Non solo una drastica riduzione della capienza, fino a un massimo di 80 cani, per una struttura che era pensata per ospitarne fino a 200, ma il totale smantellamento di intere aree, il ricollocamento della parte sanitaria, la costruzione di un terrapieno e di barriere fono assorbenti che limiteranno gravemente la circolazione dell’aria. Il tutto a Bologna, in un canile che è situato in un luogo dove, d’estate, il caldo è afoso e le temperature, in certi periodi, arrivano a sfiorare anche i 40°. Questo è quanto stabilito dalla terza sezione civile del tribunale di Bologna. Sembrerebbe già uno scenario da incubo, ma è solo una parte di questa triste e avvilente storia di ordinaria mala gestione, perché oltre a ciò si paventano anche l’abbattimento di più di 30 alberi, unico riparo dalla calura estiva e un trasferimento forzato, che si fatica a non definire una vera e propria deportazione, di circa 30 o 40 dei cani ospiti verso strutture imprecisate della regione. E questo non perché attualmente i cani siano in esubero, ma perché il Comune ha deciso di dover tenere quei posti liberi per eventuali emergenze come se questa, già di per sé, non fosse tale.
I canili del Nord, non certo quei “posti felici” che tanti immaginano
Ciò che colpisce di questa storia è che si svolge in quel nord Italia spesso dipinto come luogo dove vi è sempre massimo rispetto per i diritti e il benessere animale e, in particolare, in quell’Emilia Romagna che, sulla carta, vanta una delle legislazioni regionali più attente a questi temi. Una regione dove già da molti anni vige il divieto di detenere cani alla catena, dove, oltre a una legge regionale sul benessere animale (la 27/2000) è in vigore anche un Decreto della Giunta Regionale (il DGR 1302/2013) che detta dei rigidi requisiti gestionali e strutturali per le strutture che ospitano animali. Ci si aspetterebbe che Bologna, capoluogo di Regione, rappresenti il fiore all’occhiello di cotanta civiltà; ti aspetteresti di trovare un canile che sia un biglietto da visita per la città che ospita l’università più antica del mondo, una città ricca e con ambizioni mittel-Europee.
Beh… giudicate voi stessi dalle foto del nostro reportage. Una sequenza di immagini che mostra gli orrori di un canile che ha una parte più vecchia in un evidente deterioramento strutturale e una parte nuova, interamente costruita in box prefabbricati, che tanto ricorda una baraccopoli, con impianti di fortuna, camminamenti dissestati, ruggine, baracche e ristagni d’acqua.
Benvenuti a Bologna e benvenuti al Nord… verrebbe da dire.
Come si è arrivati a questo punto?
Ma come si è arrivati a tutto ciò? Possiamo tranquillamente dire che questo è solo l’ultimo capitolo (almeno fino ad oggi) di una lunga storia in cui la pessima gestione da parte dell’amministrazione comunale si unisce a una visione miope e superficiale di quello che potrebbe e dovrebbe essere un servizio importantissimo, tanto per il benessere animale quanto come luogo di riferimento e informazione per i cittadini, condita da sprechi e sperpero di denaro pubblico in opere mal fatte e che ora andranno in buona parte completamente smantellate. Ma andiamo con ordine e facciamo un po’ di storia.
Il canile di Bologna nasce 50 anni fa, nel 1971 e la struttura era pensata per gli standard e le normative di quel tempo. Bisogna infatti ricordare che prima della promulgazione della legge 281/91 la normativa prevedeva che, se non reclamati dopo pochi giorni, i cani catturati vaganti fossero soppressi. Questa la triste origine della lotta al randagismo e questo uno dei motivi per cui nel nord Italia questo fenomeno non esiste più da molti anni. Per queste ragioni il canile di Bologna non era pensato per ospitare cani a lungo termine. Non erano presenti aree di sgambamento dove farli uscire durante le pulizie o durante la giornata e addirittura non era previsto neanche un pozzetto di scarico in ogni box. Ne era presente uno ogni 3 box e chiuso con un tappo di cemento. In compenso il canile era dotato di un forno crematorio in modo da poter svolgere internamente tutte le procedure relative alla soppressione dei cani e lo smaltimento dei loro cadaveri.
Venendo a tempi più recenti il canile è salito agli onori della cronaca quando, nel 2005, fu posto sotto sequestro per maltrattamenti. Vi fu allora un’importante mobilitazione di cittadini e associazioni che si trovarono davanti a una situazione di pesantissimo degrado. Con oltre 200 cani detenuti in condizioni precarie, box sporchi, pozzetti maleodoranti e un generale deterioramento della struttura a cui solo l’impegno gratuito di moltissimi cittadini riuscì a mettere una toppa. Ma era già chiaro allora che l’intera struttura fosse in un pessimo stato di manutenzione, con impianti obsoleti e necessitanti di continue e costose manutenzioni e che, nei rigidi inverni, spesso lasciavano i cani al freddo e nel bagnato.
A partire da quell’anno si sono susseguite ben 7 diverse gestioni e la politica del Comune Bolognese non è mai stata quella di prendere atto della palese inadeguatezza di quel vecchio canile non solo ai basilari standard di benessere animale, ma al deciso cambiamento culturale che negli anni stava maturando e che, in molte altre città, ha portato a costruire strutture nuove e più all’avanguardia. E così, anziché pensare per tempo a realizzare una nuova struttura, la politica del Comune è stata invece orientata a uno scriteriato aumento della capienza di quella esistente, investendo centinaia di migliaia di euro nella costruzione di nuovi box e arrivando più che a raddoppiarne l’estensione. Inoltre nella realizzazione di questa nuova parte si è scelto di realizzare decine di box modulari prefabbricati che non solo hanno un terribile impatto visivo, ma sono soggetti a numerosi problemi di manutenzione e a malapena garantiscono i requisiti minimi per non parlare di grave stress per gli ospiti a quattro zampe. Intorno ai box delle piccole aree di sgambamento che somigliano più a dei luoghi dove “parcheggiare” i cani per alcuni momenti che non delle aree dove fare attività e valorizzare la relazione in vista di prepararli per una nuova adozione.
Un ampliamento non a misura dei cani
Quanto tutto ciò sia stato senza senso e senza un reale progetto è dimostrato inoltre dal fatto che tale scellerato ampliamento ha portato anche a un consistente peggioramento dell’impatto della struttura sul territorio circostante. La sentenza del 2021 infatti, esito di un contenzioso avviato già dal 2015, certifica il grave impatto acustico causato proprio dalle nuove edificazioni che così, dopo neanche un decennio dalla loro realizzazione e la consistente spesa di denari pubblici, dovranno ora essere rimosse o schermate con lamiere e terrapieni. Ciò porterà un ulteriore gravissimo impatto sul benessere degli ospiti della struttura e un ulteriore ingente spesa per la realizzazione delle opere.
A fronte di ciò, con la riduzione sostanziale della capienza degli ospiti, Bologna si troverà ad avere un canile sottodimensionato e probabilmente non sufficiente a garantire le esigenze del capoluogo.
Dovrà inoltre continuare ad usufruire di una struttura fatiscente, con impianti vecchi, inquinanti e malandati e dove il cittadino ha l’impressione di entrare più in un lazzaretto che non in quello che dovrebbe essere un polo zoo antropologico.
L’impegno dei volontari, unico faro negli ultimi 15 anni
Da ultimo, come ciliegina finale, quella che sembra una beffa nei confronti dei volontari e di tutti quei cittadini che da anni si adoperano per portare conforto e benessere ai cani ospiti del canile. Infatti la sentenza del tribunale risale a gennaio e dava al comune 6 mesi di tempo per adeguarsi. Questo è stato tenuto riservato fino a pochi giorni fa quando si è poi all’improvviso comunicata la perentorietà e l’urgenza di provvedere ai lavori e al trasferimento dei cani. Saranno infatti loro le maggiori vittime di tutta questa situazione e, già privati del calore di una famiglia, si troveranno ora a subire anche il maltrattamento di un trasferimento coatto verso luoghi nuovi e sconosciuti, perdendo non solo ogni loro riferimento, ma anche il contatto con tutte quelle persone che di loro si son fino ad oggi occupate, sacrificando il proprio tempo libero e investendo di tasca propria per portare quelle migliorie che rendessero per lo meno vivibile la loro permanenza. In tutto ciò non si può infatti sottacere il fatto che, in questi ultimi 15 anni, è stato solo grazie all’impegno quotidiano dei tantissimi volontari, che si sono realizzate tante piccole opere come la piantumazione di alberi, l’arricchimento ambientale e tante piccole manutenzioni che hanno tamponato la precarietà della struttura. Senza considerare il profondo legame affettivo che si è creato con i diversi ospiti, molti dei quali reclusi da diversi anni, che nei volontari avevano gli unici riferimenti e che ora perderanno per sempre.
La protesta della Lav: «Basta pensare agli animali come oggetti»
Per questo, assieme ad altre associazioni, LAV Bologna ha indetto sabato scorso, giorno previsto per la prima tornata di trasferimenti, una manifestazione presidio davanti al canile che, quanto meno, ha avuto l’esito di bloccare, almeno temporaneamente, questa prima deportazione. Abbiamo chiesto ad Annalisa Amadori, responsabile di LAV Bologna, che ci ha dichiarato quanto segue: «L’aspetto più grave di questa vicenda è l’atteggiamento delle istituzioni verso i cani e i gatti ospiti della struttura comunale. Per l’Amministrazione di Bologna e la Magistratura non si tratta di esseri senzienti, in grado di provare sofferenza e di avere emozioni, ma si tratta di “cose”, sacrificabili per mero interesse: spostati come oggetti in strutture sconosciute, privati dei loro legami abituali, oppure lasciati all’interno di barriere soffocanti, in spazi sempre più esigui. È una logica per noi inaccettabile. Critichiamo anche l’arroganza e l’opacità dimostrate dalle istituzioni. Anziché cercare un confronto trasparente con le Associazioni animaliste, avvalersi della loro competenza in ambito etologico e di benessere animale e trovare una soluzione percorribile, la scelta è stata di tenerle all’oscuro di ogni decisione, fino all’avvio della costruzione delle barriere. Ma non basta, se il canile è una fonte di disturbo, perché si rendono edificabili altri terreni adiacenti al canile? E che dire dei soldi dei contribuenti spesi per realizzare solo pochi anni fa l’ampliamento della struttura che ora sarà smantellato?»
La gara d’appalto di oltre 2 milioni di euro
Dulcis in fundo, resta un’ultima importante questione che il Comune dovrebbe chiarire per questioni di trasparenza. Infatti, nonostante la sentenza sia risalente già a gennaio, si è provveduto a marzo con una gara di appalto del valore di oltre 2 milioni e duecentomila euro iva esclusa per la gestione dei prossimi 5 anni, senza mai accennare al possibile ridimensionamento della struttura. Al di là della correttezza nei confronti dei possibili candidati, che forse avrebbero dovuto essere informati della possibilità che dopo soli 3 mesi si sarebbero potuti ritrovare con una struttura praticamente dimezzata, resta anche da capire come verranno impiegate ora quelle risorse e se una cifra che era stata pensata per gestire un canile da 200 cani verrà ora spesa per gestirne meno della metà. Il Comune spenderà quasi 450 mila euro l’anno per un canile che di fatto ospiterà circa 40 cani? Spenderà quasi 1000 euro al mese per cane? Saranno spesi ulteriori soldi per mantenere tutti quelli trasferiti presso altre strutture? O questi saranno a carico dei volontari che si stanno impegnando per trovare loro soluzioni alternative al canile?
Una situazione inaccettabile a Bologna, città simbolo di accoglienza e di cultura
Siamo a Bologna nel 2021. Queste sono le storie che proprio non ci piacerebbe dover raccontare. Così come è triste vedere l’assessore Gaggioli, nel rispondere alle interrogazioni in Consiglio Comunale, presentare questa situazione come un esito improvviso e caduto dall’alto al quale si è costretti ad adeguarsi, smarcandosi da quanto fatto in precedenza da altri amministratori della sua stessa maggioranza e lasciando l’incombenza a chi verrà eletto alle prossime vicine elezioni.
La situazione è sotto gli occhi di tutti da ormai 15 anni e questo è l’esito di quello che, seppur con difficoltà, si può e si deve definire solo un pessimo disegno politico.
Da Bologna, città di cultura, di accoglienza e di rispetto altro ci si aspetterebbe che non una simile vergogna. E forse quel vecchio canile, nel cinquantenario della sua costruzione e a 30 anni dall’approvazione della legge 281, altra funzione dovrebbe avere che non ospitare ancora dei cani. Con il suo forno crematorio, con quei suoi box chiusi da porte in metallo la cui piccola fessura si apre su un tetro corridoio, con quella sua entrata che sinistramente ricorda quella di un campo di concentramento, quel vecchio canile sarebbe forse più adatto come museo a cielo aperto di una pagina triste della nostra cultura. Una pagina quasi dimenticata del “civile” nord Italia, poco raccontata e da molti neanche conosciuta: quella che racconta cosa è realmente stata, per oltre 35 anni, la lotta al randagismo. Una pagina di morte fatta di eutanasie e forni crematori.