Tre giorni fa a Santa Margherita di Belice, un comune in provincia di Agrigento, è stato rinvenuto in contrada Cannitello, lungo una strada secondaria, il corpo senza vita di un cane carbonizzato, con un fil di ferro attorcigliato tra le zampe posteriori.
La segnalazione dei cittadini è pervenuta a Chiara Calasanzio, volontaria attiva sul territorio e fondatrice del rifugio “Oasi Ohana”, che si è immediatamente recata alla stazione dei Carabinieri di Santa Margherita di Belice per sporgere denuncia contro ignoti.
Le immagini, che girano in rete e ritraggono il povero animale carbonizzato, sono a dir poco impressionanti e Kodami ha scelto come sempre di non pubblicarle perché nulla aggiungono rispetto a quanto raccontato e per non ledere la dignità di ogni essere vivente.
«Non so se sia stato l'atroce gesto di alcuni ragazzini o una vendetta di qualcuno a cui il cane possa aver dato "fastidio". Spero che in fretta me lo dicano i Carabinieri, in cui ripongo massima fiducia e che sono certa indagheranno senza sosta perché si tratta dell'assassinio di un cane innocente – ha raccontato la volontaria sui social – Temo che questi gesti siano figli del modo in cui il randagismo viene gestito in questo Comune e nelle regioni del Sud in generale: tutte le istituzioni devono sentirsi responsabili di questo assassinio».
Purtroppo non si tratta del primo episodio di violenza e maltrattamento nei confronti degli animali in zona e neppure della prima volta in cui la volontaria chiede alle istituzioni di agire concretamente. Da anni Chiara lotta per ottenere una risposta, che provenga dall'alto, ai problemi legati alla mala gestione del fenomeno randagismo sul territorio, sollecitando il suo Comune e quelli limitrofi a studiare dei piani d'azione che possano efficacemente e definitivamente fermare il fenomeno dell’abbandono e soprattutto limitare le nascite incontrollate dei cani randagi.
«In dieci anni di volontariato nel mio rifugio ho accolto centinaia di cani, che ho curato e mantenuto grazie all’aiuto dei privati e a cui poi ho trovato meravigliose adozioni – dichiara Chiara a Kodami – il mio rifugio però non può e non dovrebbe essere l’unica soluzione al problema della gestione del fenomeno randagismo. Le istituzioni locali devono attivarsi il prima possibile perché la situazione è ormai fuori controllo».
È noto infatti come ormai da diverso tempo Chiara e altri volontari attivi nell’agrigentino chiedano a gran voce di essere ascoltati dalle istituzioni, perché stanchi di agire in solitudine e senza supporto alcuno e, come è avvenuto in questo caso, esausti di sopportare il dolore di tanti episodi di violenza e maltrattamento nei confronti degli animali.
«Dalle segnalazioni ricevute sembrerebbe che il cane fosse lì da qualche giorno e quindi era già morto quando è stato dato alle fiamme. Queste circostanze saranno verificate dalle Forze dell'ordine – continua Chiara – Questo, se da una parte ci toglie dalla testa l'agghiacciante ipotesi che sia stato bruciato vivo, lascia dei fatti oggettivi a cui nessuno ha ancora fornito spiegazioni: il cane, ancora prima di essere dato alle fiamme, era morto con le zampe legate con il fil di ferro. Come è morto? Perché lo avevano legato?».
Purtroppo non sarà possibile eseguire alcuna autopsia sul corpo date le condizioni in cui è stato ridotto: le ipotesi su come il povero cane sia morto e sul perché sia stato dato alle fiamme sono diverse e solo gli accertamenti condotti dalle Forze dell’Ordine potranno fornire una risposta il più veritiera possibile, dando una spiegazione ai dubbi che attanagliano Chiara e quanti sono rimasti colpiti da questo orribile episodio di macabra violenza.