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19 Marzo 2023
11:24

Centinaia di foche uccise dall’influenza aviaria nel New England

Lo studio condotto su 330 tra foche grigie e foche comuni ha confermato la trasmissione di un ceppo di aviaria dagli uccelli marini, gabbiani in particolare, ai mammiferi.

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Foto di Silke da Pixabay

Centinaia di foche trovate morte sulle coste del New England tra giugno e luglio 2022 sono state uccise da un ceppo di influenza aviaria. È il risultato cui sono arrivati i ricercatori della Cummings School of Veterinary Medicine della Tufts University, che hanno condotto uno studio sui decessi ricollegandoli all’epidemia di influenza aviaria scoppiata tra gli uccelli marini della zona.

Lo studio, pubblicato lo scorso 15 marzo sulla rivista Emerging Infectious Disease, ha preso in esame i corpi di 330 tra foche comuni e foche grigie trovati spiaggiati lungo le coste del Nord Atlantico. A condurlo la virologa e scienziata Wendy Puryear e la ricercatrice post-dottorato Kaitlin Sawatzki, che lavorano entrambe al Runstadler Lab della Cummings School e che hanno concentrato i loro studi sui virus nelle foche. La collaborazione con cliniche specializzate in cura della fauna selvatica, enti governativi e associazioni ha consentito loro di raccogliere una grande quantità di dati e di sequenziare il virus, comparando campioni prelevati da foche e uccelli trovati morti sulla stessa spiaggia.

In questo modo è stato possibile rilevare un ceppo di influenza aviaria mai registrato in New England, e mettere per la prima volta in correlazione questo virus con un evento di mortalità su larga scala nei mammiferi selvatici in zona. Quella del New England non è infatti la sola morìa di mammiferi legata all’influenza aviaria. Il Perù ha confermato che circa 3.500 leoni marini sono morti a causa del virus, il Canada ha riportato un evento di mortalità delle foche lungo l'estuario del fiume San Lorenzo, e un evento simile si è verificato con le foche del mar Caspio, stando a quanto riportato da autorità russe.

Il ceppo H5N1 dell’influenza aviaria è stato responsabile di circa 60 milioni di decessi di uccelli domestici negli Stati Uniti dall'ottobre 2020, e ha registrato numeri simili anche in Europa. È stato già dimostrato che il virus si può trasmettere dagli uccelli a mammiferi come visoni, volpi, puzzole e orsi (un fenomeno di salto di specie che è stato affrontato con Kodami dal giornalista e scrittore David Quammen), ma in tutti i casi si è trattato di eventi localizzati e che non hanno coinvolto molti animali, contrariamente a quanto invece è accaduto in New England.

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Il monitoraggio eseguito su uccelli e mammiferi a partire da gennaio 2022, poco dopo che questo ceppo di aviaria è stato registrato per la prima volta negli Stati Uniti, ha consentito di individuare un'ampia gamma di virus influenzali, tra cui almeno tre ceppi che hanno attraversato l'Atlantico provocando ondate di infezione negli uccelli. Nel periodo in cui sono morte le foche, moltissimi gabbiani sono morti per lo stesso virus, il che ha aperto diversi scenari sulle possibilità di contagio.

Come avviene il contagio tra uccelli e mammiferi

Le foche e gli uccelli marini sono infatti animali costieri che condividono lo stesso habitat e vivono nelle stesse aree: una foca può contrarre il virus se entra in contatto con gli escrementi di un uccello malato o con l'acqua contaminata da tali escrementi, o se si ciba di un uccello infetto. L’aviaria ha esito mortale in quasi il 100% dei casi, sia che si tratti di uccelli sia di mammiferi selvatici: tutte le foche risultate positive sono state trovate già morte, oppure sono morte poco dopo il campionamento. Resta da chiarire ora se si sia mai verificato un contagio da mammifero a mammifero, e cioè tra foche.

«Non è così sorprendente che si possa verificare la trasmissione tra foche, perché è già successo con l'influenza aviaria a bassa patogenicità – ha detto la dottoressa Puryear – Tuttavia, non possiamo dire con certezza se vi sia stata o meno una trasmissione da mammifero a mammifero di questo ceppo. Per ottenere prove evidenti della trasmissione da mammifero a mammifero, sono necessarie due cose: molti animali infetti, e tempo. Tempo perché il virus muti, e perché il virus mutato venga trasmesso a un'altra foca. Man mano che il virus acquisisce mutazioni, possiamo vedere mutazioni condivise nelle sequenze che sono specifiche solo per i mammiferi e che non sono state mai viste prima in un uccello. Avevamo i numeri, ma questo focolaio non è durato abbastanza a lungo da fornire prove della trasmissione da foca a foca».

Rischio molto basso per l'uomo, ma i ricercatori avvertono: «Monitoraggio fondamentale»

I ricercatori si stanno preparando adesso ad approfondire gli studi, tenendo sotto stretto monitoraggio le coste. Hanno però voluto rassicurare su fatto che il rischio per le persone rimane basso: da dicembre 2021 sono stati segnalati a livello globale meno di 10 casi di influenza aviaria H5N1 tra esseri umani, e questi casi si sono verificati in persone con esposizione diretta a pollame infetto. Non ci sono invece casi documentati di trasmissione umana per questa variante: «Esiste la possibilità che possa diventare un problema più grande per la salute umana – ha concluso Puryear – L'influenza aviaria è emersa nel 1996 e, dal 2003, sono stati segnalati 868 casi di infezione umana da H5N1 in tutto il mondo, secondo l'Organizzazione mondiale della Sanità. Di questi, 457 sono stati fatali, circa il 50% di mortalità. Ed è per questo che le persone si preoccupano».

A oggi è disponibile un vaccino monodose per il pollame, ma attualmente non è somministrato su larga scala, in parte a causa dei costi e della logistica, e in parte perché c'è qualche preoccupazione che possa rendere più difficile la futura sorveglianza del virus. Molto complesso invece controllare il virus nella fauna selvatica: «La biosicurezza è importante per limitare i modi in cui il virus può diffondersi tra e all'interno delle specie – concludono i ricercatori – Per esempio, m gli uccelli selvatici dovrebbero essere tenuti separati dagli uccelli domestici. Inoltre, una sorveglianza approfondita e tempestiva degli animali domestici e della fauna selvatica è la chiave per comprendere come il virus si sta evolvendo e per preparare i migliori vaccini e trattamenti possibili».

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Andrea Barsanti
Giornalista
Sono nata in Liguria nel 1984, da qualche anno vivo a Roma. Giornalista dal 2012, grazie a Kodami l'amore per gli animali è diventato un lavoro attraverso cui provo a fare la differenza. A ricordarmelo anche Supplì, il gatto con cui condivido la vita. Nel tempo libero tanti libri, qualche viaggio e una continua scoperta di ciò che mi circonda.
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