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18 Maggio 2021
9:47

Argo: il cane che aspettava il suo Ulisse

Ci sono cani nei rifugi che più di altri soffrono la mancanza di una relazione stabile con le persone. Ogni cane vive le difficoltà del canile in maniera soggettiva, ma ci sono adozioni che troviamo in qualche modo più urgenti di altre. La storia di Argo: il cane che aspettava il suo Ulisse.

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Istruttrice cinofila
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Settembre era sempre un mese impegnativo al rifugio perché le giornate iniziavano ad accorciarsi e dividere il tempo per tutti non sempre era facile. Erano giorni ancora piuttosto caldi e riuscivamo a fare del nostro meglio per garantire comunque a ogni cane del tempo di qualità. Alla fine di agosto era arrivato Argo, un cagnone nero focato dall’aspetto imponente che si era rivelato ben presto una delle creature più dolci e affettuose della struttura.

La sua era una storia come tante, purtroppo, di quelle in cui chi aveva scelto quel cane da cucciolo era venuto a mancare e la famiglia non poteva occuparsi più di lui come meritava. Se fosse una scusa o la verità sappiate che io ho smesso di chiedermelo da tempo perché questo non fa altro che rendere ancora più urgenti ai miei occhi alcune adozioni. Non vorrei essere fraintesa, ogni cane merita una adozione e non c’è una reale lista di priorità da rispettare, così come non esiste un lasciapassare per una situazione che valga più di un altra in termini di tempo e urgenza. Però devo dire che ci sono cani che intendono la loro relazione con le persone, in maniera così stretta e profonda che quell’urgenza te la mettono sotto gli occhi ogni giorno.

Era proprio il caso di Argo che da bravo mix di Rotweiller e chissà cos’altro, aveva nei confronti delle persone (sin dall’inizio anche verso di noi che eravamo dei perfetti sconosciuti), una sorta di amore viscerale. E’ in questo stare nella relazione, esserci, collaborare che molti cani trovano la loro quadratura, il proprio ruolo, il loro modo di stare al mondo e su questo edificano bisogni e necessità, danno e prendono, in un perfetto equilibrio basato su un “noi”. Argo era un cane abbastanza giovane, chiaramente docile e voglioso di fare ma anche già adulto e composto nel suo modo di affrontare la novità del rifugio. Una sola cosa lo aveva davvero destabilizzato di tutta quella faccenda: non tanto essersi trovato di punto in bianco in un posto chiuso e senza il suo amico umano e neanche in mezzo a tanti cani, rumori e odori nuovi: era perso però ogni volta che la nostra attenzione su di lui cessava. Gli leggevi nello sguardo come una sorta di rassegnazione, una gigantesco punto di domanda e il pensiero: “E quindi te ne vai di nuovo?”. Lo spiavamo prima di andare via: si metteva giù e iniziava ininterrottamente per ore a leccarsi una zampa, sempre la stessa, la destra, cercando in quell’azione il conforto a qualcosa che non poteva cambiare.

Una sera, tornando a casa dal rifugio, solo una cosa mi continuava a balenare in testa come un pensiero fisso: quel cane portava il nome del compagno di Ulisse che lo riconosce al suo ritorno nell’Odissea. Ma il nostro Argo la sua Odissea la stava vivendo oggi e il suo Ulisse non avrebbe mai fatto ritorno.

Quello che i cani hanno da raccontarci

Argo era solito al rifugio fare un breve giro alla mattina, durante le operazioni di pulizia dei box e la messa a posto delle zone notte dove i cani dormono solitamente. Era un cane piuttosto grande fisicamente ma che possedeva un tatto e una sensibilità nel muoversi tipica di quei cani che leggi lontano un miglio che hanno imparato a stare dentro una casa, a muoversi in maniera coordinata fra gli arredi e gli ammennicoli vari con cui riempiamo le nostre abitazioni. Era un cane pacato e nonostante la stazza si avvicinava a cose, persone e cani con una delicatezza incredibile: chiaramente questo gli era valso il titolo di poter stare con noi sempre e comunque perché non intralciava le operazione routinarie, non dava fastidio ad altri cani e, anzi, era spesso fonte per loro di calma e tranquillità.

Insomma, anche stavolta avevamo fra le mani un gioiello: un cane a tratti perfetto ma pur sempre un cane di stazza grande, dal pelo scuro e morfologicamente con tutte le caratteristiche di un Rott. Sapete cosa significa quando cerchiamo una famiglia per un cane con queste caratteristiche puramente estetiche? La solita infinita lista di scremature per la sua adozione che si può però ridurre in una sola certezza: non serve avere una casa gigante o un giardino immenso per Argo e i cani come lui, perché l’unico spazio che occupa davvero la sua taglia è quello che gli serve per stare appiccicato alle persone. E questo modo di esserci non è per fare la guardia: pur sembrando un cane con queste attitudini, un tipo come Argo se arriva un estraneo in casa vostra è molto più probabile che lo accolga scodinzolando come un cucciolo.

Altro aspetto importante: il fatto che fosse un maschio non significa affatto che non potesse essere adottato con altri cani. Anzi Argo, come altri simili a lui, era un cane eccezionale con gli altri cani. Non starò qui a dilungarmi su quante richieste, invece, vengono automaticamente scartate perché: “Due anni sono tanti e io lo vorrei cucciolo”, o frasi come: “Siamo certi che si abitui a noi? A questa età?”. O, ancora, perché troppo spesso tanti credono che un cane grande significa un maggior impegno gestionale. Ogni soggetto richiede da parte nostra responsabilità e tempo e sappiate che queste cose non vanno pesate in base ai chilogrammi del cane.

Argo era un cane che perdeva un po’ di sé ogni giorno in più che andavamo via dal rifugio e che ogni mattina riconquistava un pizzico di speranza nel suo futuro vedendoci di nuovo al cancello del canile. Ma lui lo sapeva perfettamente che gli mancava la cosa che lo faceva stare meglio e su cui aveva in quei due anni costruito la sua identità: una guida, un riferimento umano, una famiglia.

L’universo infinito degli appelli di adozione

Quando cerchiamo di far adottare un cane, di solito pubblichiamo un appello che possa in qualche modo mettere in luce le qualità di quel cane. Non si può certo attribuire competenze che il cane non ha ma è anche giusto che le persone che leggono capiscano subito che cerchiamo dei requisiti di base. Non vogliamo essere pignoli, non vogliamo far apparire un cane per quello che non è, e cerchiamo comunque di arrivare alle persone giuste. Intendiamoci: nel mare magnum delle foto e degli appelli di adozione dei social, non è un’impresa facile arrivare alla famiglia giusta ma non si può fare leva sull’assistenzialismo, la pietà che la storia di un cane può suscitare o la bellezza fisica per farlo adottare. Stiamo gettando le basi per un’amicizia duratura e la prima cosa sarebbe fare un incontro basilare tra le affinità del cane e di chi lo adotta: è questa la base di partenza e deve essere edificata sulla sincerità reciproca, sui punti di forza in comune e senza mascherare eventuali criticità.

Insomma: chi di voi si sceglie per amico una persona perché gli fa pena o semplicemente perché è molto bello? Scegliamo le nostre relazioni sulla base di cose in comune e da fare insieme: perché non dovremmo farlo con un cane? È di questi giorni la decisione del Regno Unito che, dopo Svizzera e Nuova Zelanda, riconoscerà con una legge nazionale agli animali la capacità di essere senzienti, cioè in grado di sentire e provare emozioni. La reazione generale è stata un tripudio di plausi dal mondo animalista e anche dall’opinione pubblica. Riflettevo su questo proprio mentre scrivo queste righe per Kodami: riflettevo che abbiamo avuto bisogno di una legge per mettere nero su bianco che gli animali, e i cani quindi, hanno diritto a vivere secondo le loro caratteristiche etologiche e di specie nel pieno rispetto psicofisico? Non so se sarei riuscita a spiegarlo ad Argo all’epoca e non so se riuscirei a spiegarlo ai centinaia di migliaia di Argo dentro i canili.

L’adozione di Argo: dov’eri finito Ulisse, amico mio?

Erano passati diversi mesi dall’arrivo di Argo in rifugio e sempre più frequenti erano diventate le visite dal veterinario per quella zampa destra. Ormai il leccamento era diventata una specie di compulsione, fino a tirare via il pelo. Ogni volta col veterinario cercavamo di mettere una pezza al problema ma sapevamo che era un pezza piccola per quel “buco”. Il buco di Argo rappresentava tutta l’incapacità di riuscire a esprimere se stesso nelle coordinate più sociali e socievoli che gli appartenevano, nell’assenza totale di un punto di riferimento e una famiglia.

Ci sono cani come lui che iniziano a fare su se stessi quello che non riescono a poter esprimere fuori da quel box: è una delle cose che ci fa più rabbia e ci lascia più impotenti. Sappiamo che non c’è nessuna patologia clinica alla base, nessun problema di salute importante ma un disagio che salta fuori e che non possiamo curare veramente né noi né i nostri migliori veterinari. Fu proprio in una delle nostre visite in attesa in sala di aspetto che conoscemmo Alessio e Veronica: due ragazzi che vivevano in zona da poco e che avevano una cagnona molto simile ad Argo. Con la scusa di intrattenerci un po’ sul prato fuori in attesa del nostro turno, avevamo scambiato due chiacchiere e Argo e Mina avevano dialogato e giocato fra loro. Gli avevo raccontato che ero una volontaria del rifugio lì vicino, che Argo non era di razza come Mina, che aveva quel benedetto problema alla zampa che non riuscivamo a risolvere. Alla fine ci eravamo salutati, ci toccava l’ennesimo controllo e come sempre, il grande Argo dal veterinario era stato fantastico a dispetto della sua stazza e del suo aspetto. Non passarono che un paio di settimane e si presentarono i ragazzi al cancello del rifugio: Veronica pensava ad Argo ogni santo giorno, era rimasta colpita da quel cane buono ma nonostante Alessio non fosse proprio convinto di provarci, lo aveva quasi costretto a farci almeno un pensiero e a fare una visita in canile.

In conclusione, ve la farò breve e riassumerò tutto nei nostri primi e ricorrenti scambi di messaggi: “Come va ragazzi con Argo a casa?” – “Sembra di non averlo tanto è educato e silenzioso”. Andai a trovare Argo dopo un mese circa a casa loro e devo dire che dal quantitativo di palloni bucati e terra scalzata in giardino, immagino che Argo e Mina non fossero sempre tranquilli e silenziosi nelle loro giornate, tutt’altro! Eppure quel giardino era piccolo, quella casa era piccola, entrambi i cani erano adulti e di taglie che prevedono una gestione di un certo tipo. Ma Alessio e Veronica avevano fatto l’unica cosa che si potesse fare: adottare un nuovo amico consapevolmente, al di là dei metri quadrati e dei chilogrammi. E la zampa di Argo? Vi starete domandando tutti… Inutile dire che guarì più in fretta di quello che ci saremmo aspettati.

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