Il golpe militare in Myanmar alimenta il traffico di specie protette, in particolare quello online. Secondo la relazione “Going viral: Myanmar’s wildlife trade escalates online” pubblicata a inizio aprile dal Wwf asiatico, nel 2021 il commercio illegale di animali selvatici è aumentato del 74% rispetto al 2020.
Dietro all’instabilità politica del Paese dovuta al golpe e alle le violenze fra esercito birmano e civili, si consumano così illeciti che colpiscono persone e animali, alimentando traffici, contrabbando e violazioni dei diritti umani.
E non è finita, perché anche la pandemia ha le sue responsabilità: infatti, eliminando quasi completamente i mercati fisici, li ha di fatto spostati praticamente tutti sul web dove, come è risaputo, sono molto più difficili da rintracciare.
E così, la mancata applicazione dei divieti sulle transazioni, fortemente indebolita a partire dal febbraio 2021 fra le proteste di piazza, i disordini e gli scontri coi militari, non fa che alimentare il “crescente” fenomeno legato all’acquisto illegale di fauna selvatica online il quale, scrive il Wwf, costituisce due gravi “minacce”: la prima per la salute pubblica e la seconda per le specie in via di estinzione.
Il volume del traffico illegale è aumentato in un anno del 74%, portando a 11.046 i casi di di animali vivi. E delle 173 specie scambiate, almeno 54 sono minacciate di estinzione su scala globale. I ricercatori, poi, hanno individuato 639 account di trading su Facebook appartenenti ai commercianti di fauna selvatica, di cui il più grande contava al suo interno 19mila persone.
Una particolare attenzione viene rivolta all’aumento del numero di mammiferi commerciati, sia vivi che parti del loro corpo, cresciuto del 241%. Quantità impressionanti, che fanno sembrare la legge voluta da Aung San Suu Kyi nel 2018, che prevedeva la tutela di 390 specie, decisamente un lontano ricordo.
Ma a poco serve, evidentemente, tutto quello che si è scoperto sulle origini del COVID-19, si rammarica Shaun Martin, responsabile del progetto Cybercrime per il commercio illegale di fauna selvatica del Wwf Asiapacific, nulla frena questo ricchissimo business.
Le specie protette dalla legge, vengono vendute senza ritegno sui social, sui quali i venditori condividono foto e video senza timore. E a preoccupare, oltre a questo, è soprattutto il modo di trasportare questi animali selvatici. Spesso, infatti vengono utilizzati gli autobus pubblici, dentro imballaggi precari e fragili, con etichette che dicono chiaramente cosa sia il contenuto all’interno.
Dal 2018 la Ong, in accordo con Facebook, monitora il social network, cercando di identificare e segnalare tutte quelle transazioni che coinvolgono specie protette. E, a onor del vero, c'è da dire che il gigante di Menlo Park, nel 2020 ha chiuso diverse centinaia di account e di gruppi. Ma chiaramente sono riapparsi con altri nomi.
Per quanto riguarda gli animali selvatici commerciati, sono diverse le specie interessate: ci sono gli zibetti, specie in via di estinzione che vengono tranquillamente richiesti sia per la loro carne che da custodire in cattività, nonostante siano potenziali diffusori di malattie importanti come Sars e Covid-19.
Ma ci sono anche animali più grossi, come elefanti, tigri, orsi gibboni, antilopi tibetane e una tartaruga gigante asiatica, di cui un tempo i compratori, soprattutto cinesi, ne apprezzavano le virtù curative o afrodisiache, mai accertate.
Chiaramente, davanti a questo fiorire di mercati illeciti online, l’inerzia e le pochissime energie che le autorità politiche e militari mettono sul contrasto del commercio di animali selvatici e a rischio estinzione non aiuta di certo. Ma, al momento, non sembra che nessuno sia particolarmente interessato a intervenire con azioni più incisive.