Vita nuova, logo nuovo. Chissà se il lancio del nuovo simbolo della casa di moda ha un qualche legame con la rottura del patron del marchio, Tomaso Trussardi da Michelle Hunziker. Probabilmente no, certo è che però, in casa Trussardi il levriero, sia che si intenda l’emblema del brand o il cane vero, non si tocca.
E, infatti, anche nel decidere la divisione dei cani di famiglia, Odino, il levriero adottato dalla coppia nel 2020, neanche a dirlo, è rimasto con lui. Ma non solo, perché il cane condivide praticamente tutte le giornate con il suo umano, tanto da seguirlo anche negli importanti appuntamenti di lavoro.
Ultimamente è stato ripreso con Trussardi con tanto di "pass ospite" al collare in visita alla Ferrari. Ma era presente anche alla cena con Goffredo Cerza, fidanzato di Aurora Ramazzotti, con cui l'imprenditore è rimasto molto amico.
Non cambia l’attenzione e l’affetto per la razza, nemmeno per quanto riguarda il logo del brand, lanciato in questi giorni, che pur variando e diventando più grafico per rifarsi all’uroboro, simbolo dell’eterno, ciclico rinnovo della vita, non cancella affatto il levriero, ma al contrario lo mantiene sempre riconoscibilissimo.
Del resto levriero, nella moda, vuol dire Trussardi. Nel 1973, Nicola Trussardi fu il primo a rendere identificabile la propria casa di moda con un simbolo altamente riconoscibile, appunto il Levriero, che venne scelto per la sua allure nel contempo elegante e sportiva.
L’azienda specializzata in origine nella produzione di guanti di lusso, nata nel 1911 a Bergamo, si stava trasformando all'epoca in un gruppo di moda lifestyle e il Levriero diventò l’icona inconfondibile di questa mutazione perché, come dichiarato dal figlio del fondatore, questa razza rappresentava il perfetto connubio fra tradizione, eleganza, dinamicità e spirito di innovazione della casa.
Per Trussardi il cane, normalmente simbolo di fedeltà, avrebbe rappresentato la fedeltà del brand nel tempo, ai suoi valori. La razza, avrebbe rivestito la connotazione dell’eleganza e della raffinatezza. Del resto il levriero era il cane della nobiltà, dei personaggi di rilievo e in tale veste è stato spesso raffigurato.
E, infine, il levriero in quanto usato per la caccia alla lepre, avrebbe simboleggiato anche l'animo costante nel seguire un'impresa, così come fu quello del fondatore della casa di moda italiana che riuscì a portare l’azienda a quello che è oggi.
Il Piccolo levriero italiano
Il Piccolo levriero italiano è un levriero a tutti gli effetti, solo che lo è in miniatura. È un cane che, per quanto piccolo, unisce in sé potenza muscolare e moltissima grazia. Ottimo compagno di vita, è intelligente e molto affettuoso. All’inizio non sembra un cane espansivo, anzi può dare l’idea di essere quasi indifferente nei confronti dell’umano di riferimento, ma è un atteggiamento che cambia e rapidamente. Non con gli estranei, però, con i quali è molto schivo, così come anche con gli altri animali.
La razza ha origini molto antiche, risalenti addirittura a circa 5000 anni in Egitto, da dove poi sarebbe arrivata in Italia intorno al quinto secolo a.C. diventando protagonista in tantissime raffigurazioni, a partire dal Medioevo con Giotto, per vederlo poi nel Rinascimento, con Michelangelo e poi di pennello in pennello fino a Giambattista Tiepolo e avanti ancora fino ad oggi.
A giudicare dalle testimonianze, il Piccolo levriero italiano è stato sempre allevato sia come cane da caccia, la sua specialità erano quelle al fagiano e alla lepre, che come cane da compagnia fino a che, nel XIX secolo, diventò sempre più animale domestico. Troppo, però, tanto che prima della Seconda Guerra mondiale la razza ebbe una sorta di crisi di identità: i cani nascevano fragili e delicatissimi e senza più alcun minimo istinto venatorio.
Solo nel secondo dopoguerra si diede una svolta allo stato dell'allevamento. E tutto avvenne grazie alla Marchesa Maria Luisa Incontri Lotteringhi della Stufa, nobildonna sportiva e allevatrice e selezionatrice del piccolo levriero italiano nel Castello del Calcione, presso Lucignano della Chiana, che riuscì a riportare la razza dal Gruppo 9, quello dei cani da compagnia, al Gruppo 10 quello dei levrieri, come indicato nelle tabelle approvate dalla FCI, la Fédération cynologique internationale.