In natura essere una specie comune e largamente diffusa è decisamente una rarità. Essere rari e poco comuni, al contrario, è invece la norma per la maggior parte degli animali, delle piante e delle altre forme di vita. È però proprio sulla specie più rare e localizzate che si gioca la difficile sfida della tutela della biodiversità e degli ecosistemi naturali, soprattutto in quegli ambienti più instabili e particolarmente sensibili ai rapidi cambiamenti causati dall'emergenza climatica, come la fredda tundra artica.
Una mano importante potrebbe però arrivare da alcuni grandi erbivori: i ricercatori dell'Università della California a Davis hanno scoperto che i caribù e i buoi muschiati possono contribuire a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici su piante, licheni, funghi e altre specie artiche rare. Mangiando le specie di piante più comuni, e limitandone di conseguenza la diffusione, aiutano quelle più rare a resistere e a non essere sovrastate. I risultati dello studio sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Scientific Reports.
I ricercatori hanno studiato per ben 15 anni i meccanismi ecologici che regolano la diffusione di alcune specie artiche nell'area intorno a Kangerlussuaq, in Groenlandia. In particolare hanno messo in correlazione gli effetti dei cambiamenti climatici e la presenza o assenza di due grandi erbivori in particolare, i caribù (Rangifer tarandus) e i buoi muschiati (Ovibos moschatus), su 14 taxa differenti tra piante, licheni, muschi e funghi, alcuni molto comuni e altri più rari.
Analizzando i dati gli scienziati hanno scoperto che a fare la differenza era proprio la presenza o l'assenza dei due grandi erbivori. Quando siti di studio non c'erano caribù e buoi muschiati, sette delle specie studiate, cinque delle quali rare, erano meno diffuse delle due più comuni, la betulla nana (Betula nana) e il salice grigio (Salix glauca). Queste due piante molto diffuse e resistenti non venendo mangiate dagli erbivori si moltiplicano rapidamente, togliendo spazio, luce e risorse a quelle più rare, come la viola canina, la Pyrola grandiflora, la Campanula gieseckiana o il fungo Calvatia cretacea.
Questo studio dimostra quindi che le interazioni tra le specie (come dimostrato coi lupi di Yellowstone e col ritorno del castori in Scozia) possono essere decisive per la conservazione di specie rare e particolarmente minacciate dai cambiamenti climatici. E proprio queste specie, inoltre, contribuiscono molto più di quelle comuni al funzionamento degli ecosistemi e al mantenimento dei delicati equilibri che tutelano la biodiversità nel suo insieme.
La conservazione dei grandi erbivori svolgerà perciò un ruolo fondamentale nel preservare la sempre più calda e minacciata tundra artica. Ma con renne e caribù che rischiano l'estinzione a causa delle attività umane (e persino per colpa di un piccolo bruco infestante) il compito non sarà affatto facile. Saranno però proprio questi studi ecologici di insieme a tracciare il sentiero che porterà a salvare il maggior numero possibile di specie e di ecosistemi.