Gli abissi, misteriosi ambienti oscuri e sconfinati. Seppure a prima vista possono sembrarci desolati e privi di vita, le acque oceaniche al di sotto delle zone superficiali dove non penetra la luce offrono esempi di come la vita può adattarsi anche agli ambienti più estremi. Sono molti gli animali degli abissi che si sono adattati a questi ambienti, anche se di loro conosciamo pochissimo. Paradossalmente abbiamo una conoscenza più approfondita dei suoli lunari che degli ambienti abissali del nostro pianeta, di cui abbiamo esplorato solo circa il 20%, e della sua fauna.
Sebbene nel linguaggio comune per abissi si intendono tutte le zone marine anche sotto duecento metri di profondità, dove la luce non riesce a penetrare, per definizione gli abissi propriamente detti si estendono dai 2000 ai 6000 metri di profondità, oltre i quali si entra nella zona adale o zona delle fosse oceaniche,i luoghi più profondi della superficie terrestre. Infatti la profondità media delle sconfinate piane abissali oceaniche di tutto il mondo è di circa 5-6 chilometri, ma alcuni punti particolari possono ampiamente superare tale profondità, diventando una sorta di "abissi negli abissi": le fosse oceaniche.
La più importante e profonda fossa oceanica è la Fossa delle Marianne, nel Pacifico nord-occidentale, il cui punto più profondo misura 10.920 metri sotto la superficie. Questa particolare conformazione geologica si è venuta a creare a causa di fenomeni legati alla tettonica delle placche ed in particolare alla subduzione della placca del Pacifico sotto quella delle Filippine.
Per sopravvivere a mancanza di risorse, totale oscurità ed altissime pressioni, gli abitanti di questo ambiente hanno evoluto interessanti adattamenti. Niente luce vuol dire infatti niente produzione primaria e niente ossigeno, dato che la fotosintesi è impossibile.
Le creature abissali hanno quindi sviluppato un metabolismo più lento che richiede meno ossigeno e possono vivere per lunghi periodi senza cibo. La maggior parte del nutrimento proviene da materiale organico che affonda lentamente dalla superficie, oppure dal consumo di speciali produttori primari chemiosintetici, cioè degli organismi capaci di ricavare il loro cibo attraverso il processo di chemiosintesi, la trasformazione dell'energia chimica in energia alimentare. I vertebrati di acque profonde hanno anche meno muscoli e meno ossa ossificate. Questa mancanza di ossificazione è stata adattata per risparmiare energia quando il cibo scarseggia.
Insomma, non aspettatevi ambienti popolatissimi come le barriere coralline: le densità delle comunità abissali rimangono molto basse. Per potersi incontrare in questo oceano di buio, i partner di molte specie si lanciano flebili segnali luminosi tramite organi bioluminescenti, in grado di produrre luce da reazioni chimiche proprio come fanno le lucciole. Per captare questi segnali sono stati evoluti grossi organi oculari, per captare anche il più lieve bagliore. C'è però chi si "approfitta" di questi segnali amorosi: alcuni voraci predatori utilizzano infatti la bioluminescenza per attirare ignare vittime e divorarle.
Ma chi sono i più famosi organismi che (per quanto ne sappiamo) popolano questi ambienti? Ecco qualche esempio delle misteriose creature che vivono nelle profondità marine.
Calamaro gigante
Iniziamo dal più grande e più iconico rappresentante della fauna abissale: il calamaro gigante (Architeuthis dux). Per secoli questo organismo ha alimentato le leggende di mostri marini come il kraken della mitologia norrena, una piovra mastodontica in grado di inghiottire con i suoi tentacoli intere navi. In effetti le uniche prove dell'esistenza di questo cefalopode marino risultavano essere i frammenti di tentacoli lunghi svariati metri ritrovati negli stomaci dei capodogli. Le prime prove dirette sono arrivate solo nei primi anni 2000.
I calamari giganti possono raggiungere i 13 metri di lunghezza totale, sebbene siano piuttosto leggeri, dimensioni che lo rendono il secondo invertebrato più grande al mondo. Sì, perché da recenti indagini gli scienziati hanno scoperto l'esistenza di un calamaro ancora più grande e misterioso: il calamaro colossale (Mesonychoteuthis hamiltoni), specie diffusa in Antartico che può raggiungere i 500 chili di peso è l'animale più grande degli abissi.
Calamaro bigfin
I calamari bigfin (genere Magnapinna) sono un gruppo di particolari cefalopodi, raramente avvistati e perciò ancora poco studiati, caratterizzati da tentacoli lunghi dai 4 agli 8 metri, tenuti perpendicolarmente alla base delle braccia, a mo' di gomito. Sono noti solo giovani individui o in fase larvale, in quanto presunti adulti non sono mai stati catturati e campionati.
Gli scienziati hanno ipotizzato che i calamari pinna grossa si nutrano trascinando braccia e tentacoli lungo il fondo del mare e afferrando organismi commestibili dal pavimento, in una sorta di "pesca a strascico". In alternativa, possono semplicemente usare una tecnica di cattura, aspettando passivamente che una preda, come lo zooplancton, urti contro la "gabbia" di tentacoli.
Calamaro vampiro
Il calamaro vampiro (Vampyroteuthis infernalis) , è un mollusco cefalopode degli oceani temperati e tropicali, adattatosi a vivere a grandi profondità: risiede a profondità di 600-900 metri o più.
È un organismo ben adattato ad ambienti in cui l'ossigeno disciolto è insufficiente a sostenere il metabolismo aerobico nella maggior parte degli esseri viventi, sopravvivendo fino a un livello di saturazione d'ossigeno del 3% appena. Ciò è frutto di determinati adattamenti: un metabolismo lento, estesi apparati branchiali e un pigmento sanguigno di colore blu, l'emocianina, che gli garantisce un efficiente trasporto di ossigeno ai tessuti.
Pur avendo una muscolatura debole, i calamari vampiri mantengono l'agilità e l'assetto tramite sofisticati statocisti (organi di bilanciamento simili all'orecchio interno umano) e i loro tessuti ricchi di ammonio si avvicinano perfettamente alla densità dell'acqua circostante.
Alle profondità meno spinte del suo areale verticale, la luce che arriva dall'alto è paragonabile alla luce del cielo al crepuscolo e permette agli occhi sensibili dei predatori di distinguere le sagome di altri animali soprastanti. Per proteggersi, il calamaro genera una propria luce bluastra (bioluminescenza) secondo una strategia chiamata controilluminazione: la flebile colorazione blu scuro lo confonde ad osservatori sottostanti.
Come molti cefalopodi abissali, il calamaro vampiro non possiede la sacca dell'inchiostro. Se minacciato, emette invece dalle punte dei tentacoli una nuvola appiccicosa di muco bioluminescente bluastro, che può durare quasi dieci minuti e permette al calamaro vampiro di scomparire nell'oscurità anche senza allontanarsi troppo. D'altronde, questa difesa viene usata solo in casi estremi, perché la rigenerazione del muco è impegnativa dal punto di vista metabolico.
Cnidari del genere Erenna
Erenna è un genere di idrozoi sifonofori abissali. Sebbene sembrino all'apparenza un unico individuo, sono in realtà specie coloniali composte da numerosi polipi e meduse morfologicamente specializzati a vivere insieme. Anche questi organismi, che abitano gli oceani tra i 1600 ed i 2300 metri di profondità, sono capaci di bioluminescenza a scopo predatorio e difensivo. Gli organi luminosi sono chiamati tentille e possono emettere luce rossa insieme a uno schema ritmico di sfarfallio, che attira la preda in quanto assomiglia a organismi più piccoli come zooplancton e copepodi.
Vermi tubo abissali
Il verme tubo gigante (Riftia pachyptila), è un invertebrato marino del phylum Annelida ed è uno dei tanti vermi tubolari che si trovano comunemente nei fondali oceanici. R. pachyptila vive sul fondo dell'Oceano Pacifico vicino a bocche idrotermali, che forniscono una temperatura naturale nel loro ambiente che varia da 2 a 30°C. Questo animale può tollerare livelli estremamente elevati di idrogeno solforato e raggiungere una lunghezza di 3 metri per un diametro di 4 centimetri.
I vermi tubo sono una parte importante delle comunità attorno alle bocche idrotermali. Associati a batteri endosimbionti e chemioautotrofi ma privi di bocca e tubo digerente, assorbono i nutrienti direttamente nei loro tessuti. I batteri vivono al loro interno: vi sono circa 285 miliardi di batteri per grammo di tessuto animale. I vermi tubo hanno branchie rossastre che contengono emoglobina. L'emoglobina combina acido solfidrico e lo trasferisce ai batteri che vivono all'interno del tubo. In cambio, i batteri nutrono il verme con composti di carbonio.
Granchio gigante del Giappone
Rimanendo tra gli invertebrati, ecco un enorme crostaceo di profondità: il granchio gigante del Giappone (Macrocheira kaempferi) è il più grande crostaceo conosciuto, un esempio di gigantismo abissale e può raggiungere i 3,7 metri di lunghezza totale. Abita i fondali sabbiosi a largo dell'arcipelago giapponese dai 150 agli 800 metri di profondità. Gli esperti ritengono che alcuni individui possano superare i 100 anni.
Pesci lumaca
I pesci lumaca sono organismi appartenenti alla famiglia dei liparidi. Alcune specie di pesce lumaca possono essere trovate in profondità di oltre 8.000 metri: sono state segnalate in sette fosse oceaniche. In generale, i pesci lumaca (in particolare i generi Notoliparis e Pseudoliparis) sono la famiglia di pesci più comune e dominante di questi ambienti, sebbene vi siano indicazioni che le larve di almeno alcune specie di pesci lumaca abissali trascorrino fasi in acque libere a profondità relativamente basse, inferiori a 1.000 metri.
Da molti il pesce lumaca è considerato l'animale che vive più in profondità: nell'ottobre 2008, un team del Regno Unito e del Giappone ha scoperto un branco di pesci lumaca Pseudoliparis amblystomopsis a una profondità di circa 7.700 metri nella fossa del Giappone. Questi erano, all'epoca, i pesci viventi più profondi mai osservati. Il record è stato superato da un pesce lumaca filmato a una profondità di 8.145 metri nel dicembre 2014 nella Fossa delle Marianne, ed esteso a maggio 2017 quando un altro è stato girato a una profondità di 8.178 metri sempre nella stessa zona. La specie in questi record più profondi rimane non descritta, ma è stata definita "il pesce lumaca etereo".
La specie descritta più profonda è Pseudoliparis swirei, anch'essa della Fossa delle Marianne, che è stata registrata a 8.076 metri. Attraverso l'analisi genomica è stato scoperto che Pseudoliparis swirei possiede molteplici adattamenti molecolari per sopravvivere alle intense pressioni di un ambiente di acque profonde, tra cui cartilagini tolleranti alla pressione e proteine stabili, maggiore attività delle proteine di trasporto, maggiore fluidità della membrana cellulare, perdita della vista e dei pigmenti cutanei.
Pesce blob
Psychrolutes marcidus, noto comunemente come pesce blob è un pesce di acque profonde della famiglia Psychrolutidae. Abita le acque profonde al largo delle coste dell'Australia e della Nuova Zelanda. I pesci blob sono in genere più corti di 30 cm, vivono a profondità comprese tra 600 e 1.200 m dove la pressione è da 60 a 120 volte maggiore di quella al livello del mare, il che probabilmente renderebbe le vesciche di gas inefficienti per mantenere la galleggiabilità. La loro carne è invece principalmente una massa gelatinosa con una densità leggermente inferiore a quella dell'acqua; ciò consente al pesce di galleggiare sopra il fondo del mare senza spendere energia per nuotare. Questi organismi possono essere ritrovati facilmente nelle reti a strascico di profondità.
L'impressione popolare dei pesci blob come bulbosi e gelatinosi è in parte un artefatto del danno da decompressione che avviene quando vengono portati in superficie dalle profondità estreme in cui vivono. Nel loro ambiente naturale, appaiono infatti decisamente più compatti
Pesci lanterna
Vi ricordate il capolavoro della Disney "Alla ricerca di Nemo"? In una delle scene più avvincenti della pellicola, i nostri protagonisti devono vedersela con un mostruoso pesce lanterna.
In effetti questi pesci dall'aspetto terrificante, appartenenti all'ordine dei lofiformi, sono alcuni tra i più celebri abitanti delle profondità oceaniche. La loro caratteristica più evidente è l'organo bioluminescente chiamato illicio, una sorta di appendice carnosa o antenna mobile presente sulla fronte. Anatomicamente parlando questa struttura è il primo raggio della pinna dorsale: l'animale la usa proprio come una "canna da pesca" per attirare ignare prede. Anche la rana pescatrice (Lophius piscatorius) fa parte di questo gruppo di pesci ossei.
Per quanto riguarda il loro dimorfismo sessuale le femmine di tutte quante le specie sono più grandi dei maschi: nel caso del melanoceto, per esempio, la femmina può raggiungere i 18 cm di lunghezza e il maschio adulto non supera i 3. Molte specie sono caratterizzate da parassitismo sessuale, una strategia riproduttiva in cui il maschio trova una partner e vi si attacca per il resto della vita.
Pesci mandibola
Il pesce mandibola (genere Malacosteus) è un pesce abissale presente in tutti gli oceani del pianeta, anche se piuttosto raro. Il suo nome comune deriva dall'evidente struttura boccale: la mandibola può essere estroflessa per catturare pesci e crostacei che rientrano nella sua dieta e può talvolta anche ingoiare prede grandi la metà del corpo stesso.
Squali abissali
Ed eccoci arrivati alla classe dei pesci cartilaginei, comprendente squali, razze e chimere. Sono molti gli organismi di questo gruppo che abitano le profondità abissali.
Lo squalo goblin (Mitsukurina owstoni) è uno squalo di profondità caratterizzato da una peculiare forma della testa: possiede un lungo rostro simile ad un becco, molto più lungo del muso delle altre specie di squalo. Inoltre il colore del corpo, quasi completamente rosa, e le lunghe mascelle protrudibili lo rendono effettivamente "mostruoso" agli occhi dei più. Lo squalo goblin si nutre di una grande varietà di organismi che popolano gli abissi. Tra le sue prede conosciute vi sono calamari abissali, granchi e pesci abissali. Si conosce molto poco della sua biologia e del suo comportamento riproduttivo, poiché è un animale che si incontra raramente. Sebbene possa sembrare una specie rara, non appare minacciata da alcuna sorta di pericolo e per questo non figura tra le specie considerate a rischio dalla IUCN.
Un altro squalo di profondità è lo squalo capopiatto (Hexanchus griseus) noto anche come squalo vacca. È stato osservato fino a 2500 metri di profondità, benchè pare che si sposti di notte in superficie per nutrirsi.
Anche lo squalo dal collare (Chlamydoselachus anguineus) predilige gli ambienti profondi di Atlantico e Pacifico. Piuttosto raro, lo squalo dal collare cattura le prede piegando il corpo e lanciandosi in avanti come un serpente. Le mascelle estremamente flessibili gli permettono di ingoiare prede di grosse dimensioni, mentre le file di piccoli denti aguzzi impediscono loro di fuggire.