Secondo nuovi studi effettuati dalle Università di St. Andrews ad Edimburgo e dal Moredun Research Institute in Scozia, alcune specie di delfini soffrirebbero dei sintomi di malattie neurodegenerative come l'Alzheimer. La scoperta è stata pubblicata in un articolo sull'European Journal of Neuroscience . I sintomi sarebbero anche parte della causa dei sempre più frequenti spiaggiamenti e delle catture involontarie.
Per quanto solitamente i medici ritengono che l'Alzheimer sia una patologia esclusiva dell'uomo, molti biologi e neuroscienziati stanno segnalando da tempo come altri animali possano sviluppare alcuni degli aspetti della patologia, tanto da indurre gli autori dell'articolo a presupporre che esista una similitudine fra i danni osservabili nei neuroni umani e quelli presenti nelle cellule cerebrali dei cetacei. Le indagini sono però solo all'inizio e i ricercatori desiderano studiare nuovi esemplari per ottenere maggiori prove.
Il problema della senilità
Per verificare la loro teoria, i biologi e i neuroscienziati delle università scozzesi hanno compiuto una indagine istologica sui cervelli di 22 odontoceti incagliati nel corso dell'ultimo decennio, esemplari appartenenti a cinque specie diverse. «I loro cervelli sono stati esaminati mediante immunoistochimica per studiare la presenza o l'assenza di caratteristiche neuropatologiche dell'Alzheimer come placche di amiloide-beta, accumulo di fosforo-tau e gliosi – scrivono gli studiosi nel loro articolo – L'immunoistochimica ha rivelato che tutti gli animali anziani hanno accumulato la patologia della placca amiloide (il sintomo classico dell'Alzheimer negli esseri umani, N.d.R.) mentre in tre animali di tre diverse specie di odontoceti, si è verificata la compresenza di placche amiloidee, l'accumulo intraneuronale di proteine tau iperfosforilate, di fili del neuropilo e di placche neuritiche nelle cellule nervose degli animali».
La proteina chiamata tau è quella che si aggroviglia all'interno dei neuroni e che se mutata porta anche ad un'accelerazione dell'accumulo di cellule gliali che causano l'infiammazione del cervello. «La presenza simultanea di placche di amiloide-beta e di proteine tau mostra che queste tre specie sviluppano spontaneamente una neuropatologia simile all'AD», hanno specificato i ricercatori, focalizzandosi sulla somiglia della patologia. «Resta da determinare il significato di questa malattia rispetto alla salute e, in ultima analisi, alla morte degli animali».
Mark Dalgleish, ricercatore dell’Università di Glasgow, ha dichiarato che: «questi sono risultati significativi che mostrano per la prima volta come la malattia cerebrale negli odontoceti spiaggiati è simile a quella che colpisce il cervello delle persone affette da Alzheimer. Mentre è allettante in questa fase ipotizzare che la presenza di queste lesioni cerebrali negli odontoceti indichi che anche loro soffrano dei deficit cognitivi associati all’Alzheimer umano, sono necessarie molte nuove ricerche per capire meglio cosa sta succedendo a questi animali».
Se questi dati dovessero essere confermati, gli scienziati di Edimburgo avrebbero scoperto le prime vittime non umane di Alzheimer del regno animale. Inoltre avrebbero anche ottenuto una nuova prova come supporto alla "teoria del leader malato" che tenta di spiegare i numerosi casi di spiaggiamento dei cetacei. Tale teoria presuppone che gli incidenti che coinvolgono spesso i numerosi gruppi familiari di odontoceti derivino dalla malattia del soggetto più anziano che ha il compito di guidare fra le correnti oceaniche l'intera comunità, ma la cui malattia può condurre ad un disastro.
Qualora infatti tali animali fossero colpiti dalla perdita di memoria, il capofamiglia potrebbe condannare il gruppo a perdersi negli oceani e a rischiare di finire in acque (fin) troppo basse, che costituiscono di solito una trappola letale per molti dei grossi mammiferi marini.
La senilità degli esemplari dotati dei ruoli sociali più importanti costituirebbe così uno dei problemi dei molti spiaggiamenti, insieme al bombardamento sonico dei radar dei sottomarini e altre concause di difficile indagine. E per comprendere le conseguenze di questo rischio realistico che colpisce il cervello degli esemplari più anziani dei differenti gruppi, basta considerare la media dell'età degli animali presenti all'interno di una famiglia.
«L'esistenza della menopausa e della durata della vita post-riproduttiva (PRLS – usato nel testo come sinonimo di senilità) nei mammiferi è rara e gli esseri umani sono l'unico mammifero terrestre noto per avere un PRLS significativo. Nonostante questo, PRLS è stato segnalato in orche (Orcinus orca), globicefali (Globicephala macrorhynchus), beluga (Delphinapterus leucas), narvali (Monodon monoceros) e nelle false orche assassine (Pseudorca crassidens) – affermano sempre nell'articolo gli studiosi – La presenza della senilità in questi e, potenzialmente, in altri cetacei odontoceti può rendere così questi animali suscettibili a malattie ad insorgenza tardiva che hanno una componente genetica, come l'Alzheimer». Un dato, che desta parecchie preoccupazioni negli studiosi e fra i conservazionisti della fauna marina.