La carne di balena in Giappone è in vendita anche nei distributori automatici. Dopo un primo test di mercato che si svolto a fine dicembre, infatti, in un'esclusiva zona commerciale nel distretto giapponese di Motomachi, l’azienda Kyodo Senpaku ha installato tre distributori grazie ai quali si possono acquistare prodotti in scatola contenenti carne di balena sotto forma di bistecche e carne rossa che possono essere consumate anche crude come sashimi, con prezzi che vanno da 1.000 a 3.000 yen cioè tra i 7 e i 21 euro. La notizia non sorprende visto che arriva da un Paese, il Giappone appunto, che ha deciso di non rispettare la moratoria internazionale a protezione di questa specie istituita nel 1986 dalla Commissione internazionale (International Whaling Commission, Iwc) come divieto internazionale di caccia alle balene e dal 2019 ha di nuovo autorizzato la pesca commerciale nelle proprie acque territoriali.
Obiettivo della Kyodo Senpaku: 100 sedi nei prossimi cinque anni
Hideki Tokoro, presidente di Kyodo Senpaku, nel presentare l’iniziativa ha anche annunciato l’apertura di due punti vendita simili a Tokyo, prevedendo di aprirne un quarto nella città occidentale di Osaka nei prossimi mesi. L'azienda spera così, a detta del suo presidente, di espandere il numero dei suoi distributori automatici fino a coprire cento sedi nei prossimi cinque anni. «Ci sono molti grandi supermercati che hanno paura di essere molestati da gruppi contrari alla caccia alle balene, quindi non ne venderanno la carne – ha sottolineato Tokoro. – Questo vuol dire che ci sono molte persone che vogliono mangiare la balena ma non possono». Obiettivo dichiarato dell’azienda è incentivare l’aumento del consumo e quindi della domanda di un alimento che, nel momento di maggior fortuna, arrivò, nel 1962, ad una produzione di circa 233.000 tonnellate, diminuendo poi drasticamente tanto da arrivare a scendere, nel 2021, a 1.000 tonnellate.
Mangiare carne di balena, una tradizione destinata al declino
«Per secoli, la caccia alle balene è stata una delle tradizioni storiche del Giappone che ha suscitato più indignazione da parte dei gruppi di ambientalisti e dell’opinione pubblica» ha commentato MareVivo, l’associazione in difesa del mare e dei suoi abitanti guidata da Rosalba Giugni. Storicamente le prime tracce di consumo di carne di balena risalgono all’era Jomon (che va dal 4000 al 300 a.C.) mentre le prime tracce di arpioni per la caccia risalgono al XII secolo. «Ma oggi – sottolinea MareVivo – la caccia ai cetacei è oggetto di una moratoria internazionale a protezione di queste specie che però non viene rispettata né tantomeno riconosciuta da alcuni Paesi, tra cui il Giappone, che a lungo ha continuato a cacciare balene avanzando motivazioni di “ricerca scientifica”».
Una posizione, secondo l'associazione nata nel 1985 in Italia, ormai anacronistica e completamente in disaccordo con quasi tutto il resto del mondo, che tenta disperatamente di risollevare un mercato in crisi. «Mentre l’Islanda dichiara che non caccerà più le balene a partire dal 2024, riconoscendo che oggi questa attività non rende più, e non vale più lo sforzo né la disapprovazione del mondo, a Yokohama e nel resto del Giappone sorgono macchinette automatiche, che per pochi euro, vendono sashimi, bistecca e pancetta tutto rigorosamente di balena, nella speranza di risollevare le vendite di un alimento da tempo in declino ed evitato da molti supermercati».
Gli attivisti: «La "ricerca scientifica" è solo un modo per mascherare la caccia vietata»
Il Giappone ha sempre sfruttato le eccezioni previste dalla moratoria che consentivano la caccia di sussistenza indigena e la caccia alle balene per la ricerca scientifica. Nel 2019, inoltre, si è ritirato dalla Convenzione internazionale per la regolamentazione della caccia alle balene, riprendendo la caccia commerciale all'interno della suo territorio nazionale. La Kyodo Senpaku è una società a scopo di lucro che conduce la raccolta, la lavorazione e la vendita all'ingrosso dei sottoprodotti delle balene per conto dell'Institute of Cetacean Research, l’istituto di ricerca giapponese nato come organizzazione di ricerca specializzata nelle "scienze biologiche e sociali relative alle balene" ma accusata di aver ucciso diverse centinaia di balene all'anno in nome della sua "ricerca" e di vendere commercialmente "sottoprodotti della ricerca sulle balene".
Un modo, secondo diversi gruppi ambientalisti tra cui Life Investigation Agency di Ren Yabuki, di mascherare la caccia commerciale. «Il Giappone ha sempre utilizzato la "ricerca" come scusa per l'industria per cacciare le balene da quando la caccia commerciale alle balene è stata vietata con la moratoria dell’ IWC – spiega Ren. – L'Istituto di ricerca sui cetacei si occupa di caccia alle balene, non di conservazione. In effetti, il loro canale YouTube ha molti video su come cucinare la carne di balena. E si tratta di un istituto finanziato con i soldi delle tasse. Lo scopo della loro "ricerca" è garantire l'uso dei cetacei come risorsa. Kyodo Senpaku è una società privata e ha ripreso la caccia commerciale all'interno delle acque giapponesi dal 2019, quando il Giappone ha lasciato IWC. Tuttavia, sono ancora supportati dai soldi delle tasse perché la domanda non è sufficiente».
Malgrado gli sforzi, però, secondo l'attivista il consumo di carne di balene non solo non è destinato a crescere, ma piuttosto a declinare definitivamente. «L'industria della caccia alle balene sta cercando disperatamente di creare domanda e non sorprende che abbiano iniziato a vendere carne di balena nei distributori automatici- conclude Ren che continua con la sua associazione a documentare con droni e telecamere le stragi di delfini nella baia di Taiji, famosa per la caccia che ogni anno stermina centinaia di esemplari – I distributori automatici sono molto comuni in Giappone e questo potrebbe aumentare temporaneamente le vendite solo leggermente, ma non avrà successo poiché la domanda perché la carne di balena è quasi finita».
Dello stesso parere anche Hannah Tait, Ceo di Action for Dolphins, associazione fondata nel 2012 con l'obiettivo principale di porre fine alle cacce non regolamentate e disumane che uccidono migliaia di piccoli cetacei ogni anno, a partire da quelle, devastanti, che si svolgono a Taiji, in Giappone. « L'obiettivo della Kyodo Senpaku sembra essere quello di tornare a far aumentare la caccia alle balene che invece è un'industria in via d'estinzione, sopravvissuta finora solo grazie alla forte dipendenza dai sussidi governativi». La Tait spiega anche come monitorano sul territorio i cambiamenti di atteggiamento dei cittadini rispetto a questo fenomeno: «Un membro del team di Action for Dolphins ha visitato un negozio il 31 gennaio e solo 5 persone hanno mostrato un interesse momentaneo nei 90 minuti di permanenza. Il negozio si trovava in una strada commerciale molto frequentata, eppure solo tre persone sono entrate per dare un'occhiata più da vicino, e nessuna ha acquistato qualcosa. Questo riflette la tendenza generale: la domanda di carne di balena è in calo in Giappone». Ma chi compra, e mangia, ancora in Giappone carne di balena? «Si tratta per lo più di una vecchia generazione che ricorda la carne di balena come parte della dieta giapponese del dopoguerra, quando alcuni prodotti scarseggiavano e la balena veniva scelta come fonte sostitutiva di proteine – spiega ancora la Tait. – Alcune scuole elementari la includono occasionalmente nel menu della mensa scolastica, anche se per alcuni anni è stata vietata a causa delle preoccupazioni legate all'elevato contenuto di mercurio nella carne. In generale, tuttavia, sono pochissimi i giapponesi che la mangiano. Secondo un sondaggio del 2012, quasi il 90% dei giapponesi ha dichiarato di non aver acquistato carne di balena nei 12 mesi precedenti, mentre un altro sondaggio del Japan Research Center ha rilevato che il 95% dei giapponesi non mangia mai o raramente la balena». Ma è facile da trovare al ristorante, cucinata magari grazie a qualche vecchia ricetta tradizionale? «No – conclude l'attivista.- Esiste un piccolo numero di ristoranti specializzati che offrono carne di balena, anche nelle grandi città come Tokyo e Osaka, ma in generale sono pochi».