Non passa giorno senza che gli allevatori di animali, utilizzati nella produzione alimentare, minaccino di doverli abbattere a causa dell’incremento dei costi energetici e dei mangimi. Una minaccia che di fatto, una volta messa in atto, non cambierebbe il loro destino ma anticiperebbe soltanto di qualche tempo l’invio al macello.
I costi di produzione sono aumentati in tutti i settori del comparto economico europeo, a seguito della concomitanza di vari fattori, due dei quali sono più rilevanti di altri: il rincaro delle bollette energetiche causato dalla guerra in Ucraina – ma anche da speculazioni – e la siccità che ha limitato la resa della produzione agricola di cibo destinato agli animali. Se il primo motivo costituisce un fattore meno prevedibile, lo scoppio di una guerra in Europa, il secondo è purtroppo una realtà con la quale dovremmo confrontarci con sempre maggior frequenza negli anni a venire. E ciò a seguito di alterazioni climatiche che, in parte rilevante, sono causate proprio dagli allevamenti intensivi e da un consumo eccessivo di carne e derivati animali.
Bisogna far comprendere ai cittadini che nulla accade per caso e che i cambiamenti climatici ai quali stiamo assistendo sono il risultato di un comportamento dissennato che stiamo portando avanti da svariati decenni ovvero da quando abbiamo trasformato l’agricoltura e l’allevamento in fabbriche di proteine a basso costo, senza considerare le conseguenze che questa evoluzione avrebbe comportato.
Le fabbriche di carne hanno permesso di far arrivare sul mercato tutti i prodotti alimentari che derivano da questa filiera a un prezzo incredibilmente basso, costringendo gli animali a vivere in condizioni inaccettabili, selezionando razze sempre più grandi, soggette a una crescita sempre più veloce per poter arrivare sul mercato in tempi record. Massimizzando le rese e comprimendo i tempi di accrescimento: in questo modo un pollo, un broiler destinato alla produzione di carne, passa in allevamento solo 43 giorni da quando nasce a quando viene macellato, senza possibilità di allungare anche solo di pochi giorni la sua vita: il peso del petto, il più richiesto dai consumatori, gli impedirebbe di restare in piedi se non venissero macellati esattamente a 43 giorni. Praticamente quando sono ancora, biologicamente, poco più che pulcini.
Per produrre proteine animali destinate a essere consumate da un pubblico spesso più attento ai prezzi che alla salute, trasformiamo quelle vegetali in carne, dimezzandone la resa e con un costo in acqua insostenibile, per un pianeta che ne avrà a disposizione sempre meno. Un modello alimentare non solo inaccettabile per l’assenza di benessere degli animali allevati, ma divenuto impraticabile per l’impossibilità di coniugare questo tipo di produzione con la sostenibilità per il nostro ambiente.
Quindi, paradossalmente, la minaccia degli allevatori di abbattere gli animali per l’impossibilità di sopportare le variate condizioni dei costi di produzione si trasforma in un fattore benefico sotto il profilo ambientale e, purtroppo, anche per tutti quegli animali costretti a condizioni di vita innaturali e non rispettose delle loro necessità etologiche fondamentali. La minor disponibilità di prodotto porterà inevitabilmente a un innalzamento dei prezzi al consumo, con conseguente diminuzione della domanda che potrebbe a questo punto privilegiare altre fonti proteiche, come quelle vegetali, a minor costo e a maggior sostenibilità ambientale.
Talvolta quello che non si riesce a ottenere attraverso l’educazione alimentare lo si può avere utilizzando una leva economica. Lo sanno bene i fondi di investimento internazionali, la grande finanza, i cosiddetti poteri forti, che da tempo hanno cominciato a disinvestire dalle multinazionali dell’industria della carne, consapevoli che nel medio periodo la profittabilità di questo settore sarebbe scesa in modo vertiginoso.
Questi anni porteranno cambiamenti tanto importanti quanto repentini, che non saranno messi in atto sulla base di scelte, come sarebbe potuto accadere sino a qualche tempo fa, ma a causa di obblighi ambientali ineludibili che non consentiranno di avere comportamenti diversi. Se a questo aggiungiamo che la produzione di carne coltivata a prezzi convenienti, con ridotto impatto ambientale e priva di sofferenza animale, sia una realtà oramai consolidata, il cerchio si chiude.
Sembra mancare davvero poco per far arrivare la carne ottenuta dalla moltiplicazione di cellule animali sugli scaffali dei supermercati, con un’offerta di prodotti più sani sotto il profilo alimentare e molto più etici. In tempi brevi arriverà il momento in cui le proteine vegetali serviranno a sfamare gli esseri umani e non saranno più consumate per produrre carne a basso prezzo. Svuotando le stalle e rendendo così promesse e non minacce quelle di arrivare a un crollo verticale del numero di animali allevati e macellati per il consumo alimentare.