Portare soltanto fuori il cane per fargli espletare le sue funzioni fisiologiche, non può essere considerata l’unica necessità di cui l’animale ha bisogno per vivere in condizioni di benessere. Al contrario, è totalmente insufficiente.
Lo ha stabilito una sentenza della Cassazione, diffusa dallo Studio Cataldi, che si è occupata della vicenda di sette cani, di razza Husky e Samoiedo, di cui alcuni cuccioli, tenuti in una casa di soli 40 metri quadri, senza luce naturale e in condizioni igieniche precarie.
Secondo gli Ermellini, infatti, pur senza infliggere lesioni o provocare loro patologie, far vivere un animale in quelle condizioni, basta a configurare il reato di abbandono di animali.
Le motivazioni della sentenza che ha condannato l'uomo (la numero 39844/2022) spiegano, infatti, che «non occorre che gli animali si ammalino per ritenere integrato il reato, ma quest'ultimo si verifica anche quando gli animali vengono privati di luce, cibo e acqua e quando vengono detenuti in precarie condizioni di salute, nutrizione e igiene».
«Non è altro che una conferma di quella che è la giurisprudenza costante – ci spiega Salvatore Cappai, avvocato civilista ed esperto di riferimento del team di Kodami – Il reato di abbandono di animali disciplinato dall’Art. 727 del Codice penale, prevede due parti: una che riguarda l’abbandono chiamiamolo “tradizionale”, la tipica persona che lascia l’animale legato in mezzo a una strada».
Pur essendocene diverse varianti, questa modalità è quella che viene considerata come l’abbandono vero e proprio. Ed è quella che viene definita e punita dal primo comma: «Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini di cattività, è punito con l’arresto fino a un anno o con un’ammenda da 1000 fino a 10mila euro».
Ma la legge non si ferma lì: «All’interno dell’Art. 727, però, c’è anche un secondo comma che reputa reato di abbandono anche un’altra fattispecie. Quella che riguarda la detenzione di animali in condizioni non compatibili con la propria natura e produttive di gravi sofferenze. Ragione per cui, soggiace alla stessa pena prevista per l’abbandono tipico».
«Per la giurisprudenza, ormai, per tutti quei casi di cani tenuti in un garage o su un terrazzo a vita, o di animali fatti vivere in ambienti insalubri, è pacifico stabilire che si tratti tecnicamente di reato abbandono, anche se della fattispecie legata al secondo comma della legge», aggiunge Cappai.
Quindi, in sostanza, in questo specifico caso, la situazione precaria in cui i cani sono stati costretti a vivere, pur non subendo volontari abusi o violenze, è ciò che conta per integrare il reato di abbandono.
«Ma certo – continua l'avvocato – Un cane o più cani hanno bisogno di spazio, di respirare aria e di stare in un luogo sano. Quindi tolto il fatto che venissero portati fuori per le esigenze fisiologiche, questi poverini vivevano tutta la loro vita in quel tugurio. Per non dire che, comunque, già solo tenere 7 Husky in un appartamento di 40 metri quadri, quand'anche l'ambiente fosse pulito e areato, sarebbe comunque da considerare un luogo non consono. Insomma, questa sentenza non fa che confermare una linea di giudizio divenuta ormai costante nel tempo».