Dal pesce scorpione al pesce palla maculato, dal pesce coniglio al pesce flauto. Più di cento specie di pesci tropicali nell’ultimo secolo e mezzo hanno percorso il canale di Suez migrando dal Mar Rosso verso il Mediterraneo, sfruttando una porta di accesso artificiale tra due habitat rimasti staccati per più di 12 milioni di anni. Un fenomeno a lungo studiato e discusso noto come migrazione lessepsiana e che oggi, secondo una ricerca del CNR, si starebbe ripetendo a causa dei cambiamenti climatici. Questa volta, però, la colonizzazione da parte di specie aliene guarderebbe oltre lo stretto di Gibilterra puntando verso l’Oceano Atlantico. Un confine naturale che era stato mantenuto saldo dalle temperature delle acque e che oggi, invece, rischia di dissolversi.
Per comprendere ciò che stiamo dicendo, però, dobbiamo fare qualche passo indietro. Più precisamente dobbiamo tornare al 1869, anno in cui viene inaugurato il Canale di Suez, un alveo artificiale che, tagliando l’omonimo istmo e attraversando l’Egitto, consente oggi la navigazione diretta dal Mediterraneo all’Oceano Indiano via Mar Rosso evitando la circumnavigazione dell’Africa. A realizzarlo è il francese Ferdinand de Lesseps (da cui la succitata ‘migrazione lessepsiana’). Una gran comodità per far transitare le navi cargo fra continenti così lontani. Solo che attraverso il canale non viaggiano solo le merci. Centinaia di specie di pesci tropicali, sfruttando anche le correnti favorevoli, iniziano a percorrere gli oltre 160km originari del canale. In poche decine di anni la loro presenza nel Mediterraneo diventa stabile.
«Il canale di Suez è stato il principale passaggio per molte specie di pesce entrate nel mediterraneo – ha spiegato a Kodami Ernesto Azzurro del Cnr-Irbim di Ancona, autore di uno studio recentemente pubblicato su Frontiers in Ecology and the Environment – abbiamo notato, però, che dopo gli anni ’90 c’è stata una certa accelerazione di questa invasione. Partendo dall’osservazione che alcune specie sono arrivate anche a Gibilterrra (come il pesce flauto e il pesce palla maculato), abbiamo sviluppato dei modelli per vedere come i cambiamenti climatici stessero influendo sugli spostamenti di queste specie».
E a ben guardare una parte della costa africana che affaccia sull’Atlantico sembra essere già ospitale per molte di loro. L’aumento delle temperature sta facendo venir meno i recinti climatici invisibili che ne arginavano l’ulteriore spostamento. Un simile quadro, proiettato in un futuro neanche troppo lontano, ci metterebbe di fronte a una nuova prospettiva: «Queste specie potrebbero superare le Colonne d’Ercole ed entrare nell’Oceano Atlantico, aprendo la nuova era di una migrazione lessepsiana estesa – continua a spiegarci Azzurro – abbiamo così ipotizzato che entro il 2050 le barriere di discontinuità climatica saranno oramai indebolite. Ci sarà una specie di continuum nell’ambiente climaticamente ospitale».
Detta così non sembrerebbe una bella notizia: «Lo scenario è piuttosto preoccupante – osserva ancora il biologo marino – questo rimescolamento delle specie viene chiamato omogeneizzazione biotica. È una delle principali cause della distruzione della biodiversità. Per fare un esempio è una cosa simile a quella che avviene nel libero mercato in economia: alcuni prodotti si impongono a scapito di altre produzioni più piccole. Una condizione che determina pochi vincitori e molti vinti. Allo stesso modo avviene tra i pesci: alcune di queste specie, alle quali stiamo offrendo opportunità senza precedenti di muoversi, si impongono portando alla sparizione di altre».
«Le conseguenze di questa omogeneizzazione biotica sono difficilmente prevedibili – aggiunge Manuela D’Amen dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale Roma (Ispra) – L’emissione di gas serra in atmosfera sta spingendo il nostro pianeta verso delle soglie critiche e questo studio ribadisce la necessità di accelerare l’attuazione di politiche climatiche, come concordato alla scorsa COP 26 e come sostenuto dalla comunità scientifica internazionale».
«Il Mediterraneo è un hotspot per il cambiamento climatico – torna a spiegarci Azzurro – dagli anni ‘80 ad oggi la temperatura dell’acqua si è innalzata di un range compreso tra gli 0,4 e gli 0,8 gradi centigradi per decade, un tasso 3 volte superiore alla media oceanica. Si tratta di una delle regioni marine che si stanno riscaldando di più. Una situazione che si rileva maggiormente in alcune aree specifiche, per esempio nel Mediterraneo Orientale, dove c’è Cipro o nell’area a sud di Creta. Lì il tasso di riscaldamento è altissimo. Certo, ci sono aree che si stanno riscaldando invece più lentamente. Mediamente, però, il clima globale si sta riscaldando».
Sul tema del riscaldamento del Mar Mediterraneo consigliamo la lettura dell’opuscolo “La Febbre del Mediterraneo”, scritto dallo stesso Ernesto Azzurro, edito da Edizioni CNR e scaricabile gratuitamente a questo link. Sullo stesso argomento, invece, ricordiamo che già in passato su Kodami avevamo raccontato di come probabilmente anche le tartarughe Caretta Caretta stiano modificando le loro rotte in virtù dei cambiamenti del clima, soprattutto considerato che la temperatura in cui si conserva l’uovo tra la deposizione e la schiusa è determinante per lo sviluppo del sesso da parte dell’animale.