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6 Dicembre 2022
12:07

Chi era Kumash, il Golden Retriever in scena con Federico Quaranta su Rai2

Kumash, il Golden Retriever che accompagnava Federico Quaranta nelle puntate di Il Provinciale in onda su Rai2 è venuto a mancare l'estate del 2021, ma la sua memoria è ancora viva e racconta una storia: sono molti i cani che lavorano sui set che ricevono un addestramento con rinforzo positivo ma come racconta l'esperto David Morettini a Kodami, spesso non sono consapevoli di ciò che stanno facendo.

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Una vista dall'alto di un paesaggio meraviglioso tutto italiano, poi una rapida carrellata della vegetazione del luogo e infine lui: Kumash, il Golden Retriever che corre incontro al presentatore Federico Quaranta nelle diverse puntate di "Il Provinciale", programma che è tornato in onda su Rai2 con la seconda stagione. Quel cane che vedevamo nelle puntate della serie, però, non c'è più: è venuto a mancare nell'estate del 2021 ma nonostante ciò il suo ricordo racconta una storia che accomuna molti altri cani sul piccolo e grande schermo: la maggior parte di loro, incluso Kumash, non sono compagni degli attori in scena, ma cani addestrati per essere perfetti.

Kumash non era in cane che condivideva la vita con Quaranta, ma un "cane attore". Come spiega a Kodami David Morettini, istruttore cinofilo con approccio cognitivo-zooantropologico e membro del comitato scientifico di Kodami: «Quello che vediamo in molti cani che partecipano a programmi televisivi e film dimostra solo come il cane sia abituato al set e come sappia stare sul palco, ma lo fa solo perché addestrato, non comprende realmente quel che gli accade intorno».

Chi era Kumash

Dunque, il Golden Retriever che abbiamo imparato ad amare sul piccolo schermo rientra perfettamente all'interno della classica descrizione di un cane che lavora per l'industria dello spettacolo. Da un punto di vista antropocentrico sarebbe persino possibile affermare che in circa sei anni ha collezionato una serie di esperienze che farebbero sfigurare molti curriculum di odierni aspiranti attori. Ad esempio, ha preso parte alle fiction “Tutti insieme all’improvviso” con Giorgio Panariello e “L’isola di Pietro” con Gianni Morandi.

Proprio con Morandi per tre anni Kumash ha interpretato il fidato amico a quattro zampe del dottor Pietro Sereni e l'attore e il cane sembrerebbero aver legato molto sul set come testimoniano numerosi post che li ritraggono insieme pubblicati sul profilo Instagram del cantante.

La "carriera da attore" di  Kumash è iniziata sin da piccolo: adottato dall'istruttore cinofilo Massimo Perla, da subito ha ricevuto un addestramento basato principalmente sul rinforzo positivo in cui si insegna al cane a seguire determinati comandi con la promessa di ricevere una ricompensa alimentare in cambio. Questa modalità è ancora molto usata ma è stata superata dall'odierno approccio cognitivo che punta soprattutto a creare un rapporto fra essere umano e animale in modo tale che quest'ultimo sia pienamente consapevole del ruolo che ha e delle azioni che compie.

«E' un addestramento praticato in un tipo di approccio definito "gentilista" – spiega ancora David Morettini – Che si basa su una meccanica stimolo-risposta. In poche parole a un determinato stimolo si fornisce una risposta che, in questo caso, è un rinforzo positivo. Questo significa dare un premio al cane, come ad esempio un bocconcino, una volta fatto ciò che vogliamo che faccia o sottrarre qualcosa di positivo come può essere l'attenzione o la libertà attraverso il guinzaglio in caso contrario. In questo tipo di approccio non viene usato mai il rinforzo negativo, dunque non si offende o vessa mai il cane».

È possibile usare l'approccio cognitivo per i cani che lavorano sul set?

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Per i cani così abituati, dunque, stare sul set significa compiere l'ennesimo incarico in attesa di un nuovo premio, proprio come spiega l'esperto: «Per addestrare un soggetto secondo l'approccio gentilista viene applicata quella che si definisce "chain behaviour", letteralmente "catena di comportamento". In questi caso gli addestratori devono insegnare all'animale a compiere azioni complesse e per farlo creano una catena di comportamento in cui dividono l'azione complessa in tanti comportamenti più piccoli che è possibile consolidare con il rinforzo positivo. Successivamente si rende il rinforzo sempre più discontinuo, lasciando il cane in attesa del premio per non farlo abituare alla ricompensa ogni volta che esaudisce un comando. Alla fine, avremo un cane che in mente avrà solo un obiettivo: la ricompensa».

Ecco dunque che un occhio allenato nota dei piccoli particolari a cui comunemente uno spettatore non farebbe caso. «Spesso questi cani non sono in relazione con il contesto – sottolinea David Morettini – Il montaggio televisivo, grazie a tagli, cambi di inquadratura e un certo tipo di regia fa si che si crei una prospettiva tale da far sembrare che il cane stia seguendo l'attore protagonista o che il suo sguardo sia rivolto verso un punto in particolare. In realtà non è così: il cane non è consapevole di ciò che sta facendo ma è in attesa del rinforzo positivo».

A questo punto Morettini tiene a evidenziare una cosa importante: «Questo tipo di approccio è antiquato ma dal mio punto di vista non si danneggia l'animale, motivo per cui chiunque voglia applicarlo è libero di farlo. Non dobbiamo illuderci, però, che il cane stia realmente interpretando un copione. Il cane è letteralmente ammaestrato affinché abbia un comportamento utile a una scena indotto da una chain behaviour».

«Fare un film dove i cani recitano in maniera più attiva e sono consapevoli di ciò che fanno è possibile – conclude Morettini – Si dovrebbe mettere in pratica qualcosa che molti bravi attori umani fanno per interpretare parti difficili: utilizzano settimane o mesi di immersione nel quale provano a immedesimarsi nel personaggio. Allo stesso modo è possibile far fare dei percorsi ai cani in cui si crea una relazione con gli altri attori sul set. Il problema di questo tipo di approccio è che per realtà come le pubblicità o le serie TV per rispettare i budget i tempi sono corti. Un percorso del genere, dunque, è spesso impossibile da mettere in pratica sebbene auspicabile».

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