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4 Febbraio 2023
9:22

Anagrafe animali d’affezione: l’unificazione nazionale ancora non è stata realizzata

Nonostante la riconosciuta importanza della registrazione degli animali d’affezione, l’obbligo dell’identificazione resta spesso soltanto sulla carta e l’anagrafe nazionale non riesce a diventare ancora realtà.

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cani gatti

L’anagrafe nazionale degli animali d’affezione è sempre in viaggio, una sorta di treno partito più di trent’anni fa e ancora mai arrivato a destinazione.

Fra proclami, promesse e smentite, la tanto annunciata anagrafe nazionale non è ancora operativa e, comunque vada, per garantire la sua efficacia e funzionalità ci vorranno ancora anni, considerando che molti dati andranno implementati e uniformati. Senza dimenticare che al momento l’obbligo nazionale di registrazione riguarda solo i cani, mentre soltanto in alcune regioni è esteso anche ai gatti, mentre nella maggioranza delle realtà la registrazione è facoltativa proprio come quella dei furetti.

La registrazione in anagrafe è alla base della detenzione responsabile degli animali d’affezione: identifico l’animale che custodisco per evitare smarrimenti, per senso di responsabilità collettiva e per buonsenso. Nella banca dati dovrebbero essere censiti tutti i cani e i gatti, di proprietà o tenuti presso canili e rifugi, ma anche in negozi e allevamenti, oltre ovviamente ai randagi censiti, sterilizzati e reimmessi sul territorio. Un interesse collettivo, quello di conoscere esattamente i dati della popolazione canina e felina italiana, che correttamente attuato permetterebbe di avere certezze e non solo stime, per eccesso o per difetto, sulla consistenza numerica di cani e gatti. L’identificazione con il microchip consente, anzi meglio dire consentirebbe, anche di svolgere efficaci controlli sugli animali detenuti presso i canili, frutto di randagismo, abbandoni e cessioni, il cui costo di mantenimento è a carico della collettività, spesso senza che vi siano controlli effettivi sulla reale presenza di questi ospiti nelle strutture in appalto, che ogni anno ricevono molti milioni di euro dai Comuni.

Nonostante la riconosciuta importanza della registrazione degli animali d’affezione l’obbligo dell’identificazione resta spesso soltanto sulla carta e l’anagrafe nazionale non riesce a diventare ancora realtà. La motivazione di questo ritardo è incomprensibile ai più, in quanto un database dovrebbe essere una delle cose più facili da gestire e la presenza dei dati di interesse dipende soltanto dalla corretta progettazione della piattaforma. La sanità però è una materia devoluta alle Regioni da decenni e l’identificazione degli animali d’affezione è una misura sanitaria, anch’essa di competenza della sanità regionale. Grazie a questo lo Stato non ha pensato, trent’anni fa, di strutturare una piattaforma nazionale per tutte le anagrafi zootecniche, da mettere a disposizione delle Regioni in modo da creare una raccolta uniforme di dati, ma ha lasciato carta bianca a ogni Regione, moltiplicando i costi per 20 e dividendo l’efficienza per 100. Una follia che in nome dell’autonomia ha consentito, e non solo per gli animali d’affezione, di sperperare denaro pubblico per non avere nemmeno un ritorno che consentisse di avere informazioni complete. Questo è anche uno dei motivi del ritardo, in quanto ogni banca dati ha la sua struttura, raccoglie dati diversi, su piattaforme che poco si parlano e che è complesso far interagire.

A questo bisogna aggiungere la difficoltà di identificare tutti gli animali d’affezione perché spesso i proprietari non lo vogliono fare, i veterinari spesso non segnalano alla sanità pubblica come previsto per non perdere il cliente, canili e rifugi succede che siano in parte inadempienti, i controlli sono di fatto pochissimi e quindi la mappatura resta incompleta.

Una delle tante incompiute quando si parla di tutelare realmente gli animali, che rivela un senso di legalità a macchia di leopardo, una non volontà di impegnarsi per arrivare a una raccolta completa dei dati che sarebbero fondamentali per meglio comprendere il randagismo. Ma anche per far capire alle persone che avere un animale comporta delle responsabilità, per tracciare un fenomeno con migliori garanzie, anche sanitarie, per i cittadini.

Sarebbe interessante se il Ministero della Salute raccogliesse i dati sul numero di sanzioni irrogate a livello regionale per la mancata iscrizione in anagrafe e quello sul numero di segnalazioni ricevute dai servizi veterinari pubblici da parte di veterinari liberi professionisti per identico motivo. Invece si fa già fatica a conoscere con precisione il numero di animali presenti nei canili e nei rifugi e mancano del tutto i numeri precisi dell’indotto economico generato dai randagi, che spesso alimenta il malaffare quando non la criminalità organizzata.

La comprensione di costi e stato dell’arte è spesso lasciato a qualche trasmissione d’inchiesta e alle associazioni, come  Legambiente che, con molta fatica, raccolgono i dati parziali sul fenomeno, considerando che non tutte le amministrazioni rispondono, contribuendo così a falsare parzialmente il dato nazionale. Grazie a queste elaborazioni si ottiene un quadro generale che almeno tratteggia la realtà, pur senza avere possibilità di fotografarla compiutamente.

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Ermanno Giudici
Esperto in diritti degli animali
Mi occupo di animali da sempre, ricoprendo per oltre trent’anni diversi ruoli direttivi in ENPA a livello locale e nazionale, conducendo e collaborando a importanti indagini. Autore, formatore per le Forze di Polizia sui temi dei diritti degli animali e sulla normativa che li tutela, collaboro con giornali, televisioni e organizzazioni anche internazionali.
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