un meticcio può diventare pericoloso in funzione di come viene allevato e viceversa un Pitbull può essere docile e tranquillo se si vive con lui una relazione corretta».

I due cani hanno un approccio completamente diverso quando ci avviciniamo ai box, eppure entrambi sono mossi dalla stessa tensione emotiva: hanno paura.

Uno, quello più grosso morfologicamente, si tiene a distanza e nascosto nella parte interna del recinto. Ringhia visibilmente, messaggio in realtà di una comunicazione molto chiara rivolta a noi umani: "Non vi avvicinate, non vi conosco e non voglio avere a che fare con voi. Ma vi sto avvertendo, lo capite?".

L'altro si avvicina alla grata che ci separa da lui, trema visibilmente e la coda è portata bassa in mezzo alle gambe. Entrambi hanno un'evidente necessità di dirci come stanno, ognuno a suo modo, ma ci vuole attenzione e conoscenza del linguaggio canino per capire da subito che non hanno altro desiderio se non quello di voler far comprendere le loro emozioni agli esseri umani, finanche a degli sconosciuti come noi siamo ai loro occhi.

Viene da dire che in realtà non hanno altra scelta: i Terrier di tipo Bull in generale hanno uno scopo predominante nella loro vita, riferirsi a una persona o più, al loro gruppo umano sociale che diventa il loro mondo, il loro punto di riferimento attorno al quale gravitano. Totò e Pablo esprimono questa necessità attraverso due modalità diverse anche nei confronti di estranei, perché sono due soggetti unici, ognuno con il proprio carattere. Durante il nostro incontro entrambi – con tempi diversi – nel momento in cui si sono però sentiti "visti" e accolti hanno dimostrato infatti di volere una sola cosa: ristabilire un legame con un essere umano, così come il loro Dna gli dice che è giusto che sia.

Questa breve analisi no, non si scontra con quanto avvenuto: i Pitbull hanno delle caratteristiche meravigliose che riguardano appunto strettamente il forte legame che stringono con le persone mentre solitamente la loro aggressività si estrinseca nei confronti della loro stessa specie e in particolare tra individui dello stesso sesso. E rispetto a questo aspetto non sorprende appunto che uno dei due sia stato castrato, si spera proprio nella consapevolezza che la convivenza sarebbe stata altamente problematica. Allo stesso tempo i Terrier di tipo Bull hanno anche una reattività "non ragionata": quando qualcosa non va nel verso giusto rischiano tantissimo che "gli si chiuda la vena" per dirla banalmente, cosa che in termini tecnici si traduce con uno stato di eccitazione (l'arousal) che può passare da zero a mille in pochi attimi se non si è "lavorato" insieme a loro per aiutarli nel non prendere decisioni affrettate. Per questo, semplicemente, è importante conoscerne le caratteristiche e non per stigmatizzarli ma per aiutarli ad accrescere le loro competenze e far emergere uno dei lati più belli della loro personalità: la dedizione totale all'umano di riferimento.

«La questione non è legata alla razza in quanto tale ma all'educazione delle persone – continua Ferrara – La differenza sul comportamento dipende dalla relazione con gli umani di riferimento. Un cane fa male se attacca ma dipende dalla morfologia il livello di letalità: quello che cambia è appunto il risultato. Il cane oggi anche dal punto di vista legale viene considerato ancora un oggetto e non un essere senziente e si può e si deve fare di più educando le persone, anche da parte dei servizi veterinari e sia per l'incolumità degli esseri umani che per il benessere degli animali stessi. Occorre una campagna informativa in maniera capillare».

Il destino di Totò e Pablo ci ricorda molto quello dei cani di Satriano, animali costretti a un "fine pena mai" per essere stati giudicati colpevoli alla stregua di un essere umano che uccide un suo simile. Eppure i Pitbull campani hanno una speranza in più proprio perché la tragedia di cui sono loro malgrado protagonisti è avvenuta in una regione in cui ci sono professionisti attenti al benessere dei cani che potrebbero mettere le loro competenze a favore della valutazione dei due soggetti e al fine di un percorso di riabilitazione. «Dopo la fine del sequestro sanitario che avverrà il 2 maggio (i dieci giorni necessari per l'isolamento in caso di rabbia ndr) mi auspico che sia coinvolto il Centro di Riferimento regionale per l'Igiene Urbana Veterinaria della Federico II per procedere con indagini di tipo comportamentale – spiega il responsabile del Dog's Town – Quel che suggerisco è che venga fatto il calco dentale per capire bene quale dei due è stato l'artefice della morte del bambino ma al fine di identificare le responsabilità penali umane da una parte e per cercare di riabilitare i cani con singoli percorsi di recupero. Così  mi auguro possano trovare una nuova famiglia».

Mentre andiamo via lo sguardo di Totò e Pablo è cambiato e così anche la loro postura. Sono rimasti accanto a noi, solo un cancello a separarci ancora e il loro assetto emotivo è cambiato. Si sono entrambi lasciati cullare dal suono delle nostre parole, dal silenzio dell'abbaio di altri ben 600 cani presenti nella struttura che dopo un'accoglienza rumorosa sembrano anche loro aver voluto lasciare spazio all'ascolto di quel modo di comunicare degli umani fatto di tanti ragionamenti e spiegazioni e così poca sensibilità nell'aprirsi alla relazione con un altro animale. C'è un ultimo aspetto che chiediamo a Ferrara di sottolineare, perché spesso anche chi ama gli animali fa confusione rispetto alle normative e rischia di generare informazioni non corrette in un altro senso.

«L'eutanasia è prevista legalmente ma si tratta di casi estremi e per quanto mi riguarda e in 25 anni anni che faccio questo lavoro non mi è mai capitato di vederla applicata per problemi comportamentali, anche nel caso di cani talmente pericolosi per noi umani da dover essere catturati con la telenarcosi. Quei cani dopo 20 giorni erano gestibilissimi oltretutto. Ritengo che l'eutanasia sia da fare, come del resto prevede la legge, solo per cani che hanno patologie fisiche gravi e irrimediabili dal punto di vista medico. I meccanismi di rieducazione funzionano, ribadiamolo: ci sono professionisti bravissimi e cani come questi due Pitbull per me dovrebbero essere destinati ad avere una seconda possibilità ma con persone veramente consapevoli delle loro necessità».

Guardate di nuovo questi cani, ora: si chiamano Totò e Pablo e di certo, ad oggi, c'è solo che il loro destino è scontare una pena di cui non hanno alcuna colpa.

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Diana Letizia
Direttrice editoriale
Giornalista professionista e scrittrice. Laureata in Giurisprudenza, specializzata in Etologia canina al dipartimento di Biologia dell’Università Federico II di Napoli e riabilitatrice e istruttrice cinofila con approccio Cognitivo-Zooantropologico (master conseguito al dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Parma). Sono nata a Napoli nel 1974 e ho incontrato Frisk nel 2015. Grazie a lui, un meticcio siciliano, cresciuto a Genova e napoletano d’adozione ho iniziato a guardare il mondo anche attraverso l’osservazione delle altre specie. Kodami è il luogo in cui ho trovato il mio ecosistema: giornalismo e etologia nel segno di un’informazione ad alta qualità di contenuti.
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