Arriva una sentenza di condanna definitiva per Barbara Cavicchioli, la 66enne diventata tristemente famosa per l’accumulo compulsivo di animali detenuti in condizioni di estremo maltrattamento a Montopoli di Sabina, in provincia di Rieti.
La donna è stata condannata in appello a 6 mesi di carcere per maltrattamento di animali (in primo grado il giudice del tribunale di Rieti l’aveva condannata a 16 mesi) e la sua difesa si era rivolta alla Cassazione con un ricorso che è stata rigettato. La sentenza di appello è quindi diventata definitiva e, almeno per questo procedimento, Cavicchioli dovrà scontare la pena.
Su di lei però pendono diversi altri procedimenti e denunce. «Ormai ho perso il conto», dice rassegnata a Kodami Rita Storri, presidente della onlus Incrociamo le Zampe di Civita Castellana. Storri è stata tra le prime a interessarsi alla vicenda nell’ormai lontano 2014: la sua piccola associazione si è fatta carico di molti animali sequestrati alla donna nel corso degli anni, e ha effettuato sopralluoghi di concerto con Asl, Carabinieri e Comune constatando le condizioni atroci in cui venivano detenuti gli animali.
«Questa lunga e tristissima vicenda è iniziata nel 2014, ad aprile c’è stata la prima denuncia – spiega Storri – Da allora avremo salvato tra i 400 e i 500 animali, principalmente cani, ma ultimamente anche conigli. Questa donna non si è mai fermata: ogni volta che gli animali venivano sequestrati, nel giro di pochi giorni tornava ad averne di nuovi». Nella maggioranza dei casi si trattava di cani in cerca di casa, che Cavicchioli trovava inizialmente tramite volontari e associazioni e poi tramite annunci da parte di privati condivisi su siti online. Quando ha iniziato a diffondersi la notizia che quella donna adottava cani in modo seriale, detenendoli poi in condizioni di assoluto degrado, le associazioni avevano infatti fatto quadrato segnalandola alle forze dell’ordine e rifiutandosi di affidarle animali.
«La nostra è una piccola associazione – racconta Storri – per diversi sequestri ci siamo fatti carico di tutte le spese e siamo diventati i custodi degli animali. Qualche sequestro è stato fatto a carico del Comune, ma anche lì abbiamo dato una grossa mano. Ciò che è mancato negli anni e che lamento sono i controlli: quando le associazioni hanno iniziato a non darle più cani lei batteva i siti. Io un giorno ho telefonato a tutte le persone che avevano messo annunci di cani che potevano attirarla, per metterli in guardia, e tutti mi confermavano che erano già stati contattati. Anche persone che avevano messo annunci da poche ore. Molti fortunatamente non si sono fidati, altri invece hanno voluto approfondire i controlli andando a farle visita a casa, ma alcuni sono stati tratti in inganno dai suoi racconti. E così gli animali tornavano in quella casa». Casa in cui sono state trovate gabbie e trasportini che la donna usava per rinchiudere i cani, a volte anche in armadi e sgabuzzini, e in cui gli animali venivano legati ai termosifoni, lasciati senza cibo né acqua, privati delle cure veterinarie. E all’esterno dell’abitazione, in un terreno, era stata costruita una struttura trasformata in una sorta di canile lager.
I sequestri nel corso degli anni sono stati innumerevoli, disposti dalla procura di Rieti e anche dal Comune. Niente, però, ha scoraggiato Cavicchioli dal prendere altri cani: un comportamento tipico degli accumulatori seriali, persone che soffrono di un disturbo che le spinge a circondarsi di animali senza poi provvedere adeguatamente al loro benessere. Secondo gli studi clinici, circa il 76% dei cosiddetti “animal hoarder”sono donne, e generalmente il disturbo insorge nella tarda età adulta. Gli animali più comunemente accumulati sono i cani, ma spesso si accumulano anche cavalli, uccelli e gatti. Non è raro trovare persone che hanno messo insieme una grande quantità di specie diverse. Il numero medio di animali accumulati è 39, ma non è inusuale superare i 100 soggetti. Gli animali accumulati spesso soffrono di malattie e malnutrizione, fino ad arrivare alla morte. L’hoarder, tuttavia, è spesso ignaro della sofferenza dell’animale e può mettersi sulla difensiva se criticato per il modo in cui si prende cura di lui. La negligenza che caratterizza questo tipo di disturbo non è necessariamente intenzionale: gli accumulatori, infatti, spesso riferiscono un profondo attaccamento ai loro animali e sembra, piuttosto, che non si rendano conto delle condizioni di trascuratezza in cui vertono.
Ciò che ha reso il caso di Cavicchioli così noto è proprio la quantità di animali accumulati e la possibilità di continuare a farlo nonostante le denunce e i sequestri: «Ciò che demoralizza è che anche noi a un certo punto siamo stati costretti a mollare – dice Storri rassegnata – Siamo intervenuti moltissime volte e altrettante abbiamo segnalato, ma le istituzioni non sono state del tutto dalla nostra parte e la macchina della giustizia si è mossa con una lentezza estrema. A me dispiace, umanamente, perché questa donna necessita di cure. Noi però ce l’abbiamo messa tutta. L’auspicio adesso è che nessun animale possa mai più venirle affidato».