«I Santuari sono luoghi intoccabili dove la violenza non può entrare, soprattutto se arriva per mano dello Stato, l'istituzione che più di tutte dovrebbe proteggere i deboli». Così l'attivista Massimo Manni, del santuario Capra libera tutti, descrive a Kodami la situazione in cui potrebbero ritrovarsi i maiali e i cinghiali della Sfattoria degli ultimi, rifugio di Roma i cui animali sono a rischio abbattimento secondo quanto riferito anche alla nostra redazione dalla fondatrice Paola Federica Samaritani.
Con l'arrivo della peste suina africana in Italia sono iniziate massicce campagne di abbattimento nei confronti dei suidi selvatici, che per la prima volta potrebbero colpire anche animali ospitati nelle strutture private. Per salvarli Massimo ha lanciato un appello, raccolto poi da un gran numero di realtà che hanno denunciato l'avvio delle operazioni di depopolamento per gli animali della Sfattoria degli ultimi, che ospita un totale di 130 individui tutti sani.
La peste suina africana (Psa) è ufficialmente arrivata in Italia all'inizio di quest'anno, quando la prima carcassa di un cinghiale infetto è stata rinvenuta nel Comune piemontese di Ovada, in provincia di Alessandria. Questa febbre emorragica che colpisce i suidi domestici e selvatici non si è fermata al Piemonte: in breve tempo ha raggiunto anche Liguria e Lazio, innescando una vera e propria emergenza nazionale che ha richiesto la nomina di un Commissario straordinario, individuato in Angelo Ferrari, direttore dell'Istituto zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta.
Ferrari recentemente ha confermato la linea degli abbattimenti selettivi già individuata dal governo nazionale per ridurre il numero di cinghiali presenti sul territorio, e quindi limitare la propagazione del contagio. «Le barriere sono la prima istanza per creare un rallentamento nella diffusione del virus, in modo da permettere il depopolamento dei cinghiali all'esterno delle barriere stesse – ha detto il Commissario nell'Aula del Consiglio regionale del Piemonte il 19 luglio – Queste due azioni, installare le barriere e depopolare all'esterno, devono convergere: è il solo modo per ottenere risultati».
Abbattimenti che, tuttavia, avrebbero dovuto interessare solo i suidi registrati come "dpa", cioè destinati alla produzione di alimenti per uso umano, escludendo tutti gli altri. Da aprile 2022, infatti, gli individui di questa specie possono essere registrati nella Banca dati nazionale della zootecnia (BDN) come “non destinati alla produzione di alimenti”. L'apertura è arrivata per proteggere i maiali "d'affezione" che ormai vivono nelle case di un gran numero di persone, ma ne ha beneficiato anche un altra categoria di suidi: quelli provenienti dagli allevamenti che sono stati salvati da un rifugio o da un santuario.
Come aveva spiegato Massimo quando siamo andati a trovarlo nel suo santuario Capra Libera Tutti, si tratta di realtà formalmente ancora non riconosciute: «Per lo Stato siamo un allevamento fallito, niente di più. C'è un immenso vuoto legislativo che da anni come parte della Rete dei Santuari Liberi chiediamo di colmare. Serve il riconoscimento dei Santuari come strutture diverse dagli allevamenti».
Il caso della Sfattoria degli ultimi: «Abbiamo avuto comunicazione verbale che arriverà un'ordinanza di abbattimento»
«I funzionari dell'Asl di Roma sono venuti da me ai primi di luglio per un controllo relativo alla situazione dei suidi – spiega Paola Federica Samaritani, fondatrice del rifugio La Sfattoria degli ultimi – In quell'occasione ci hanno comunicato l'arrivo di una ordinanza di abbattimento che avrebbe dovuto esserci con consegnata ufficialmente questa settimana».
Il provvedimento che doveva imporre a Paola l'abbattimento dei 130 suidi che da un anno e mezzo vivono nel suo rifugio, però, non è ancora arrivato: «Credo sia stato il grande interesse dimostrato dalle persone a ritardare la consegna dell'atto ufficiale – sostiene Paola – dopo la nostra denuncia pubblica si è aperto un faro sul grande vuoto che esiste in Italia rispetto a queste realtà».
Contatta da Kodami l'Asl si è chiusa dietro un secco "no comment": «L'Asl sulla comunicazione degli abbattimenti non è autonoma, non rilasciamo dichiarazioni in merito a questa questione».
Un muro rispetto alla vicenda della Sfattoria che cozza con le aperture dichiarate da Paola nei mesi precedenti: «In banca dati i nostri maiali sono stati registrati come "pet" e non come animali destinati alla produzione alimentare, un atto che non era mai stato possibile prima e da quello che sappiamo non era mai stato compiuto da nessuno prima di noi. Un riconoscimento che pensavamo ci mettesse al sicuro perché accolto dall'Asl stessa».
Fin dalle prime ordinanze del Commissario straordinario sono state distinte tre diverse zone: rossa, buffer e bianca. Con il ritrovamento di cinghiali malati nella zona dell'Insurgherata, la zona rossa romana si è estesa ulteriormente, ricomprendendo anche la Sfattoria.
Il timore di Paola è che passato l'interesse dei media, il processo di abbattimento riprenda: «Per fermalo definitivamente abbiamo bisogno che rifugi e santuari siano riconosciuti ufficialmente dallo Stato». La prospettiva del riconoscimento dei santuari è ancora più lontana dopo la crisi del Governo Draghi e lo scioglimento delle Camere. Un momento delicato che coincide con i 70 giorni di campagna elettorale in vista delle elezioni politiche di settembre. «Ho paura che adesso più che mai si farà ancora più attenzione agli interessi degli allevatori, perché se si infettano i maiali degli allevamenti l'Italia rischia di perdere il bollo di classificazione per esportare le carni all'estero».
Di cosa ha timore lo Stato relativamente alla diffusione della peste suina africana?
La peste suina africana non è una zoonosi, ciò significa che non può essere trasmessa dall'animale all'uomo, tuttavia è estremamente dannosa per la filiera agroalimentare italiana in termini economici; sia perché decima le popolazioni di suidi con i quali entra in contatto, sia perché la Comunità Europea ha previsto un limite all'export ai prodotti suinicoli provenienti da zone dove è diffusa la malattia.
A gennaio, poco dopo il primo caso di Peste suina africana in Italia, era arrivato puntuale anche il primo blocco per le carni provenienti dalla zona infetta di Piemonte e Liguria. Il rischio è che la peste suina diventi endemica in Italia come è successo in Sardegna, dove lo stop all'esportazione dura da ormai undici anni, e che potrebbe terminare proprio nel dicembre 2022 con la decisione della Commissione Europea. Un risultato per il quale si è impegnato in prima persona il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa.
La volontà di tutelare allevatori e aziende è stata ribadita in più occasioni dal Sottosegretario, l'ultima pochi giorni fa: «Dobbiamo tutelare un comparto che vale oltre 100 mila occupati in Italia». Per il Sottosegretario, la peste suina africana non è solo un problema, ma «l'occasione per risolvere un'altra emergenza, la presenza eccessiva degli ungulati selvatici, che in Italia provoca 20 milioni di euro di danni l'anno. Va ristabilito un equilibrio ambientale che non c'è più».
Posizioni non nuove per Costa che a maggio scorso aveva partecipato alla manifestazione di Coldiretti "Basta cinghiali", dal cui palco aveva dichiarato: «Vanno sostenuti coloro che investono sul territorio e che lo preservano dal dissesto idrogeologico, non gli animali che creano danni».
Anche da altri pezzi del Parlamento in questi ultimi giorni è stata espressa la volontà di tutelare persone e realtà produttive, come ha fatto il senatore leghista Francesco Bruzzone, responsabile dipartimento Attività venatorie del partito: «Visto che tutti dobbiamo essere orientati al bene pubblico e alla sicurezza, lanciamo un appello affinché, invece di criticare tout court, le associazioni animaliste contribuiscano a realizzare un piano condiviso di abbattimento dei cinghiali in sovrannumero».
Il futuro incerto degli animali nei santuari. «Non ci interessano gli indennizzi ma garantirgli di rimanere in vita»
«Quello che sta accadendo alla Sfattoria degli ultimi è un vero e proprio incubo per chi gestisce un Santuario o un rifugio – sottolinea Massimo – A noi non interessano gli indennizzi che vengono corrisposti dopo gli abbattimenti perché i nostri animali hanno tutti una storia e un valore individuale».
Valore che non è sovrapponibile a quello di mercato che lo Stato, per tutelare un comparto produttivo considerato importante, stabilisce dopo aver imposto l'abbattimento di individui sani. «Quello che sta avvenendo con i cinghiali è lo specchio di un problema sociale molto più esteso che parla del modo in cui sistematicamente attuiamo una prevaricazione sui diritti di altri individui più deboli. E' un problema grave a livello sociale, che va al di là dell'animalismo – conclude Massimo – Per questo chiedo alle istituzioni di riconoscere il nostro ruolo e pensare a regole ad hoc per noi che coincidano con i valori che ogni giorno ci impegniamo per trasmettere».