Le specie esotiche invasive sono animali, ma anche vegetali, funghi e microrganismi, originari di una determinata regione geografica che, una volta introdotti in un nuovo territorio per mano dell'uomo, mantengono popolazioni in grado di sopravvivere e riprodursi allo stato selvatico. Queste popolazioni di animali, definite alloctone o aliene, possono generare vere e proprie invasioni biologiche che minacciano le specie locali. Un nuovo studio, i cui risultati sono stati pubblicati su Biological Conservation, ha però dimostrato che è possibile addestrare una specie di ratto endemica dell'Australia (Rattus fuscipes) a riconoscere e cacciare una preda a loro finora sconosciuta. Questa, dunque, potrebbe rappresentare una possibile chiave di svolta per il contenimento di alcune specie invasive.
Per millenni gli esseri umani hanno addestrato animali domestici per svolgere importanti ruoli di supporto nella loro vita quotidiana, come quelli legati all'agricoltura, al trasporto e alla caccia. In questo caso, però, si sta parlando di animali selvatici e attualmente sono molto pochi gli studi in cui sono state applicate tecniche di apprendimento volte al loro addestramento.
Tuttavia, insegnare a riconoscere a predatori autoctoni prede da loro mai viste e considerate specie invase, potrebbe essere fondamentale per l'eradicazione di tali specie che stanno causando in tutto il mondo danni estremamente gravi. Si tratta, però, di una vera e propria sfida perché di norma i predatori sono soliti cacciare le loro prede naturali e solo col tempo imparano a nutrirsi anche di prede differenti. Questo non fa altro che fornire tempo prezioso alle specie aliene per insediarsi e stabilizzarsi in un certo territorio, diffondendosi a piede libero senza preoccuparsi di poter essere predate.
L'idea dei ricercatori consisteva nell'esporre un predatore nativo che vive libero all'odore di una nuova preda abbinato a una ricompensa. Hanno preso come riferimento 24 siti in totale, 12 dei quali definiti come "siti di addestramento", contemporaneamente hanno posto vicino ad alcuni scarafaggi africani invasivi (Nauphoeta cinerea) della carta assorbente, in modo tale che questa potesse impregnarsi del loro odore. Successivamente, l'hanno fornita ai ratti presenti nei siti di addestramento insieme a tre scarafaggi morti.
Per monitorare il comportamento dei predatori, hanno utilizzato delle telecamere e hanno quindi sorvegliato le loro azioni. Subito dopo l'addestramento, hanno ripetuto l'esperimento coinvolgendo tutti e 24 i siti per confrontare il comportamento dei ratti abituati alla presenza degli scarafaggi e quello degli esemplari mai esposti a tale preda. Dai risultati è emerso che nei siti di addestramento gli scarafaggi avevano il 46% di probabilità in più di essere mangiati rispetto a quelli presenti nei restanti siti. Per poter essere sicuri che questo non dipendesse da una maggiore affluenza di ratti dei siti di addestramento, i ricercatori si sono affidati alle telecamere per confrontare le diverse visite dei ratti e non hanno trovato differenze tra le due tipologie di siti confermando che l'addestramento ha dato i suoi frutti.
«Questi è il primo caso studio in cui si riesce ad addestrare predatori che vivono liberi a cacciare specie che non hanno mai visto prima. Ciò apre nuove prospettive per l'addestramento delle specie autoctone affinché possano contrastare le invasioni biologiche. Inoltre, i risultati del nostro studio si aggiungono alla crescente evidenza che l'addestramento degli animali può contribuire a risolvere una vasta gamma di problemi, come gli uccelli che raccolgono i rifiuti e i topi che fiutano le mine antiuomo», afferma il team. In conclusione, il potenziale dell'addestramento degli animali selvatici rappresenta un'importante risorsa per la protezione della biodiversità e la promozione di un equilibrio ecologico sostenibile. Continuare a studiare e sviluppare queste tecniche è essenziale per affrontare le sfide ambientali del futuro e per preservare la ricchezza e la varietà della vita sulla Terra.