L’ animal hoarding, il disturbo da accumulo di animali, detto anche “sindrome di Noè”, può essere definito come la raccolta compulsiva di un grande numero di animali e l’incapacità nel fornire loro standard minimi di nutrizione, igiene e cure veterinarie. Tale disturbo ha un impatto rilevante sulla cura e sul benessere degli animali, nonché sulla società umana.
Sebbene la comunità scientifica mondiale stia indagando sempre più tale disturbo, ancora ampiamente sottostimato, mancano strategie funzionali per gestire gli accaparratori e mettere al riparo gli animali coinvolti in questa forma di abuso.
È di recente pubblicazione, da parte del gruppo di Fisiologia Veterinaria della Federico II di Napoli diretto dal Prof. Luigi Avallone, un articolo inerente all’accaparramento compulsivo di animali, e la professoressa Danila d’ Angelo, docente di Etologia Animale e co-autrice dell’articolo, spiega a Kodami che: «Gli individui che ne soffrono non sono in grado di provvedere adeguatamente agli animali né curano l’ambiente in cui vivono, esitando in un grave sovraffollamento in condizioni decisamente insalubri. L’ hoarder, tuttavia, è spesso ignaro della sofferenza dell’animale e può mettersi sulla difensiva se criticato. La negligenza che caratterizza questo tipo di disturbo non è necessariamente intenzionale: gli accumulatori, infatti, spesso riferiscono un intenso legame con i loro animali e pare che non si rendano conto delle condizioni di trascuratezza in cui vertono. In Italia non ci sono state segnalazioni e scambi di informazioni su questo fenomeno e sugli animali coinvolti, e sono stati segnalati solo pochi casi. Attualmente esiste una sola ricerca italiana, che descrive gli aspetti sanitari, legali e veterinari di un caso di accaparramento di animali da parte di una donna emerso nel 2005, e rimasto purtroppo irrisolto».
Lo studio ha descritto 1080 animali nel periodo 2019-2022, detenuti da 29 accumulatori in due diverse aree della regione Lazio; alcuni accaparratori arrivavano a detenere anche più di 50 animali in casa, in gabbia o in casa.
Un possibile profilo dell’accaparratore
In linea con precedenti studi, la ricerca italiana segnala solo un leggero aumento delle accaparratrici di sesso femminile (che generalmente rappresentavano la stragrande maggioranza), tendenzialmente di mezza età (tra i cinquanta e i sessant'anni), con la percentuale più alta di accaparratori costituita da persone che vivevano da sole, suggerendo il potenziale impatto della solitudine sulla genesi del disturbo. È molto probabile che gli animali rappresentino il tentativo di riparare delusioni e fallimenti nella vita relazionale o nell'isolamento sociale, poiché hanno la capacità di fornire "conforto emotivo". L'accaparramento di animali si verificava generalmente indipendentemente dallo status culturale ed economico: nello studio il 45% dei pazienti aveva un alto livello di istruzione, infatti erano insegnanti, operatori sanitari, liberi professionisti e impiegati in studi privati.
Gli accaparratori presentano diversi motivi per spiegare e giustificare il loro accumulo di animali, negando tutte le accuse e sostenendo che gli animali sono ben curati, poiché loro sono gli unici umani che possono salvarli o amarli come se fossero bambini. Dallo studio emerge che gli hoarder si consideravano spesso le uniche persone qualificate in grado di soddisfare i bisogni degli animali nel migliore dei modi.
È per questo che a volte vengono scambiati per animalisti, per amanti assoluti degli animali, come persone che sacrificano la loro vita per gli amici a quattro zampe. Tuttavia, costoro ignorano il dolore o la bassa qualità delle cure degli animali, poiché ritengono di essere nel giusto.
L’impatto sugli animali
Dalla ricerca italiana emerge che il 67% degli animali coinvolti mostrava condizioni di salute pessime, caratterizzate da disidratazione, grave malnutrizione, lesioni cutanee (cioè lesioni da morso ed alopecia diffusa su tutto il corpo), atrofia muscolare. In alcuni, c'erano anche deviazioni della colonna vertebrale, dovute al vivere in una gabbia non adeguata alle dimensione del soggetto.
Alcuni animali mostravano segni di disagio comportamentale o paura nei confronti degli esseri umani, in particolare diffidenza nei confronti delle carezze e quando venivano toccati, paura dei rumori o di gesti improvvisi, nonché comportamenti stereotipati come leccare i muri ed inseguirsi la coda. Purtroppo l'1% è stato trovato morto, all'interno di gabbie, lavatrici, frigoriferi o nei giardini dell’ abitazione dell’hoarder.
Un approccio interdisciplinare per un fenomeno complesso
In Italia non ci sono né rapporti sostanziali né informazioni condivise su un tale fenomeno, e ciò rende difficile tracciare un quadro chiaro del fenomeno. Nel suo insieme, questo primo rapporto descrittivo sull'accaparramento di animali in Italia potrebbe aprire la strada alla creazione di un protocollo standardizzato per la raccolta e la condivisione dei dati da tutte le regioni italiane, con l'obiettivo di creare un osservatorio nazionale basato su diverse competenze professionali. In questo caso, infatti, la collaborazione con le ASL romane attive sul territorio ha permesso di intercettare i casi e poter studiare strategie di intervento finalizzate alla salvaguardia della salute e del benessere animale. Inoltre, trattandosi di una condizione psichiatrica ad alto rischio di recidiva, è fondamentale pensare anche ad interventi di supporto specifico per l'umano. La possibile soluzione dei casi di accumulo deve includere anche un calcolo dell'impatto sociale oltre all'impatto economico; infatti, i costi sono riconducibili alla cattura degli animali, al loro ricovero per la detenzione e/o cura in strutture idonee e dallo sgombero dell'appartamento con interventi di bonifica ambientale (compresa la disinfezione e la derattizzazione).