La biodiversità sta diminuendo rapidamente, un milione di specie animali e vegetali sono minacciate di estinzione ed è come se ci ritrovassimo con tanti piccoli granelli di sabbia che ci sfuggono dalle dita mentre ancora cerchiamo di trovare una causa.
Se fino ad oggi molti ricercatori si sono concentrati sul contrasto al cambiamento climatico definendolo la principale causa, un recente studio ribalta completamente le priorità: il primo grande fattore di declino della fauna selvatica a livello globale è la conversione del suolo di habitat naturali in campi agricoli e allevamenti intensivi, mentre il cambiamento climatico è solo al quarto posto.
Quella sabbia dorata dunque continua a depositarsi ai nostri piedi e per quanto proviamo a tappare i buchi che sono sulla nostra testa, inevitabilmente finiamo con perdere migliaia di granelli che non potranno mai più essere recuperati. Questa è la sensazione di impotenza che sentiamo nel far fronte alla grave crisi di perdita di biodiversità, una delle principali sfide alla quale l'uomo moderno deve trovare al più presto una soluzione.
Giustamente l'attenzione di attivisti e ricercatori si è spostata nell'ultimo periodo sulla questione cambiamento climatico e molti progressi sono stati fatti su quel fronte in termini di politiche ambientali più stringenti e, in generale, una maggiore sensibilità dell'opinione pubblica sull'argomento. Però, il nuovo studio pubblicato su Science Advances da un team di ricercatori dell'Instituto Multidisciplinario de Biología Vegetal (IMBIV) di Córdoba, in Argentina, ha nuovamente spostato l'attenzione, indicando quello che secondo le loro analisi è la principale causa diretta della perdita di specie animali e vegetali: il cambio dell'uso del suolo per trasformare ambienti naturali in campi coltivati e allevamenti intensivi, seguito dallo sfruttamento della fauna selvatica attraverso la pesca, il disboscamento e la caccia, con l'inquinamento al terzo posto.
Le cause della crisi climatica sono note da anni
Il pianeta sta perdendo la sua fauna selvatica molto rapidamente. Secondo lo studio solo negli ultimi quattro decenni, le popolazioni di mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi che gli scienziati hanno monitorato sono diminuite in media di due terzi. Il tempo, però, scorre inesorabile e più soluzioni troviamo contro i singoli problemi, più ci accorgiamo che questi sforzi da soli non bastano. Se da una parte le politiche per abbattere le emissioni di CO2 aumentano sempre più in molti paesi, dall'altra la fauna selvatica viene stretta in spazi sempre più piccoli.
Proprio in questo momento si stanno tenendo in Egitto gli importanti incontri fra nazioni per discutere la crisi climatica: la COP27, la conferenza delle Nazioni Unite dove leader mondiali, responsabili politici, scienziati e giovani attivisti si sono riuniti per visionare i risultati che sono stati ottenuti dopo la Cop26 dello scorso anno tenuta a Glasgow. I temi da discutere nei diversi incontri della COP27 sono tanti, fra cui anche le cause scatenanti dell'emergenza ambientale in cui ci troviamo.
A sorprendere di più gli attivisti è il fatto che le cause e le soluzioni alla crisi climatica sono relativamente note da anni e lo stesso team di ricerca argentino le evidenzia nello studio. Secondo gli scienziati, infatti, innanzitutto è necessario ridurre rapidamente la nostra dipendenza collettiva dai combustibili fossili e aumentare la transizione verso forme di energia rinnovabile. Bisogna anche fornire sostegno a quelle nazioni che attualmente già risentono dei gravi impatti del cambiamento climatico e che non possono con i loro mezzi far fronte a un rinnovamento così dispendioso.
Il problema dell'influenza sul clima dei gas serra e i meccanismi stesso dell'effetto sono conosciuti dagli scienziati già dal 1800. Nei libri di storia della scienza si riporta, infatti, che l'effetto serra è stato teorizzato per la prima volta nel 1822 da Jean Baptiste Joseph Fourier, matematico e fisico francese, nella pubblicazione “Teoria analitica del calore”. Nonostante ciò abbiamo impiegato decenni per iniziare a sviluppare le prime politiche per contrastare il problema, politiche che, però, sembrano non bastare e la causa è un approccio tropo selettivo che manca di uno sguardo d'insieme.
La scala dei principali problemi per la biodiversità
Proprio per permetterci di fare un passo indietro e osservare il problema a tutto tondo, il team di scienziati argentini ha stilato una vera e propria classifica delle principali minacce alla biodiversità. Analizzando altri studi presenti in letteratura e riunendo i risultati di tutti, i ricercatori hanno scoperto che il più importante motore diretto di cambiamento della biodiversità a livello mondiale negli ultimi decenni è stato il cambio di uso del suolo e del mare.
Al secondo posto nella lista c'è lo sfruttamento diretto di piante e animali in coltivi e allevamenti intensivi. Al terzo troviamo l'inquinamento, mentre il cambiamento climatico è "solo" il quarto posto. In quinta posizione troviamo, invece, l'introduzione di specie esotiche invasive, anche se è importante notare che questo problema è stato classificato secondo negli oceani.
Infatti, le minacce alla biodiversità degli oceani secondo gli studiosi hanno una classifica diversa rispetto a quella di terra e acqua dolce, e la più grande perdita diretta di biodiversità in acqua salata è dovuta all sfruttamento delle specie ittiche, per lo più per colpa dalla pesca.
Nonostante stilare una classifica possa sembrare superfluo, in realtà non solo ci aiuta a conferire priorità diverse ai problemi, ma garantisce proprio la visione d'insieme che ci mancava. Gli scienziati affermano che solo grazie a uno sguardo olistico che tenga d'occhio tutte le cause di perdita di biodiversità possiamo realmente mettere in pratica efficaci politiche per contrastarla. Non è solo il cambiamento climatico o il cambio di uso del suolo, dunque, ma bisogna comprendere che tutte le cause sono concatenate e hanno importanti relazioni di dipendenza le une con le altre.
In ogni caso gli scienziati sospettano che nonostante ad oggi il cambiamento climatico sia al quarto posto, ben presto il suo impatto sulla flora e sulla fauna sarà così grande da salire velocemente fra le prime posizioni della classifica. Scoprirlo, però, significa attendere decenni, tempo che oggi non abbiamo più. È proprio il tempo, infatti, la principale risorsa che non possiamo più riacquisire e mentre continuiamo a tappare i buchi presenti sopra il nostro capo per impedire che la fine sabbia continui a filtrare, anche noi facciamo un passo indietro e ci accorgiamo di essere in un'enorme clessidra che indica quanto tempo ci manca prima che la perdita di biodiversità sia irreversibile: secondo uno studio pubblicato su Nature ci mancano meno di 80 anni.