Caro Kodami,
mi sono imbattuta sulla vostra notizia in cui si parla di una clinica in Spagna dove è possibile clonare il proprio animale domestico. A costi esorbitanti poi! E ho scoperto leggendo che negli Stati Uniti è una pratica più diffusa di quanto si crede. Io non riesco però a comprendere questa ennesima deriva della mente umana… Guardo il mio Ciro, un meticcio che ho adottato dal canile undici anni fa, e penso che il tempo che ci resta da passare insieme è sicuramente molto, molto meno di quello che abbiamo avuto già la possibilità di condividere. Sento il cuore stringersi, mentre lui mi guarda e chissà che cosa sta pensando… Ma io non potrei mai pensare che un suo clone sia identico al mio Ciruzzo. Ma le persone non ci arrivano? Come possono affezionarsi a un animale solo per l'estetica o fingendo – perché non è possibile che tu non lo sappia! – che anche clonando non si replica mai la personalità di un singolo? Cioè… clonerebbero la nonna nella consapevolezza che non avrebbero mai accanto la stessa persona ma solo una che è esteticamente uguale a quella che hanno amato? Scusa lo sfogo Kodami, ma al di là dei cani o dei gatti io credo che sia proprio una nostra incapacità di accettare che anche noi dovremmo morire prima o poi…
Paola M.
Risponde la direttrice Diana Letizia
Cara Paola, la tua mail arriva appunto nel giorno in cui abbiamo pubblicato la notizia a cui fai cenno. Su Kodami abbiamo toccato diverse volte l'argomento, sottolineando proprio che si è creato un vero e proprio business sulla clonazione degli animali domestici. Ora con la tua lettera determinata e lucida hai colpito nel segno ancora di più, portando come esempio la relazione con il tuo cane. In poche parole, fondamentalmente, hai detto ciò che anche noi pensiamo e che – spero – attraverso tutto il nostro lavoro di sensibilizzazione, informazione e divulgazione traspare chiaramente su Kodami: ogni essere vivente è un individuo a sé.
Il principio da cui partire è quello che tu sottolinei nell'ultima parte della tua lettera: la fallàcia degli esseri umani nella non accettazione della morte. Mentre aspettiamo che la vita finisca, fingiamo di non saperlo e quando accade a chi ci è vicino nemmeno ci rendiamo conto che poi accadrà anche a noi. Se già nei rapporti con gli esseri umani il lutto a volte è un vuoto che non si riesce mai a colmare, nonostante poi si sopravviva comunque alla perdita, con gli animali diventa per alcuni del tutto insopportabile. Sia chiaro: non sto e non stai – mi permetto di estendere questo ragionamento anche a te – toccando le corde del dolore inestimabile che ognuno prova quando un compagno di vita viene a mancare. Come ho scritto in un articolo, quel lutto lì è un viaggio che ognuno fa a suo modo e va onorata l'importanza che ha avuto la relazione nell'esistenza di ogni persona che l'ha vissuta.
Il problema è l'estremizzazione, fino appunto a voler replicare ciò che, semplicemente, è irripetibile. E con un animale domestico, a differenza di un essere umano, si continua a cadere nella trappola dell'oggettivazione. Con gli animali rimane quel "è tutto consentito" che tra noi umani viene fermato da questioni etiche che mettono dei confini a quella che tu chiami "deriva".
E dunque grazie, Paola: le tue parole ci hanno aiutato a far sì che il messaggio arrivi chiaro e diretto, nella speranza che serva a far capire che arrivare a spendere migliaia di dollari o euro per un gatto non significa riavere accanto il proprio compagno di vita. E poi penso… quei soldi quanto aiuterebbero invece i tanti cani e gatti che sono in attesa di una nuova famiglia?