Nella notte tra il 22 e il 23 agosto il drago Vaia, che vegliava sull'abitato di Lavarone, in Trentino orientale, ha preso fuoco lasciando solo un cumulo di cenere nella radura che da anni lo ospitava. Nonostante l'intervento dei Vigili del Fuoco, in pochi minuti quello che ormai era diventato un simbolo di rinascita e ricrescita del bosco, è scomparso per sempre.
A costruirlo era stato lo scultore e artista cimbro Marco Martalar e non lo aveva fatto con un legno qualsiasi, ma con ciò che rimaneva degli alberi abbattuti durante la tempesta Vaia, il tragico fenomeno atmosferico che nell'autunno del 2018 ha colpito le Alpi centro orientali, causando lo schianto di oltre 42 milioni di piante e lasciando dietro di sé distese infinite di terreno raso al suolo.
In questi anni la scultura aveva attirato sull'altopiano di Lavarone decine di migliaia di turisti e il sito in cui era stato costruito, sopra alla frazione di Magré, era diventato teatro di un costante pellegrinaggio di persone.
«Ho contattato l'artista per condividere con lui il nostro dispiacere – fa sapere a Kodami l'assessore all'istruzione, università e cultura della Provincia di Trento Mirko Bisesti – Questa opera dimostrava come l'essere umano sia in grado di sfruttare anche la tragedia e la difficoltà per dare profondità a un pensiero. Nel farlo, Martalar, che sta producendo anche altre opere in Trentino, valorizza le zone e i territori più impervi e poco accessibili, avvicinando le persone e facendo ripensare a ciò che abbiamo vissuto alcuni anni fa».
I video e le immagini del rogo sono state diffuse fin dalla prima mattina e, poche ore dopo, anche la Provincia Autonoma di Trento, ha commentato in una nota il triste evento: «Rappresentava un monito al rispetto della natura. La sua distruzione, probabilmente per mano dell’uomo, ha profondamente colpito la comunità trentina», sottolineando quindi la possibilità di un'origine dolosa dell'incendio, che al momento, però, non è ancora stata confermata.
Anche l'assessora provinciale alle foreste, Giulia Zanotelli, si è aggiunta alla posizione della Pat: «Qualora vi fosse effettivamente un'origine dolosa, si tratterebbe di un gesto inqualificabile, che ferisce profondamente la sensibilità diffusa tra le nostre comunità. I trentini vedono nel bosco la loro casa e dalla tempesta Vaia hanno subito gravi perdite e lutti. Distruggere un simbolo che rappresentava tutto questo è un atto da vigliacchi».
Ed è davvero così, perché Vaia è una cicatrice con cui i cittadini delle Province di Trento, Vicenza, Belluno e Bolzano hanno imparato a convivere e non possono ancora dimenticare. Dopo aver visto i boschi scomparire schiacciati dal vento, infatti, gli abitanti delle zone montane stanno ora guardando gli stessi pendii cambiare colore a causa del bostrico, un coleottero lignicolo che infesta le piante malate e in questi anni si sta rapidamente diffondendo, portando a morire anche gli alberi che crescono sui margini delle zone colpite dalla tempesta.
Lungo le strade delle vallate trentine, altoatesine e venete ci si è abituati a vedere enormi cumuli di tronchi tagliati e ordinatamente accatastati in attesa di un futuro utilizzo. Durante l'inverno li si vede ricoperti di neve, mentre nelle lunghe estati torride, vengono annaffiati da appositi getti d'acqua.
Nel frattempo, il sottobosco sta tornando a essere verde e, poco a poco, sembra che il paesaggio torni a prendere tutte le sfumature che aveva avuto un tempo. Talvolta, tra un passo alpino e una vallata isolata, si incontrano però ancora appezzamenti di terreno in cui i tronchi non sono mai stati recuperati a causa delle discese troppo pendenti o impervie. In quei momenti la ferita della comunità si riapre.
In questo spettacolo in cui la natura sta dimostrando una ripresa lenta ma costante, il drago Vaia era diventato un simbolo di unione che, immobile, raccontava le tristi giornate di fine ottobre 2018. Momenti di cui la gente parla ancora con dolore, ognuno con i propri ricordi e le proprie emozioni. Chiunque abiti questi territori sa bene dove si trovava in quel momento e il fischio di quel vento, si sente dire spesso, è difficile da scordare.
Visitando il luogo in cui si trovava il drago, ci si sentiva quasi stretti nello stesso comune destino. Al suo posto, però, ora c'è una radura che, guarda caso, è stata anch'essa rasa al suolo e l'ironia della sorte è stata colta dall'assessore Bisesti, che conclude: «In questi anni migliaia di persone hanno riconosciuto la sua bellezza e originalità, ora uno o più personaggi irrispettosi di questa ricchezza hanno distrutto un simbolo. L’auspicio è che, come l’araba fenice rinasceva dalle proprie ceneri, anche il drago Vaia possa tornare a innalzarsi».