È un fenomeno sempre più diffuso e allarmante, tanto che gli esperti hanno cominciato a studiarne l'impatto nella popolazione d'insetti.
La notizia è questa: da un recente studio segnalato dalla rivista Science, anche le api domestiche e i bombi hanno cominciato a soffrire particolarmente del caldo torrido che ha colpito un gran numero di regioni del pianeta. E per difendersi dal rischio concreto di cuocere sotto al Sole a causa dello shock termico, gli imenotteri hanno dato prova di essere capaci d'iperventilare, sprecando però così un gran numero di energie e riducendo così le loro probabilità di sopravvivere nel medio periodo.
Soprattutto i bombi (circa 45 specie del Nord America) hanno mostrato di essere particolarmente sensibili al caldo, con un gran numero di specie che ha rischiato un calo demografico in grandi aree degli Stati Uniti per l'eccessiva temperatura media dell'aria per gran parte dell'anno. E se i bombi sono in difficoltà, la conseguenza primaria è che anche le piante a cui fanno da impollinatori sono in pericolo.
Se infatti in un ipotetico futuro i bombi o altre specie di api selvatiche dovessero scomparire, affermano gli esperti, i fiori che si affidano a questi specialisti sarebbero in guai seri, poiché perderebbero la specie più importante che gli permette di riprodursi. «La scomparsa di queste specie potrebbe rendere i prati primaverili meno colorati e, cosa più importante, potrebbe portare alla distruzione di interi ecosistemi» ricordano gli esperti. Senza considerare che esiste un intero mercato che si affida al lavoro delle api e dei bombi per impollinare i raccolti o produrre il miele.
Come hanno fatto però gli scienziati a rendersi conto che i bombi erano messi a rischio a causa dell'eccessivo caldo?
In pratica, i ricercatori – capeggiati da Eric Riddell e dai suoi collaboratori dell'Iowa State University – hanno raccolto le regine delle specie più importanti di cui si conosce l'importanza a livello ecosistemico. Mentre queste emergevano infatti dal loro riposo invernale per costruire i nidi, i ricercatori li hanno portati in laboratorio, dove le hanno tenute in condizioni simili a quelle che si sarebbero viste all'aperto, tramite dei tubi. Qui le hanno monitorate 24 ore su 24, studiando quanto velocemente respiravano e quanta acqua invece perdevano attraverso il respiro.
Così i ricercatori hanno studiato la fisiologia delle varie specie animali, sottoponendole alle condizioni estreme delle stagioni estive ed invernali. I risultati sono stati alquanto preoccupanti.
«A 18°C, ovvero alla temperatura di una mite giornata primaverile, le regine di Bombus auricomus e B. impatiens respiravano normalmente, ha scoperto il team. Quando i ricercatori hanno alzato il termostato… il respiro del comune bombo orientale è leggermente accelerato, fino a un respiro ogni 10 minuti, ma i bombi neri e dorati hanno iniziato a respirare 10 volte più velocemente, una volta al minuto» affermano gli scienziati su Science. «Dopo 3 giorni, il 25% dei bombi orientali era morto, mentre il doppio delle api nere e dorate era morto. L'aumento della respirazione in alcune specie di api potrebbe dunque spiegare perché alcune stanno diminuendo e potrebbero continuare a diminuire con il riscaldamento del clima».
La prospettiva paventata dai ricercatori non è rosea. Anche qualora le nazioni riuscissero a contrastare l'uso smodato dei pesticidi o la perdita di habitat e anche se l'inquinamento luminoso e il diffondersi dei parassiti dovesse mutare in meglio, a seguito dell'innalzamento delle temperature gran parte delle specie di bombi, come di api dorate e nere soffrirebbero per colpa della temperatura, con una conseguente moria di arnie che arresterebbe la produzione di miele e limiterebbe l'impollinazione dei prodotti agricoli, quantomeno in America.
«Per quanto non conosciamo le eventuali risposte da parte degli altri insetti impollinatori, che potrebbero ottenere dei vantaggi dal calo demografico delle api e dei bombi, se i dati fossero confermati per come sono anche nei prossimi anni, ci troveremmo dinnanzi ad una piccola crisi alimentare» ha affermato Riddell, all'incontro annuale della Society for Integrative and Comparative Biology. «Tuttavia, non è chiaro se i risultati si applicheranno ad altri tipi di api in diverse regioni ed è difficile sapere se c'è uno schema generale » hanno dichiarato comunque altri ricercatori all'evento, tra cui Avery Russell, un biologo evoluzionista della Missouri State University.
Al di là di questi primi risultati, gli entomologi sono molto preoccupati per la salvaguardia degli imenotteri. Ed è per questo che desiderano ampliare il loro spettro di ricerca, studiando più specie di api in più regioni del mondo.