Artemis 1. Si chiama così la missione che rappresenta il primo passo per il ritorno dell'essere umano sulla luna. Il razzo Sls è stato lanciato dalla Nasa verso il satellite del pianeta Terra il 16 novembre 2022, senza equipaggio a bordo e dopo 61 anni da quel 20 luglio del 1969 in cui avvenne l'allunaggio. Ma bisognerà aspettare almeno il 2025 perché altre impronte umane, dopo quelle di Neil Armstrong e Buzz Aldrin, calpestino il suolo lunare e questa volta l'annuncio è stato fatto in stile politically correct, rendendo noto che i prossimi saranno «di una donna e di una persona di colore».
La componente femminile, però, al di là dei proclami è davvero insita nel nome stesso che gli scienziati della Nasa hanno deciso di attribuire non a caso a questa avventura spaziale: Artemide, la dea che nell'immaginario collettivo è associata per antonomasia alla caccia e che invece nasce nella mitologia con attribuzioni molto più profonde e legate proprio alle donne, alla luna e agli animali cui era lei stessa devota e che proteggeva con forza e severità nei confronti proprio degli umani.
La storia che un giorno sarà scritta su questo nuovo tentativo di colonizzazione umana di un corpo celeste ha dunque radici antichissime e che sprofondano, ancora una volta, nel nostro ancestrale rapporto con gli animali: simboli perenni dalla notte dei tempi della nostra aspirazione a trasporci in altri esseri viventi, soggetti spogliati delle loro individualità per farle nostre e attribuirci significati nell'espressione dei nostri comportamenti che possano avere un senso nel linguaggio comune. Lo facciamo da sempre del resto e continuiamo a farlo anche nel modernissimo 2022 dopo Cristo: basti pensare anche solo a banalissimi modi di dire come "avere una fame da lupi", essere "veloce come una lepre" o "fedele come un cane".
E allora oggi questo evento altamente tecnologico ci aiuta a scavare proprio nella storia umana e riconoscere nella dea Diana, così come fu poi "fatta propria" dai Romani, quel rapporto con gli altri esseri senzienti vissuto dagli uomini sempre al margine di un confine ai cui lati si possono porre la fascinazione e la paura. Immanuel Kant, filosofo tedesco tra i più grandi esponenti dell'Illuminismo è al riguardo utilissimo per dare un contorno a questa immagine. Il pensatore che era votato a difendere e dimostrare le ragioni della logica fu infatti allo stesso tempo colui il quale concepì il "sublime": "E' un oggetto della natura, la cui rappresentazione determina il sentimento a concepire l'irraggiungibilità dei limiti della natura come rappresentazione di idee della ragione".
Per dirla in maniera più semplice, ricordando gli esempi che magari molti di noi avranno ascoltato al liceo dalla professoressa di filosofia: è quell'emozione che si prova di fronte a un leone, quando si rimane paralizzati contemporaneamente dalla sua magnificenza (e non semplice "bellezza") e dalla paura.
Il filosofo tedesco fece sua però, modernizzandola chiaramente, la definizione di sublime mutuata dall'antichità classica e non risulta difficile, ora, pensando al volo di Artemis 1 da Cape Canaveral e andando indietro nel tempo, riflettere sul fatto che gli dei un tempo fossero proprio la rappresentazione di tutto ciò che gli umani non riuscivano a spiegarsi di fronte alla natura e ai suoi abitanti.
Mentre dunque il razzo Sls e la capsula Orion della missione Artemis 1 volano superando l'orbita terreste e raggiungendo quella lunare, a noi che ancora camminiamo sulla Terra e scriviamo della relazione tra animali umani e non rimane ancora la possibilità di raccontare i tanti aspetti del mito di Artemide in tutta la sua complessità, sfrondandolo da quella lettura semplificativa di una dea che cacciava ma calarla nello specchio dei tempi in cui il suo culto si è compiuto e far emergere il suo ruolo come dea della luna, delle donne e appunto degli animali.
Per farlo, bisogna partire da molto lontano e la Treccani ci viene in aiuto per questo breve e non esaustivo viaggio nella mitologia:
Artemide – Dea greca, il cui nome, di significato oscuro, appare già dal 13° sec. a.C. in documenti micenei. Alcuni tratti della sua figura, in particolare la connessione con il mondo della natura e con la caccia, portano ad accostarla al tipo di un'arcaica "signora degli animali".
Si parte dunque dagli albori della cultura greca per avere una prima testimonianza di quanto la dea fosse stata idealizzata proprio a favore della protezione rivolta agli altri esseri viventi, nell'ottica di un tempo in cui bisogna comprendere quanto fossero utili per la sussistenza degli umani. Le rappresentazioni più antiche della dea, però, non sono nemmeno con arco e freccia ma con la divinità circondata da animali. Ne è testimonianza il Vaso François (datato 570-565 a.C.), così chiamato dal nome dell'archeologo che lo ritrovò a Chiusi nel 1844-45 in cui Artemide è raffigurata due volte e in una, apposta sulle anse (le maniglie), la si vede alata come Potnia Theròn, ovvero "signora degli animali".
Le fondamenta della personalità di questa figura femminile mitologica la legano dunque da sempre indissolubilmente agli animali e sono i greci più moderni poi a rendere evidente anche la sua funzione come dea della luna e protettrice delle partorienti ma, soprattutto, a trasformarla definitivamente in quella cacciatrice che è arrivata anche a noi come sua immagine principale.
Fondamentale per questo passaggio è "L'inno di Artemide" di Callimaco, in cui lo scrittore (IV secolo a.C.) la descrive mentre fa le sue richieste al padre Zeus:
Dammi tutti i monti,
ma una città riservami qualunque,
quella che vuoi: discende raramente
Artemide in città. La mia dimora
sarà sui monti e le città degli uomini
frequenterò soltanto, quando, morse
dagli acuti dolori del travaglio,
in aiuto mi chiamino le donne.
Dalle Moire ebbi in sorte, appena nata,
di assisterle, poiché nel partorire
e nel portarmi non soffrì mia madre,
ma, senza alcun dolore, mi depose
dalle sue membra. Dette queste cose,
attaccarsi voleva la bambina
alla barba del padre e molte volte
tese invano le mani per sfiorarla.
Ridendo assentì il padre e le rispose,
carezzandola: Se mi partorissero
le dèe creature simili, pochissimo
avrei pensiero di Era, che si adira
per gelosia. Le cose che mi chiedi
e di cui ti accontenti, eccoti, figlia.
Altre cose più grandi darà il padre:
trenta città, non una sola torre,
trenta città ti donerò per giunta
che nessun altro dio celebreranno,
ma solo te, dicendosi di Artemide;
molte città sul continente ed isole
con altri da dividere, ed in tutte
altari vi saranno per Artemide
e boschi sacri, e tu sarai custode
delle strade e dei porti.
Da questo inno dobbiamo però prendere spunto per riflettere su quanto la caccia fosse un elemento fondamentale nella vita degli uomini dell'epoca e vedere la dea sotto un'altra luce, ovvero sempre come protettrice degli animali perché fossero tutelati dall'avidità umana e dunque liberi di potersi riprodurre per evitarne stragi e garantirne la libertà e la vita che dalla prospettiva proprio della dea è spesso, sempre come i testi antichi ci raccontano, finanche più importante di quella degli uomini.
Il mito di Atteone, di cui abbiamo raccontato anche nel nostro video reportage al Parco archeologico di Pompei alla scoperta della relazione tra uomini e animali che già era prevalente all'epoca in cui la cittadina campana fu poi devastata dall'eruzione del Vesuvio, è rappresentativo della potenza di Diana e degli esseri viventi che davvero le stavano a cuore: le donne e gli animali. Nella Casa del Menandro la raffigurazione di Diana e Atteone rappresenta il momento in cui la dea trasforma l'uomo, un cacciatore che aveva osato guardarla mentre faceva il bagno nuda, in cervo. Atteone poi viene sbranato dai cani della dea. In diverse domus si sono trovati esempi pittorici che ricordano questo episodio, come l'affresco più noto nella Casa della Caccia Antica dove è raffigurato anche Apollo che, secondo altre interpretazioni, preso dalla gelosia nei confronti della sorella, sarebbe il vero artefice della morte di Atteone. Ancora nella Casa di Octavius Quartio si possono ammirare due dipinti che raffigurano Diana che fa il bagno nuda e Atteone che viene divorato dai cani per averla guardata.
Artemide aveva con gli animali un rapporto sacro, era "signora delle selve, protettrice degli animali selvatici, custode delle fonti e dei torrenti, protettrice delle donne cui assicurava parti non dolorosi e dispensatrice della sovranità". La sua protezione, dunque, era nei confronti degli animali e non certo dei cacciatori e ancora un altro mito ci aiuta a comprendere quanto invece il non rispetto da parte di questi ultimi nei confronti dei suoi protetti scatenava la sua ira a discapito proprio degli esseri umani.
Le fonti ci portano infatti anche al tempo della guerra di Troia, in quello che è noto come "il sacrificio di Ifigenia". Agamennone, Re dell'Argolide e leader degli Achei, è bloccato con il fratello Menelao dal mare in tempesta e non riescono a raggiungere le coste dove la battaglia infuria. Il motivo? Artemide è arrabbiata con lui: il sovrano acheo ha osato uccidere un cinghiale sacro per la dea e si è vantato di essere il miglior cacciatore in Terra e anche rispetto agli dei dell'Olimpo. Il risultato sarà che il re dovrà sacrificare la vita della figlia per riuscire a calmare le ire della dea ma quest'ultima in realtà la risparmierà rendendola sua sacerdotessa.
La vendetta di Artemide è sempre una furiosa risposta all'offesa al mondo degli animali, come avviene anche nel mito di Melagro, uno degli argonauti. In questo caso si ritrova ancora più chiaramente espressa la sua vocazione di proteggere gli altri esseri viventi e quanto contassero per lei, tanto da arrivare a trasformare i mortali in altre forme di vita animale. Ancora una volta il "casus belli" con la dea è una battuta di caccia in cui il protagonista è Eneo, il padre di Melagro che durante le celebrazioni per la mietitura offre sacrifici a tutti gli dei ma non ad Artemide. La risposta della figlia di Zeus è quella di far devastare Calidone, il regno di Eneo, da un terribile cinghiale. Il risultato finale è che Melagro riesce poi a uccidere l'animale ma solo guidato dall'amore che prova per Atlanta, una donna cacciatrice e per questo invisa a tutti. Per lei l'argonauta arriva a uccidere i suoi zii e, in una serie di altre sventure, ciò determina poi la sua morte. Eppure Artemide, nel finale di questa pagina di mitologia molto complessa e per cui rimandiamo a testi approfonditi, svela ancora una volta il suo lato più tenero, sempre nei confronti delle donne: trasforma le sorelle di Meleagro in galline faraone, unico modo per salvarle dall'eterno strazio in cui erano cadute per la morte del fratello.
Dalle antiche fonti che hanno narrato l'epopea di Artemide e della Diana dei Romani, ora che l'uomo punta di nuovo alla Luna e a lei ha dedicato questa nuova avventura, abbiamo dunque voluto ricordare il senso di quell'appellativo di "dea cacciatrice" inteso come protettrice degli animali. Un capovolgimento del luogo comune, chiaramente contestualizzato ad un'epoca diversa dalla nostra in cui la caccia era una risorsa importante per i nostri progenitori.
Il "mondo" di questa dea vergine e protettrice di animali e donne ci insegna – se riletto e approfondito come in parte abbiamo provato a fare – che oltre il mito gli antichi ci hanno parlato di rispetto per tutte le vite che abitano il Pianeta e che uccidere altri esseri viventi era un una chiara prova del fatto che ad ogni azione non eticamente corretta corrispondeva una vera e propria punizione divina.
Oggi esistono leggi che regolano l'attività venatoria ma ancora è lontano, più del passato che abbiamo provato a raccontare, il tempo in cui arriverà una completa consapevolezza del dato di fatto che cacciare non ha più alcun senso e non abbiamo dubbi che le frecce, oggi, la divina Diana le scoccherebbe non certo verso i suoi amati animali ma contro chi non li protegge.