Nel 2015 il fondatore di Microsoft Bill Gates mise in allerta la comunità globale dal rischio di una pandemia, ben prima della diffusione del Covid-19: «Se qualcosa ucciderà 10 milioni di persone nei prossimi decenni è più probabile che sia un virus invece di una guerra», disse durante una conferenza Ted. Il bilancio finale al termine dei 3 anni di pandemia è stimato in 18,2 milioni di morti.
All'indomani della diffusione del Coronavirus, e dieci anni dopo le parole di Gates, gli esperti internazionali continuano a lanciare l'allarme circa lo stato di salute del pianeta e degli esseri che lo abitano. La pandemia sembrava destinata a cambiare il modo in cui le persone si spostano e vivono: vennero innalzati dei confini all'interno dell'area di libera circolazione Schengen, e il lavoro in ufficio venne fortemente limitato, in qualche caso addirittura abolito. Pochi anni dopo siamo tornati a muoverci liberamente nella zona euro, e le aziende di tutto il mondo stanno tornando a reintrodurre il lavoro in presenza.
Tutto è cambiato, ma niente è cambiato. Eppure se restiamo fermi nuove epidemie si diffonderanno. È quanto emerge dall'ultimo rapporto del Global Preparedness Monitoring Board (GPMB) "Il volto mutevole del rischio pandemico".
Secondo il documento elaborato con il supporto dell'OMS e dalla Banca Mondiale, l'emergere e il diffondersi di agenti patogeni non sono eventi casuali, ma derivano dal cambiamento dell'ecosistema: «La rapida diffusione delle malattie in popolazioni altamente mobili è esacerbata dall'urbanizzazione e dal commercio internazionale. L'aumento del volume e il cambiamento dei modelli di commercio di animali e prodotti di origine animale contribuiscono alla diffusione di agenti patogeni animali».
Il rapporto non mette quindi genericamente in guardia rispetto alle malattie ma relativamente a un particolare tipo di malattia che si caratterizza per il passaggio dall'animale all'essere umano: le zoonosi.
Cosa dice il rapporto GPMB
Il rapporto ricorda che solo nel 2024 si sono già verificate 17 epidemie, su tutte l'influenza aviaria del ceppo H5N1 che dagli uccelli selvatici è passata ai bovini e poi alle persone impiegate negli allevamenti. In Africa centrale si è invece assistito alla diffusione dell'Mpox, noto come vaiolo delle scimmie, che questa estate ha spinto l'OMS a dichiarare lo stato di emergenza internazionale. «L'alta probabilità che si diffondano ulteriormente dovrebbe essere un campanello d'allarme per la comunità globale», si legge nel rapporto.
Le zoonosi si caratterizzano per lo spillover, cioè il salto di specie dagli animali all'essere umano. Questo fenomeno, come aveva spiegato il divulgatore e saggista David Quammen in una video intervista a Kodami, si verifica quando le persone entrano in contatto con animali selvatici con cui prima non aveva contatto con noi, in habitat remoti che poi abbiamo colonizzato.
Questo contatto tra selvatici e persone solitamente è mediato da animali a noi più vicini, come quelli d'allevamento, che fungono da serbatoio del virus. Lo segnala il report stesso: «I rischi di insorgenza di malattie nelle popolazioni animali e l'aumento della probabilità di spillover sono dovuti all'alta densità di animali negli allevamenti industriali, ai cambiamenti di ambiente negli allevamenti su piccola scala e al commercio non regolamentato di animali selvatici, piccoli allevamenti e dal commercio non regolamentato della fauna selvatica».
Questo accade perché all'interno degli allevamenti il virus ha la possibilità di mutare migliaia, se non milioni di volte, passando da un individuo all'altro: più un virus si ricombina maggiori probabilità ha di compiere il salto di specie.
«I luoghi che presentano una densa interfaccia uomo-animale-ambiente e che stanno subendo rapido cambiamento sono pronti a diventare nuovi punti caldi per l'insorgenza di nuove malattie con un potenziale epidemico». Gli esperti del GPMB evidenziano come sia l'allevamento su piccola scala che quello intensivo-industriale aumentino il rischio di insorgenza di patogeni nell'interfaccia uomo-animale.
Non si salva neanche l'agricoltura: «Le aziende zootecniche sono le maggiori consumatrici di terra al mondo, direttamente attraverso il pascolo o indirettamente attraverso la produzione di foraggio e cereali destinati agli animali». Allevamenti sempre più grandi e popolati significa estendere le colture togliendo habitat ai selvatici.
Eppure, nulla sta cambiando. A fare le spese di questo sistema sono soprattutto le comunità che vivono in paesi prive di welfare strutturato o che si trovano in situazioni di marginalità sociale. Sono queste le prime a entrare in conflitto con i selvatici e anche quelle meno tutelate in caso di diffusione epidemiche, come ha dimostrato proprio la pandemia: «Le nazioni più ricche si sono assicurate vaccini, trattamenti e attrezzature protettive. attrezzature protettive, mentre molte altre sono rimaste indietro».
«Viviamo in un mondo interconnesso dove l'urbanizzazione, l'aumento della mobilità, il cambiamento dell'uso del suolo e la deforestazione hanno creato condizioni fertili per l'emergere e la rapida diffusione delle pandemie. L'interfaccia mutevole tra uomini, animali e interfaccia tra l'uomo, gli animali e l'ambiente, unitamente al cambiamento climatico l'ambiente, insieme ai cambiamenti climatici, sta amplificare queste minacce. Ignorare queste realtà non è più un'opzione», è il monito finale.