«Mammiferi, uccelli, pesci e molti invertebrati sono senzienti, cioè capaci di provare piacere, dolore ed emozioni. Questi animali sono soggetti coscienti, hanno cioè una loro prospettiva sul mondo che li circonda. Quando feriamo un cane o un maiale, quando teniamo in cattività un pollo o un salmone, quando uccidiamo un vitello per la sua carne o un visone per la sua pelle, contravveniamo gravemente ai loro interessi fondamentali». È con queste parole che un gruppo di oltre 450 accademiche e accademici specializzati in filosofia morale e politica, provenienti da 39 paesi hanno invitato la popolazione mondiale a dire basta allo sfruttamento degli animali.
È questo il contenuto di quella che passerà alla storia come "Dichiarazione di Montréal". «Siamo ricercatori nel campo della filosofia morale e politica – si legge nel documento – Il nostro lavoro è radicato in diverse tradizioni filosofiche e raramente ci troviamo in accordo tra di noi. Concordiamo, tuttavia, sulla necessità di una profonda trasformazione delle nostre relazioni con gli altri animali. Condanniamo le pratiche che comportano il trattamento degli animali come oggetti o merci».
Tra gli studiosi e accademici italiani firmatari della Dichiarazione c'è Simone Pollo, professore associato di Filosofia morale alla Sapienza Università di Roma che con Kodami aveva affrontato la questione dell'animalismo nell'azione dei partiti politici europei, invocando un profondo cambiamento nelle nostre relazioni con gli altri animali: «Una forza politica per qualificarsi come genuinamente interessata a questo tema deve partire da un orientamento programmatico volto a trasformare le nostre relazioni con gli animali. L'animalismo, a livello politico, se preso sul serio non chiede solo benessere e attenzione per gli animali, ma propone una trasformazione articolata. Non è possibile dichiararsi animalisti e contemporaneamente lasciare tutto così com'è».
Sul versante italiano hanno aderito al manifesto contro lo sfruttamento anche Annalisa Di Mauro, ricercatrice in Filosofia morale, membro dell’EtApp (Laboratory for Applied Ethics Research) dell’Università di Genova e responsabile “Ricerca e rapporti con l’università” di ALI – Animal Law Italia e Benedetta Piazzesi ricercatrice all’EHESS, la Scuola di studi superiori in scienze sociali di Parigi.
«Nella misura in cui comporta violenza e danni inutili, dichiariamo che lo sfruttamento degli animali è ingiusto e moralmente indifendibile», è il messaggio senza sconti contenuto nel documento presentato da Essere Animali insieme ad Animal Law Italia.
A partire dalle conoscenze acquisite dalla scienza e dalla filosofia, gli studiosi firmatari della Dichiarazione hanno sottolineato come siano i comportamenti che attuiamo tutti giorni a plasmare il mondo, e a causare la sofferenza di un numero sempre crescente di animali: «Tutti questi danni potrebbero essere evitati. È ovviamente possibile astenersi dall'indossare pelle, dal partecipare a corride e rodei o dal mostrare ai bambini leoni in cattività negli zoo. La maggior parte di noi può già fare a meno degli alimenti di origine animale e rimanere in salute, e il futuro sviluppo di un’economia vegana renderà le cose ancora più facili. Da un punto di vista politico e istituzionale, è possibile smettere di considerare gli animali solo come risorse a nostra disposizione».
Il messaggio è nettamente antispecista: «Il fatto che questi individui non appartengano alla specie Homo sapiens è moralmente irrilevante: anche se può sembrare naturale pensare che gli interessi degli animali contino meno degli analoghi interessi degli esseri umani, questa intuizione specista non regge a un attento esame. A parità di condizioni, la semplice appartenenza a un gruppo biologico (sia esso delineato dalla specie, dal colore della pelle o dal sesso) non può giustificare una considerazione o un trattamento diseguali».
Una considerazione che attraverso Kodami era stata fatta anche dal biologo e scrittore Mark Bekoff, professore emerito di ecologia e biologia evolutiva all’Università del Colorado, noto a livello mondiale per aver introdotto nel mondo della scienza i concetti di emozione e cognizione nel mondo animale.
Erano gli anni Settanta quando Bekoff in maniera pionieristica che gli animali non umani provano una vasta gamma di emozioni, ma anche rituali di lutto ed esperienze spirituali. Questo non significa che i diritti degli animali debbano essere rispettati nella misura in cui le loro reazioni sono assimilabili alle nostre. Questo concetto è proprio il principio dell'antropocentrismo che da secoli, forse millenni, giustifica la riduzione in schiavitù delle specie che incontrano l'uomo.
«Ci sono differenze tra gli esseri umani e gli altri animali – hanno ricordato le accademiche e gli accademici – così come ci sono differenze tra gli individui all'interno delle specie. Certo, alcune sofisticate capacità cognitive danno origine a interessi particolari, che a loro volta possono giustificare trattamenti particolari. Ma la capacità di un soggetto di comporre sinfonie, di fare calcoli matematici avanzati o di proiettarsi in un futuro lontano, per quanto ammirevole, non influisce sulla considerazione dovuta al suo interesse a provare piacere e a non soffrire. Gli interessi dei più intelligenti tra noi non contano più degli interessi equivalenti dei meno intelligenti. Affermare il contrario equivarrebbe a classificare gli individui in base a facoltà che non hanno alcuna rilevanza morale. Un atteggiamento così abile sarebbe moralmente indifendibile».
Tra le prime vittime di questo sistema di oppressione ci sono gli animali da allevamento. Sono 65 miliardi gli animali che muoiono in tutto il mondo per produrre carne, uova e lattici. Numeri impressionanti se si pensa che in Unione Europea, nel 2021, c’erano ben 142 milioni di suini, 76 milioni di bovini, 60 milioni di pecore e 11 milioni di capre, senza contare polli, pesci e altri animali. La maggior parte degli individui sfruttati vive negli allevamenti intensivi, dove sono costretti in condizioni artificiali di perenne sofferenza.
Infine, segnalano le ricercatrici e i ricercatori, è necessario trovare delle alternative a questo sistema che siano sostenibili anche eticamente: «È difficile sfuggire a questa conclusione: poiché danneggia inutilmente gli animali, lo sfruttamento animale è fondamentalmente ingiusto. È quindi essenziale lavorare per la sua scomparsa, soprattutto puntando alla chiusura dei macelli, al divieto di pesca e allo sviluppo di sistemi alimentari a base vegetale. Non ci facciamo illusioni: un simile progetto non si realizzerà a breve termine. In particolare, richiede la rinuncia a radicate abitudini speciste e la trasformazione radicale di numerose istituzioni. Crediamo però che la fine dello sfruttamento animale sia l'unico orizzonte condiviso che sia realistico e giusto per i non umani».