Far gestire i canili italiani alle sole realtà pubbliche, fare in modo che ci siano solo raccolte fondi sostenute in modo trasparente per cause legate ad animali in difficoltà. E dar vita a una messa in rete dei Comuni per gestire unitariamente i servizi di assistenza per cani e gatti. Questo è quanto propone l’associazione Stop Animal Crimes Italia con il progetto “Per”, il “Piano per l’Eliminazione del Randagismo”.
L’iniziativa è stata già presentata ad alcuni sindaci del Sud Italia e sarà inviata a breve all’attenzione del ministro della Salute Roberto Speranza. «A partire dal 1991, anno dell’entrata in vigore della Legge quadro sulla lotta al randagismo, abbiamo assistito a una completa violazione delle norme da parte degli enti locali – spiega a Kodami Antonio Colonna, fondatore dell’associazione – È stato completamente disatteso il principio fondamentale della prevenzione, tant’è che oggi si lavora solo sull’emergenza».
Stop Animal Crimes in due anni ha visitato circa 300 Comuni in Italia e ha mappato alcune tra le situazioni più critiche specialmente in Sicilia, Calabria e Campania. «Abbiamo avviato – aggiunge Colonna – un monitoraggio anche delle pagine dei Social network dove vengono alimentate raccolte fondi con carte di credito ricaricabili i cui soldi non vengono mai rendicontati pubblicamente. Vogliamo vederci chiaro».
«In Italia il sistema animalista è sostenuto principalmente da migliaia di associazioni territoriali, spesso difficili da identificare per lo Stato – continua il fondatore di Stop Animal Crimes Italia – Il randagismo viene gestito spesso al di fuori delle ordinarie regole previste dalle normative. Al netto della buona volontà di qualcuno, è giusto che tutto ciò venga regolato dalla pubblica amministrazione».
Nel dossier presentato dall’associazione un particolare capitolo tocca la destinazione degli animali recuperati. «Il Movimento – si legge – denuncerà alla Procura della Repubblica e all’Ordine dei medici veterinari quei liberi professionisti che inseriranno microchip senza accertarsi della provenienza del cane, per impedire di intestare a privati cani randagi che sono di competenza del sindaco».
Sulla movimentazione del denaro, l’associazione propone che l’eventuale richiesta di aiuti debba avvenire su un codice Iban di un’associazione e non su carte di credito intestate a privati. «Se così sarà lo segnaleremo alla Polizia Postale, alla Procura della Repubblica e alla Guardia di Finanza – spiega Colonna – Nessun euro deve finire nelle mani di privati perché poi potrebbe esserci il rischio di maltrattamenti e indebiti guadagni. Questo lo dimostra una cospicua rete in Italia di rifugi abusivi, gestiti sotto gli occhi della pubblica amministrazione. Nel solo Mezzogiorno ne abbiamo contati tra quelli più o meno grandi, da impianti casalinghi a canili veri e propri come uno presente nei boschi della Locride».
Sulle staffette, nel dossier dell'associazione si legge che «ogni versamento di denaro devoluto deve essere riscontrato da una ricevuta fiscale che riporti il codice fiscale dell’associazione o della società privata dedita al trasporto dell’animale». Sul fenomeno delle staffette Kodami ha dedicato una puntata del format L'ora blu, il nostro format di video inchieste in cui "accendiamo la torcia" e seguiamo le tracce per far “vedere meglio” e mostrare davvero come stanno le cose attraverso indagini giornalistiche che tengono conto sempre del benessere di tutti gli esseri viventi, animali umani e non.
Il fenomeno delle staffette, ovvero il trasporto di cani di strada o di canile da Sud a Nord Italia destinati alle famiglie che li attendono, è sempre più diffuso, soprattutto attraverso i Social network. Ormai basta un clic per adottare un cane e dare inizio al viaggio, ma non sempre avviene nel rispetto delle leggi e del benessere animale. Spesso, nonostante il grande impegno dei volontari e a causa dell’assenza degli enti preposti, dietro a questi spostamenti si cela un vero e proprio business.
«I Comuni italiani devono fare rete e sostituirsi, per quanto possibile, a quelle strutture informali che sono state necessariamente create dai cittadini per rispondere a un’emergenza – conclude Colonna – Senza questa volontà ogni intervento per la tutela degli animali sarà completamente vano e si tradurrà sempre in un investimento economico folle per le pubbliche amministrazioni. I sindaci non sanno cosa voglia dire censire gli animali, la polizia locale ignora l’importanza di controllare quotidianamente i microchip e i Comuni così preferiscono buttare soldi senza sostenere attività di controllo costanti».