Probabilmente è il risultato che fa più scalpore dell'ultima giornata della 19esima conferenza mondiale della CITES, conclusasi venerdì 25 Novembre e svoltasi a Panama. Il commercio legale di pinne e carne di squalo, appartenenti ad oltre 100 specie, sarà soggetto a maggiori restrizioni in buona parte del mondo, grazie al voto favorevole della maggioranza dei rappresentanti delle nazioni presenti al summit nel paese centro americano.
Questo è stato possibile poiché questo numero importante di squali e altre 400 specie di animali e piante, fra vertebrati, invertebrati, alberi e felci, verranno aggiunti tra poche settimane alle appendici I e II della convenzione, documenti ufficiali e vincolanti con cui la CITES cerca di tutelare tutte le specie sensibili e minacciate di estinzione che hanno anche un interesse commerciale.
Mentre nell'Appendice I sono presenti gli animali ritenuti a rischio di estinzione, nell'Appendice II sono presenti quelle specie che – seppur non sono necessariamente minacciate – presentano problemi di gestione e il cui commercio deve essere controllato. La convenzione CITES, istituita a Washington nel 1973, si è dimostrata dunque ancora una volta la migliore arma che oggi tutti noi possediamo nei confronti del sovrasfruttamento delle risorse naturali, andando a limitare ulteriormente il numero di specie selvatiche che è possibile commerciare e le quantità di cui è possibile trarre un beneficio economico.
Attualmente la convenzione ha tra i suoi partner 183 paesi e in più l'ONU e l'Unione Europea tra i suoi delegati. La prima conferenza della convenzione si è tenuta invece tre anni più tardi la sua istituzione, esattamente nel 1976, e da allora tale evento si svolge in media una volta ogni tre, con summit chiamati a revisionare gli status di conservazione delle specie interessate dal commercio.
La COP19 che si è conclusa questa settimana era la prima dall'inizio della pandemia. Forse proprio per questo dietro a questo summit si celava una certa attesa, soprattutto da parte di quegli esperti speranzosi che l'incontro di Panama presentasse le risposte necessarie ad un periodo storico molto complesso per la conservazione della natura. Eppure i delegati provenienti dalle 160 nazioni partecipanti sono riusciti a sorprendere sé stessi e l'opinione pubblica. In solo dieci giorni di lavori hanno infatti ottenuto l'impensabile, distinguendosi positivamente rispetto ai colleghi che hanno lavorato all'altra COP, quella sul clima, svoltasi quest'anno a Sharm el-Sheikh, che ha provocato invece molti malumori fra i tecnici e gli addetti ai lavori.
Squali e altri obiettivi raggiunti
Delle 52 proposte presentate per limitare il consumo e gli accessi alla fauna e flora selvatica, la COP di Panama ne ha adottate 46, fra cui quella che sta facendo gioire gli amanti degli squali e delle razze, le cui popolazioni negli ultimi decenni hanno visto una riduzione notevole. La colpa di questo declino è assimilabile soprattutto alle catture accidentali e all'eccessiva pesca praticata soprattutto dai paesi asiatici che si affacciano nell'Oceano Pacifico e nell'Oceano Indiano. Fra le specie che si vanno ad aggiungere alle appendici I e II insieme alle 100 specie di squali, si osservano più di 150 specie di alberi, 160 specie di anfibi – tra cui le 4 specie di rane tropicali trasparenti a serio rischio di estinzione – 50 specie di tartarughe, una focena messicana e diverse specie di uccelli canori.
Come si può leggere dal documento ufficiale diffuso dalla stessa CITES, accogliendo con favore le decisioni prese dai rappresentanti, il Segretario Generale, Ivonne Higuero, ha sottolineato che «Le Parti della CITES sono pienamente consapevoli della loro responsabilità nell'affrontare la crisi della perdita di biodiversità, agendo per garantire che il commercio internazionale di fauna selvatica sia sostenibile, legale e tracciabile. Il commercio è alla base del benessere umano, ma dobbiamo ricucire il nostro rapporto con la natura. Le decisioni derivanti da questo incontro serviranno per garantire gli interessi della conservazione e di quella parte del commercio legale della fauna selvatica che non minaccia l'esistenza di specie di piante e animali allo stato selvatico, per le generazioni future».
Inoltre il Segretario Generale ha tenuto a precisare che il contributo della CITES per la riduzione delle malattie zoonotiche può essere rivelante in futuro. Si stima che il 70% delle malattie emergenti venga infatti trasferito dagli animali selvatici all'uomo. Malattia potenzialmente emergenti come il COVID, che ha sconquassato il nostro recente passato. Visto che la minaccia di nuove future pandemie è collegata alla probabile diffusione di malattie esotiche attraverso il commercio della carne e dei prodotti provenienti dagli animali selvatici, la CITES vuole perciò vigilare ancor di più su questo tema, proprio per fungere da deterrente contro la nascita di nuove pericolose minacce immunitarie. E considerando il potere e le capacità che la convenzione ha acquisito attraverso anni di rapporti multilaterali con gli stati e di rapporti diretti con l'ONU, non è impensabile che in futuro la CITES non riesca a divenire anche un ulteriore strumento per arginare preventivamente il diffondersi di nuove malattie.
Unica nota negativa di questa edizione della COP, la proposta che avvallava la protezione degli elefanti africani non ha raggiunto il quorum necessario. Sud Africa, Botswana, Namibia e Zimbabwe non sono riusciti a convincere gli altri paesi ad approvare la proposta di vendere le loro scorte d’avorio come strumento anti bracconaggio. Purtroppo il commercio illegale di avorio è sempre più fiorente e la CITES vuole vigilare assieme ad altre autorità sul fenomeno, per garantire il benessere degli animali.