Solitamente siamo abituati a immaginare i mammiferi preistorici come dei grossi pachidermi, animali dotati di dimensioni enormi e spesso caratterizzati da forme e peculiarità fisiche bizzarre. E in parte è davvero così, poiché con l'evoluzione dei rettili e dei mammiferi sono comparse nel tempo molte specie di notevoli dimensioni, talvolta veri e propri colossi rispetto alle specie odierne. Una nuova ricerca pubblicata su Science dimostra però come la tendenza verso il gigantismo abbia coinvolto anche creature che all'inizio non erano in realtà predisposte a sviluppare notevoli dimensioni, fenomeno che si è reso possibile solo dopo una lunga serie di adattamenti evolutivi complessi.
Fra gli animali coinvolti da questo fenomeno ci sono per esempio alcuni antichi parenti degli attuali rinoceronti, ovvero i brontoteri, che vissero fra Europa, Asia e Africa dalla prima metà dell'Eocene inferiore alla fine dell'Eocene superiore, tra 56 e i 34 milioni di anni fa. Questi animali possedevano un corno nasale che si diramava in due tronconi ed ebbero così tanto successo da raggiungere una popolazione che contava milioni di esemplari e che li portò a diventare il gruppo dominante nelle antiche praterie preistoriche.
Come però spiega Juan Cantalapiedra dell'Università di Alcalá a Madrid, primo autore dello studio, l'evoluzione delle prime specie di brontoteri, risalenti all'inizio dell'Eocene, è stata molto travagliata e ha subito diversi momenti in cui il ridimensionamento del corpo sembrava essere la linea guida principale che ha portato alla comparsa delle nuove forme. «Questi animali hanno subito un processo evolutivo più complesso rispetto a quello spiegato dal darwinismo classico. Il mondo abitato dai brontoteri non era infatti così organizzato e prevedibile come immaginato dai primi evoluzionisti, che credevano che il progresso era una tendenza naturale e i più adattati finivano sempre per sopravvivere».
Per quanto infatti la maggior parte delle specie conosciute e oggi esposte nei musei raggiungano facilmente i 3 metri al garrese, all'inizio i brontoteri non avevano queste dimensioni e hanno mantenuto la taglia di un Border Collie per parecchi milioni di anni. Ma cosa portò questi animali ad aumentare la propria mole, se per così tanto tempo rimasero di piccole dimensioni?
Secondo gli scienziati, il progressivo aumento di dimensioni dei brontoteri seguirebbe la regola di Cope, una teoria biologica che spiega come gli individui più grandi di una specie hanno di solito un maggior vantaggio evolutivo soprattutto in termini riproduttivi, quando entrano in competizione con altri esemplari che presentano dimensioni inferiori. Da una parte, infatti, animali più grossi e pesanti tendono a essere più appariscenti nei confronti dei potenziali partner, e dall'altra riescono anche ad affrontare meglio eventuali predatori o a resistere alle malattie e alle mutevoli condizioni metereologiche.
Seguendo questo ragionamento, con il tempo la scelta delle femmine avrebbe quindi spinto le popolazioni ad assumere maggiori dimensioni corporee, oltre ad aver permesso a tutti gli esemplari di ottenere il caratteristico corno di cui le prime specie erano prive. «Ad un certo punto, i brontoteri hanno iniziato ad accelerare il loro processo di sviluppo corporeo, poiché era conveniente diventare sempre più enormi e nel minor tempo possibile», chiarisce Cantalapiedra.
Per confermare questa teoria spinta dalla selezione sessuale, Cantalapiedra e colleghi hanno così testato tre diversi scenari evolutivi, tra cui proprio la regola di Cope. E come elementi a sostegno della loro ricerca, hanno utilizzato i dati provenienti dai fossili per mettere in collegamento le dimensioni, l'ecologia e le diverse probabilità di estinzione delle differenti specie di brontoteri comparsi durante l'Eocene.
I risultati di questa analisi hanno così dimostrato che i brontoteri di solito rimanevano all'incirca delle stesse dimensioni fino a quando non comparivano nuove specie. E quando l'evento di speciazione si concludeva, le nuove specie erano o più grandi o più piccole dei loro antenati, ma poiché le specie più piccole si estinguevano più rapidamente, erano quelle più grandi a sopravvivere e a continuare questo percorso verso dimensioni sempre maggiori, un fenomeno che è stato osservato anche in altre specie animali.
Non erano però solamente le dimensioni a sfavorire le specie più piccole. Dal punto di vista ecologico, infatti, i paleontologi spiegano che all'epoca c'era una maggiore competizione alimentare tra le specie di taglia ridotta. Questo accadeva perché la quasi totalità dei vertebrati terrestri dell'Eocene non raggiungeva grandi dimensioni e questo comportava che vi erano molti altri animali con cui dover competere per le risorse.
«Il gigantismo di alcune forme di vita durante quest'epoca potrebbe quindi essere visto anche come una potenziale "via di fuga" nei confronti della scarsità di cibo», spiegano i ricercatori. Essere più grossi permetteva di mangiare le foglie delle piante che le altre specie non riuscivano a raggiungere. Ed è probabilmente anche per questo se durante l'Eocene superiore i brontoteri avevano ormai quasi tutti sviluppato le dimensioni di un piccolo camion e se cominciarono a comparire anche altri animali di notevoli dimensioni, come gli elefanti. Essere più grandi, quindi, permise a questi animali di mangiare di più e meglio rispetto alle altre specie, aumentando le probabilità di sopravvivenza.